mercoledì 28 maggio 2008

• Rifondazione della politica


Nel nostro paese è iniziata coi moti del ‘68: È entrata in stallo col declino del ruolo dei cattolici in politica e con l’affermarsi di quelle tensioni che hanno trovato nelle pulsioni simil-P2 prima una destrutturazione dell’espressione democratica postbellica, poi una affermazione (spesso populistica, ma oggi in fase di rielaborazione) della centralità  di leadership più  o meno improvvisate. 


Cattolici, marxisti e laici

La parte dei cattolici (in gran parte di provenienza dalla FUCI) che puntava sulla ricerca di sistema per l’affermazione di un nuovo quadro istituzionale delineato dalla neonata Costituzione repubblicana, promosse l'incontro coi laici di origine mazziniana, socialdemocratica ed autonomista e trovò nel “sindacato nuovo” e nello staff culturale del Centro Studi della CISL una sponda determinante. Parte dei gruppi dirigenti che strutturarono il ‘miracolo economico’ italiano provenivano da lì. Fu lì che si cercò di approfondire e sperimentare sistemi di relazione di matrice nordico-tradunionista e soprattutto statunitense. Fu quello il momento di maggiore spinta per la ricerca che consentì l’approdo innovativo a forme, contenuti e ruoli mai veramente percorsi dal vetero-sindacalismo di matrice marxista né dal solidarismo cattolico di matrice europea (soprattutto francese e tedesco). Il richiamo a questo percorso, semplificato ma non semplicistico,  consente di dare la corretta dimensione di quanto è in corso di movimentazione nel quadro politico italiano attuale. 


Prodi, padre della rifondazione. 

Come per molti padri, ci si accorge 'dopo' della sua voglia di futuro e spinta a procedere con decisione e speranza. Nel richiamo alla cultura ed ai modi statunitensi trova da parte di Veltroni un primo approdo, ancora da progettare e scoprire. La fase di rifondazione della politica in Italia è decollata con la costituzione del PD, anche se ancora quasi del tutto figlia di una oligarchia. Al vertice, medio e alto, si è in cerca di forme e contenuti del nuovo. Alla base si avverte sempre più robusta la voglia di nuovo e di democraticamente praticabile, nel permanere dei valori civili maturati in sessant’anni nelle diverse esperienze culturali. Due momenti che devono trovare incontro e contaminazione, rifuggendo decisamente da forme di organizzazione che rendano impermeabili i reciproci ascolti.  

Sullo sfondo la generale consapevolezza che il mutamento di tempi e modi della comunicazione impongono una

nuova dimensione della partecipazione “democratica” alla formazione ed alla verifica delle decisioni; spingono al controllo della travolgente irruenza dei pochi (e potentissimi) tecnocrati che gestiscono i poteri finanziari e determinano (consapevoli o meno) le condizioni di abitabilità e sopravvivenza del genere umano. Ansie e speranze che avvolgono le religioni accentuandone l’impegno - spesso  facendo i conti interni con inaccettabili fondamentalismi - per mantenere le centralità dell’uomo e della vita come fattori condizionanti di ogni altro tipo di strumentalità.


Ma qui ed ora .....

Dobbiamo cercare di cambiare i termini del prodotto: il vertice (promotore e progettuale) deve relazionare con la base (alla quale al momento è richiesto solo di esprimere consenso o meno all'oligarchia di turno) in maniera credibile e permanente. Non si vive di solo antiberlusconismo o di veltronismo o di qualsiasi altro 'ismo'. La riscoperta del cosiddetto "centralismo" democratico, di origine organizzativa del PCI, non ha alcun senso e serve solo ai ruoli autoreferenziali delle oligarchie. Fa eco ad esso il richiamo ‘facilone’ al recupero ‘sia pure in termini nuovi e moderni’ del collateralismo delle parti socio-economiche coi partiti/movimento di oggi. (Dovrà comunque fare i conti con la cultura dell’autonomia dei ruoli, ormai affermata nonostante forme vetero-partitiche e reducismi figli di nostalgie di metodi che alcuni hanno abbandonato fin dagli anni '50, altri solo molto più recentemente ed altri accettati solo formalmente). Altrettanto non ce l’ha il suo opposto: l’assemblearismo movimentista; forse accettabile per realtà numericamente piccole ma non per chi voglia affermare, anche gestionalmente, un progetto 

di società. Il richiamo per legge o meno alle cosiddette ‘primarie’ (all’italiana o alla statunitense che si voglia) è un surrogato occasionale, figlio della ricerca di un errore antidemocratico fatto in Toscana, prima ed in Italia, poi, con leggi elettorali che facevano die partiti ‘aggregazioni di sudditi’ per il leader.

Altro cascame di imitazione acritica: la voglia di ricerca permanente del "comandante in capo", o con altro termine di "amministratore delegato". Non mi ha mai affascinato e continua a non affascinarmi. Il Presidenzialismo può, forse, essere accettato a livello di un piccolo comune; ma non può essere il modo per consentire la partecipazione alla formazione delle decisioni e dei progetti, alle permanenti verifiche che sostanziano la democrazia. 


Non è tempo di attese, anche a Livorno.

Non è tempo di attese, anche a Livorno. Troppo spesso si affrontano i problemi alla giornata o con programmazione di intervento troppo breve, con errori o imprecisioni conseguenti. Negli ultimi due anni anche in altre sedi, che vedevano presenti associazioni di imprenditori e organizzazioni dei lavoratori, si avvertiva con sempre maggiore urgenza la mancanza di un progetto condiviso per un arco non breve. L’affanno col quale ci si scambiavano pareri e valutazioni era evidente. Anche a Livorno erano evidenti, la lentezza con la quale si stava procedendo al recupero della deindustrializzazione dell’area del capoluogo o alla ricerca di una dimensione ottimale del Porto; l’annebbiamento in tutta l’area vasta di possibili sbocchi progettuali d’insieme; lo spreco delle risorse o l’utilizzo non strategico della formazione per accrescere la qualità dello stock professionale disponibile; l’affanno finanziario e progettuale in cui la Giunta Cosimi era costretta ad operare; la mancanza di una strategia per il rinnovo del quadro dirigente.


False speranze

Non offrono speranze né la sinistra cosiddetta 'radicale' né la 'vecchia' versione della destra (offerta dall'ammucchiata che ha nazionalmente prevalso, per esclusivo demerito del caos agestionale di chi si era associato a Prodi, convinto di essere il rappresentante del mondo). 

Cattolici e temi “eticamente sensibili”

Scrive Ruggero Orfei su EUROPA: «Esiste un elettorato di cattolici che sono attratti in varie direzioni – forse tutte – e che non si riconoscono più in una medesima cultura che un tempo si sarebbe detta cattolica democratica o conservatrice. Malgrado che sotto i recenti pontificati la dottrina sociale della Chiesa abbia dilatato il suo spazio di 

interesse e quindi, indirettamente, di espansione politica attraverso i cattolici laici espressamente invitati a farlo, il campo di attenzione sembra essersi ristretto invece che allargato. Sotto le macerie della Dc evidentemente sono finiti molti dati importanti ritenuti da tutti irrilevanti anche per un semplice movimento non partitico. Per fare un riferimento preciso, quando Giovanni Paolo II ha parlato di strutture sociali di peccato, è andato molto oltre certi limiti che oggi sembrano normali. I cattolici sono invitati adesso a occuparsi dei temi “eticamente sensibili”, con un confinamento di tutto il resto in qualcosa di facoltativo, dimenticando che l’insegnamento ufficiale del magistero ecclesiastico abbia canonizzato la questione della dottrina sociale della chiesa come una branca della teologia morale, e quindi impegnativa per tutti in ogni aspetto della vita pubblica.»


Avanti insieme, per ...

Ci stiamo avvitando sulle nostre debolezze. Dobbiamo, tutti insieme, assumere l’iniziativa di un reale rinnovamento, di una rifondazione. Non si tratta di portare a sintesi vecchi ricordi ma di avere il coraggio della conversione, di riconoscere che qualsiasi modello è solo uno strumento utilizzabile più o meno bene, di superare ogni forma di reducismo. Bisogna dire con chiarezza che un leader è importante ma non può essergli consentito di trasformare in sudditi, vassalli o valvassori chi lo ha riconosciuto come tale. Il tutto porterebbe inevitabilmente ad una involuzione antidemocratica in qualsiasi sistema organizzato. Sintomi di una deriva di questo genere li stiamo avvertendo nelle violenze di piccoli gruppi (più o meno connotati), nei modi di essere di personaggi in cerca di facilitazioni gestionali ma non di relazioni costruttive con chi ha consentito loro di essere formalmente riconosciuti come ”capi”.

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