martedì 30 dicembre 2008

• Il Parlamento prigioniero


Fa piacere e tristezza, leggere la riflessione del prof. Pera. Per quanto so (ed è colpa solo della mia disattenzione se sbaglio!) oggettivamente un po’ tardiva. La voce di gente che, come me (e non ero solo), facevano la facile previsione di quanto oggi anch'egli prende atto. Quella voce era troppo distante dal potere gestionale per essere considerata da lui e da chi per delega come lui operava nelle istituzioni.
In toscana fu compiuto uno dei primi atti formali. Se ben ricordo, si prese atto dell’accordo tra DS e Forza Italia con gli altri più o meno da comparse o semplici testimoni. Poi il tutto si trasferì a Roma. Qui babbo e mamma dell'attuale ibrido fu tutto il centrodestra. Con la Lega Nord che non si sa bene quale pesce volesse essere, tutta proiettata sul proprio 'particulare'. I Granduchi ‘repubblicani’ sceglievano i propri consiglieri (da utilizzare solo quando ne sentivano la necessità). Unica correzione reale a tutto questo fu la ricerca de voti di preferenza, reclamata convintamente dall’Udc - ma non conseguita.
Il Parlamento prigioniero, dice Pera. È bene essere più precisi: la democrazia parlamentare e la partecipazione, tanto faticosamente perseguite nei primi quarant'anni di Repubblica, sono prigioniere.
Dobbiamo recuperare rapidamente la speranza e rimboccarci nuovamente le maniche, se l'attuale sistema mass-mediale non ci avrà fatto - mediamente - del tutto rinconbellire, con tanta gioia aggiuntiva di chi da tempo sguazza in salsa gelliana.
È stato immolato Prodi sull'altare di un sinistrismo di maniera, di approssimazioni formalmente democratiche e di chiacchiere da bar dello sport. Si è posto ai margini il rapporto-chiave tra etica e politica del ‘fare’, ad ogni livello. Tali madornali errori stanno portando al collasso il Paese. Il prof. Pera termina con queste parole: «C’è solo da sperare che non si trasformi in una tragedia, il giorno in cui la crisi costituzionale e politica si dovesse combinare con una economica e sociale. » Speriamo che non sia troppo tardi.
Qui di seguito trascrivo la riflessione del prof. Marcello Pera, apparsa quest'oggi sul quotidiano
La Stampa
Il parlamento prigioniero
di Marcello
PERA
La
dichiarazione del presidente del Consiglio a favore del presidenzialismo è stata forse estemporanea, ma nessuno che avesse seguito con attenzione l’evolversi del nostro sistema politico e costituzionale negli ultimi anni dovrebbe stupirsene. In sostanza Berlusconi ha detto: «Io ho trasformato l’Italia in una repubblica presidenziale». Epoi: «Io ho il consenso del popolo, e perciò io mi candido con elezione diretta alla presidenza della Repubblica. Perché non dovrei dare forma di diritto a ciò che già esiste, in gran parte per merito mio, in punto di fatto?». Chi si stupisce non è stato attento a ciò che è accaduto. È in corso da tempo una crisi degenerativa che ha cambiato il nostro sistema, ne ha eroso la natura democratica, lo ha lasciato in sospeso, e ora lo espone persino ad avventure. Il federalismo, che darà un colpo d’accetta al bilancio statale e di martello all’unità d’Italia, sarà l’ultimo episodio. Di questa degenerazione, i protagonisti e i cittadini percepiscono perlopiù i segni esteriori e li fraintendono, alla maniera di coloro che non capiscono che, guardando il dito, non si vede la luna. I parlamentari di maggioranza lamentano la loro riduzione a macchinette schiacciabottoni, il cui unico contributo intellettuale consiste nel ricordarsi che il bottone verde è il secondo da sinistra e quello rosso il primo da destra. I parlamentari di opposizione lamentano la loro trasformazione in spettatori di votazioni dall’esito scontato. Gli uni e gli altri lamentano che non possono emendare neppure una virgola dei decreti del governo, peraltro gli unici provvedimenti che sono portati in Aula, essendo da tempo scomparsa l’iniziativa parlamentare delle leggi. I presidenti delle assemblee lamentano che il governo non dia spazio al dibattito e li costringa, con i decreti, i voti di fiducia, i tempi contingentati, a fare da passacarte della sua volontà. I cittadini lamentano la distanza della politica e se la prendono con la «casta». Ma tutto questo è colore, e comunque effetto, non causa. Le principali ragioni profonde della degenerazione consistono in due sequestri. Il primo è il sequestro della rappresentanza parlamentare. Esportata dalla Toscana, la legge elettorale su liste bloccate ha avuto due effetti immediati: il parlamentare eletto, dopo una campagna elettorale cui ha assistito da spettatore televisivo senza muovere un dito se non per fare zapping, ha perduto qualunque interesse al suo territorio di riferimento, e il cittadino elettore non ha più avuto suoi rappresentanti. Non solo costui non ha messo il naso nella loro elezione, non li ha mai visti né conosciuti, e non sa dove incontrarli. Così i gruppi parlamentari sono diventati solo la corte del leader del partito, da lui scelta in base all’affidamento personale verso sé medesimo, non a quello politico verso gli elettori. Chi oggi si lamenta della tanta piaggeria e cortigianeria che vede in giro dovrebbe anche riflettere che la legge toscana piace a tutti i capi partito, tanto che cercano di estenderla anche alle elezioni europee. L’altro sequestro è quello, conseguente, del Parlamento. Quando, col sistema toscano, il capo del partito diventa presidente del Consiglio, il Parlamento, composto di sola gente al seguito, si trasforma in una sua propaggine esterna. E se per caso questa non risulta maneggevole e arrendevole come egli vorrebbe, ecco nascere la richiesta di riforme. Non ci è forse toccato di sentir dire che in Parlamento basterebbero una trentina di persone, oppure che si potrebbe votare solo nelle commissioni, oppure che potrebbero votare solo i capigruppo? Forse sono scherzi, ma hanno l’aria di essere freudiani. Dopotutto, a che serve il Parlamento se fa tutto il governo? E se deve fare tutto il governo, e per esso il suo capo, a che servono tante procedure? Il sequestro del Parlamento da parte del governo ha anche altre cause. Quando il governo sigla un accordo con i sindacati, il Parlamento è chiamato solo a mettere il timbro. Quando il governo fa un’intesa con le Regioni, il Parlamento può solo ratificare. Quando il governo se la vede direttamente addirittura con alcuni pochi sindaci, il Parlamento appone la firma. E così via, con le associazioni, le categorie, i gruppi organizzati, eccetera. Per non parlare delle nomine negli enti o delle autorità. Si obietterà che al Parlamento, anche sotto sequestro, resta pur sempre il potere di far cadere il governo. Ma non è vero. Quella minaccia è un’arma senza la punta: perché se cade il governo si rivota e i capibastone (qualifica che i capibastone danno a chi li disturba) eleggono un altro capo che ripeterà le orme del predecessore. Solo che, di questo passo, sequestro dopo sequestro, il sistema degenera. Se poi si aggiunge la circostanza tragica che oggi in questo sistema non c’è neppure l’opposizione politica, per malattia grave sua propria e perché neanch’essa capisce le cause vere della crisi italiana, anzi le coltiva al pari della maggioranza, allora si deve concludere che, sempre di questo passo, degenera anche la democrazia. Già adesso siamo alle folle - «oceaniche» si sarebbe detto una volta - sotto i gazebo e sotto le tende delle primarie. Approfittando delle lunghe file, anziché spingere il poveretto che sta davanti, sarebbe il caso di soffermarsi a riflettere. Non certo sulla perduta «centralità del Parlamento», per metterci una toppa, come toppe sarebbero il presidenzialismo, il Senato federale, o un nuovo Csm, ma su una questione più importante e di sistema: la nostra Costituzione è ancora un patto che lega gli italiani? È ancora uno strumento efficiente e adeguato? C’è stato un tempo in cui, soprattutto nel centrodestra, queste domande erano all’ordine del giorno. E ce ne fu un altro in cui un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, considerato matto perché dava il meglio di sé quando faceva il matto, le pose all’attenzione di tutti. Oggi è scena muta. Ed è un grave errore. C’è solo da sperare che non si trasformi in una tragedia, il giorno in cui la crisi costituzionale e politica si dovesse combinare con una economica e sociale

lunedì 29 dicembre 2008

• "Serve un lavoro dignitoso"


da IL MESSAGGERO - 29 dicembre 2008

APPELLO DEL PAPA: «LE CONDIZIONI DI LAVORO SIANO DIGNITOSE PER TUTTI»
NO di Ratzinger al lavoro precario. Presto un'enciclica sociale.
CITTA’ DEL VATICANO - Per prima cosa ha chiesto che la famiglia sia protetta, poi ha rivolto il suo pensiero a chi ha un lavoro saltuario, spesso in nero, senza alcuna forma di tutela. Benedetto XVI ha riservato una parte dell’Angelus al tema del precariato, manifestando la propria preoccupazione per l’aumento del fenomeno, poi ha lanciato un appello al mondo della politica e dell’imprenditoria affinchè vigilino: «le condizioni lavorative siano sempre dignitose per tutti». L’occasione per tornare a parlare del mondo del lavoro, tema a lui caro e al quale sta per dedicare un’enciclica sociale, riguarda un anniversario lontano nel tempo ma ancora ben vivo nella memoria di molti: 40 anni fa, il suo predecessore, Paolo VI celebrò la messa della notte di Natale nello stabilimento tarantino dell’Italsider, oggi ILVA. Era il 1968. L’evento fece il giro del mondo e diede modo a Montini di far riflettere sul mondo occupazionale e ricordare che la Chiesa è vicina ai lavoratori. 

lunedì 22 dicembre 2008

• Elettori in ritirata

Luca Ricolfi, su LA STAMPA di questa mattina in un articolo intitolato "Elettori in ritirata", afferma che «Ormai la tendenza degli italiani è piuttosto chiara: se domani si tornasse a votare, l'unico partito che potrebbe sfidare il Popolo della Libertà di Berlusconi è il partito del non voto. È già oggi così in Piemonte, dove un recente sondaggio di «Contacta» per La Stampa ha rivelato che astensionisti e indecisi sono più numerosi di quanti intendono votare Pdl. E' già così in Abruzzo dove le elezioni regionali hanno consegnato poco meno di 300 mila voti al candidato del centrodestra, mentre gli astensionisti sono stati quasi 600 mila. Se queste tendenze dell'opinione pubblica dovessero consolidarsi, e l'offerta politica dovesse restare quella di oggi, nel giro di breve tempo potremmo assistere a uno scenario surreale: un partito maggioritario ma privo di rappresentanza parlamentare, costituito dagli italiani che non scelgono alcun partito».
Sviluppa questo discorso ed una analisi, come di consueto, puntuale. Concordo in gran parte con l'analisi della fotografia elettoral-partecipativa che fa Ricolfi. Nel tono, però, risente pesantemente del robusto pessimismo che troppo spesso lo travolge. In questo caso mentre mi sembra evidente che i due punti di riferimento PD e Berlusconi (più che Pdl) si stiano rendendo conto e reagiscano come possono e sanno (compatibilmente con la cultura, individuale e di gruppo che li caratterizza).
Il PD ha fissato le coordinate della reazione nel suo direttivo nazionale del 19 u.s., guardando a soluzioni organizzative sperimentate (funzionali alla organizzazione del consenso, interno ed esterno) ed a proposte di decisa correzione dell'attuale quadro delineato dall'avversario politico. Berlusconi nella conferenza stampa di fine anno, soprattutto lanciando proposte che nell'intenzione cercano di rendere permanente il prevalere della gestione del potere e della sua conservazione. L'impressione è che non ci si voglia rendere conto, in entrambi i casi, che le persone e le loro aggregazioni di base (come le famiglie o i circoli rilassanti) hanno bisogno di certezze e queste non le si possono avere con una proposta che offra due sole possibilità di concorso al sistema di potere: PD e Pdl.
La complessità, con la quale si devono fare i conti, richiede una sfaccettatura di posizioni non facilmente riconducibile ad esse attraverso forzature di vario tipo o sorrisi accattivanti; progetti ed obiettivi che abbiano una qualità ed una credibilità superiore alle banalizzazioni offerte con linguaggi da barrino dello sport (in cui tutti si atteggiano ad allenatori e esprimono giudizi quasi sempre improvvisati e non riflettuti su giocatori ed allenatori); pulizia moralizzante che non faccia troppo pensare ed approfondire (giustizialismo e perdonismo che altro sono?).
A quella complessità, in ogni caso, viene richiesta risposta per mantenere o conquistare certezze gratificanti nell'immediato, soluzioni tutte e subito anche quando non è realisticamente possibile.
Un dato è certo il partito degli astenuti e dei non partecipanti alla formazione delle decisioni per il bene comune è da un po' di tempo quasi maggioritario; un po' nello stile consolidato dal sistema statunitense, che tuttavia a differenza nostra ha previsto dei contrappesi normativo/operativi di correzione. Si può anche acquisire la gestione del potere sulla base di quantità relative, ma nei momenti più sensibili e meno addormentati coi sistemi mediatici o quant'altro non possono che esplodere reazioni dure e istituzionalmente pericolose.
Un ultima notazione a proposito di questione morale ed astensioni. Ci si è resi conto o no - tutti quanti attardati sulle speculazioni mediatiche di turno - che per tangentopoli a spingere per la corruzione (piccola o grande che fosse; di basso o alto profilo) erano prevalentemente i gruppi politici - di varia colorazione e dimensione; al contrario il caso Campania sta dimostrando che è stato sostituito da spinte corruttive provenienti prevalentemente dal sistema impresa? Ci si è resi conto, o no, che è quanto di più pericoloso e stimolante alla non partecipazione il sistema della 'pressione porta a porta' (la raccomandazione), anche quando priva di contropartita, se ignora o non prevede regole trasparenti e pubblicamente vincolanti? Altrettanto lo è la negozialità individuale sottesa dai sistemi di liberalizzazione del mercato e dalla valutazione meritocratica più spinta.

domenica 21 dicembre 2008

• Presidenzialismo?

Sui giornali di questa mattina leggo che nella conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio (non ha senso ribattezzarlo come premier o primo ministro!) Silvio Berlusconi, ha dichiarato che l'Italia è pronta per l'elezione diretta del Capo dello Stato e che auspica, « entro questa legislatura, un ampio dibattito per arrivare a una riforma presidenzialista». Questa, dice, è «la formula costituzionale che può portare al miglior risultato per i governi», dal momento che l'attuale «architettura costituzionale ci pone dietro agli altri Paesi» ed aggiunge: «una moderna democrazia bipolare» a suo dire, dà «un grande vantaggio» qualora «potesse darsi un'architettura che hanno i grandi Paesi occidentali». Puntualizza anche, per la verità, che «serve il 100% del Parlamento» per l'approvazione.
"Dai, picchia e mena" è venuto fuori il rospo!
In un precedente post dicevo anche che «la prima "amoralità" pubblica è che si finanzino partiti che non hanno, di fatto, percorsi democratici interni e che si continui a non considerare che il primo problema pubblico è che la gestione del potere è saldamente tenuto in mano da gruppi dirigenti oligarchici attenti, ma non troppo, a quanto accade nella Comunità e nelle relazioni interpersonali tra i cittadini.» « Le culture presidenzialiste ed autoritative (qualcuno le chiama aziendaliste) vanno per la maggiore. Il cittadino, le famiglie si sentono vieppiù marginali ed inciampo occasionale.» Riprendo il discorso aggiungendo che esso non rispondeva a timori ma ad una conseguenza razionale delle prese di posizione che da quindici (dico 15 anni!) Berlusconi, i suoi alleati di AN e contorni vari, più o meno apertamente proclamano. Ho scritto recentemente: «dobbiamo impegnarci perché siano superate forme elettorali anomale - come le attuali - che forzano per un bipartitismo senza capo né coda, o per un presidenzialismo in salsa gelliana.»
Non mi fa piacere, in questo caso, fare la parte della Cassandra! Dobbiamo attrezzarci per respingere questa volontà che, di fatto, ci riporterebbe indietro di 70 anni. L'averla proposta, oggi, in conferenza stampa di fine anno da parte del Presidente del Consiglio, può servirgli nell'immediato a cercare di distogliere l'attenzione dai provvedimenti socio-economici del governo da lui voluto e gestito, dalle manipolazioni applicative delle nuova normativa scolastica e dal tentativo di aumentare le sudditanze al potere del momento. Ciò non toglie che la proposta è nel piatto e, questa volta, non 'velata'.
Confusione, approssimazioni e piccole (e grandi) arroganze, individualismi hanno fatto cadere il governo Prodi e lo hanno fatto rappresentare come un 'demone'. Aveva certamente le sue debolezze. Ma questo è il risultato! Non sarebbe il caso di rimboccarci le maniche, uomini e donne (conservatori, riformisti e moderati) per riassumere il nostro ruolo primario di cittadini?

sabato 20 dicembre 2008

• Aiutare chi non ha lavoro

«L'approssimarsi del Santo Natale porta quasi naturalmente il mio pensiero alla crisi del lavoro che preoccupa oggi l'intera umanità", ha confessato il Santo Padre.» «Chi ha la possibilità di lavorare sia riconoscente al Signore e apra con generosità l'animo a chi invece si trova in difficoltà lavorative ed economiche». «Il Bambino Gesù, che nella Notte Santa di Betlemme si è fatto uomo per venire incontro alle nostre difficoltà, guardi con bontà a quanti sono duramente provati da questa crisi mondiale e susciti in tutti sentimenti di autentica solidarietà» [Benedetto XVI, Ai membri dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (ULSA), 19 dic. 2008]

Le cifre si rincorrono. Chi calcola 600.000 disoccupati in Italia, nei prossimi due anni. Chi 900.000. Chi parla di quanti sono già senza lavoro e senza sostegno sociale. Chi, aggrappato al mutuo, cerca di non perdere l'alloggio per sé e per la famiglia. Le imprese sono strozzate dalla mancanza di liquidità. Quante parole, quasi a scongiuro del peggio pensabile e possibile. È sempre meno una sorpresa l'anziano che va al mercato delle erbe a cercare di recuperare tra gli scarti la frutta e la verdura, ancora parzialmente usabile. La Caritas parrocchiale o diocesana, sempre più ingolfata. Drammi in atto e che stanno per misurarsi. Drammi degli ultimi tra gli ultimi. Il sistema finanziario ha sollecitato liberismo ed accumulazione - sostanzialmente senza regole - ha fatto più ricco chi già lo era. Ha spinto sotto la soglia della povertà migliaia di persone.
Alcuni politici, dentro e fuori d'Italia, attoniti si arrabattano a cercare toppe della cui efficacia non si può che dubitare, se non altro spesso perché sono i babbi e le mamme del cosiddetto capitalismo compassionevole e della cosiddetta ... economia creativa; riscoprono l'urgenza di una economia etica.
Ho davanti a me molte delle valutazioni ed impegni che, in tempi non sospetti, le ultime encicliche della dottrina sociale cristiana proponevano. Se quei signori le avessero lette, qualche volta, forse avrebbero cominciato prima a riflettere. Sotto le macerie giacciono molte persone, molte famiglie. Se chi è responsabile di tutto questo non vuol fare la stessa fine, insieme ai politici più consapevoli, deve reimpostare una risalita - la più rapida possibile - ed assumere provvedimenti tutti protesi a ridimensionare drasticamente le ricadute.
Augurandoci di non dover assistere ad uno spettacolo incredibile: I politici che hanno operato a sostegno di questo sistema disastroso (tipo alcuni componenti dell'attuale governo italiano) che vengono a spiegare gli errori di quel sistema ed atteggiarsi a 'non corresponsabili'.
Aiutare chi, incolpevole, subisce questa situazione? Come lo si può fare in una situazione come l'attuale? Anche in una realtà come quella della provincia di Livorno (penso a chi è già a casa senza nemmeno un po' di cassa integrazione o simili ovvero alla situazione delicatissima del settore siderurgico dell'area sud della provincia). Mi rendo conto come non sia possibile avere le idee chiare su come l'insieme e l'area possano uscire dall'attuale quadro; tanto più grave in quanto l'incertezza travolge spesso ogni possibile progetto di medio termine (del lungo termine proprio non si può parlare, almeno per ora|).
Non ho lezioni o idee originali da offrire ad alcuno. È troppo facile 'parlare' e 'dare consigli' senza avere poi la responsabilità di misurarsi direttamente ed in concreto con tutta la realtà, ma solo con quel pezzettino con cui si viene immediatamente a contatto.
Ma limitatamente all'ambiente nel quale ho cercato di operare 'per' , quello dell'area ecclesiale, sulla base della dottrina sciale cristiana è urgente schierarsi decisamente e senza mezzi termini con chi sta peggio o non ha voce; non solo attraverso la pur necessaria 'elemosina' (Caritas, Sant'Egidio, attiva presenza parrocchiale, ecc., già 
impegnate a non stare alla finestra ed a far fronte alle debolezze immediate) ma anche attraverso strumenti di volontariato tendenti a dare speranza e aiutando a respingere la resa, l'abbandono alla fatalità (analisi dei potenziali professionali, affiancamento delle azioni delle associazioni consumatori e delle famiglie, assistenza alle piccole marginalità imprenditoriali, pressione costante perché le istituzioni facciano funzionare strumenti incidenti sul breve-medio termine, attenzione ai problemi più urgenti di chi opera in trincea quotidiana come il sindacato dei lavoratori o come le associazioni che associano piccole/medie imprese e cooperative, ecc.).
Riferendomi alla esperienza livornese, anche l'aver esaltato il momento della valorizzazione artistico-museale diocesano è da considerarsi - anche in questa dimensione - in maniera assai positiva. Una gesto ma anche un segnale di speranza.
Anche in questa situazione credo che non si debba surrogare al ruolo che spetta alle Istituzioni o alle parti sociali di vario livello, a loro buchi ed assenze, ma essere momento di stimolo che sottolinea urgenze ed immediatezze come base di partenza per progettazioni e strumentazioni che altri hanno il compito e il dovere di attivare e rendere accessibili, evitando proclami ma compiendo atti ed impegni verificabili in tempi dati.
In questo senso, se parte di un continuum di interventi, assumono un aspetto rilevante la recente preghiera corale per il lavoro della diocesi di Prato o il fare incontri con esperti del lavoro - soprattutto locale - per comprendere quanto sta concretamente accadendo, che fa da sfondo locale e globale alle urgenze individuali conosciute o alle notizie trasmesse mediaticamente.
Queste sono solo delle idee: piccole, molto piccole. Possono essere l'inizio di un percorso per manifestare che non siamo inerti di fronte a quanto sta accadendo; che incide duramente sulla struttura familiare dell'area, già colpita da problemi non facili. Abbiamo il dovere di contribuire a ricostruire anche con le nostre speranze.


martedì 16 dicembre 2008

• Poteri autoreferenziali con debole controllo ex-post.


UNA PICCOLA REGIONE. UN VOTO DI QUALITÀ IMPORTANTE.
Regionali abruzzesi: certamente al momento non un indicatore particolarmente significativo di quanto sta accadendo per le relazioni quantitative tra i partiti in Italia, ma la reiterazione di un fortissimo segnale per il necessario mutamento della qualità politico-partitica del nostro Paese evitando di allinearci con l'andazzo da "populismo all'italiana" (a suo tempo battezzato dalla Lega Nord e gradualmente penetrato un po' ovunque) e continuando ad operare in un Paese che si accorge della questione morale solo quando qualcuno finisce in galera o alla gogna. La prima "amoralità" pubblica è che si finanzino partiti che non hanno, di fatto, percorsi democratici interni e che si continui a non considerare che il primo problema pubblico è che la gestione del potere pubblico è saldamente tenuto in mano da gruppi dirigenti oligarchici attenti, ma non troppo, a quanto accade nella Comunità e nelle relazioni interpersonali tra i cittadini. Tra i partiti maggiori, l'unico che ha avviato percorsi tendenzialmente morali (nel senso soprarichiamato) è il PD, ma con procedure e tempi attuativi assai lenti e spesso ambigui, comunque non rispettoso dei tempi che richiede la situazione interna ed internazionale. Le culture presidenzialiste ed autoritative (qualcuno le chiama aziendaliste) vanno per la maggiore. Il cittadino, le famiglie si sentono vieppiù marginali ed inciampo occasionale. Ma torniamo a quanto accaduto in Abruzzo. Scrive Federico Geremicca su LA STAMPA di questa mattina: "In definitiva, punto percentuale in più, punto percentuale in meno, è andata come doveva andare. Ed è andata come doveva andare sotto ogni punto di vista. Il voto abruzzese, infatti, non ha riservato sorprese: nemmeno sul fronte, certamente assai allarmante, dell'astensionismo (che sarebbe ora di cominciare a chiamare «voto d'astensione», per la chiara indicazione politica che ormai contiene). Nella regione ha di fatto votato un cittadino su due: e, francamente, ogni sorpresa in proposito è da considerare ipocrita, se non menzognera.
Nel giro di un solo autunno, infatti, gli elettori abruzzesi hanno visto finire in manette la giunta che li governava, hanno assistito alla deprimente rottura tra il governatore Del Turco e il partito che lo aveva espresso (il Pd), per arrivare all'arresto, appena chiuse le urne, del sindaco di Pescara.
Fino a giungere allo spettacolo non edificante del candidato presidente del centrodestra che sollecita curriculum e promette lavoro in cambio di un voto a suo favore. Che in tale scenario - e nonostante la neve e le intemperie - un abruzzese su due si sia scomodato per andare a votare, è quasi un miracolo: altro che «sorpresa per l'alto livello di astensione»." Aggiunge: "A grandi linee, e a spoglio delle schede non ancora ultimato, quel che è accaduto può esser sintetizzato più o meno così: Gianni Chiodi, candidato del centrodestra, è il nuovo presidente della Regione, ma il vero vincitore si chiama Antonio Di Pietro, che ha raddoppiato i propri voti rispetto alle politiche di otto mesi fa, moltiplicandoli addirittura per cinque o per sei in confronto alle elezioni regionali di tre anni fa. Il partito democratico perde un terzo dei voti che aveva (sia rispetto alle politiche di aprile che alla consultazione del 2005), il Popolo delle libertà non aumenta i propri consensi e anzi flette rispetto alle elezioni di questa primavera, mentre il resto (civiche, autonomisti e quant'altro) è magra soddisfazione o lieve depressione sul filo del decimale o giù di lì." L'area centrista dell'UDC-UDEUR conferma il proprio quadro d consenso.

domenica 14 dicembre 2008

• Con tanti saluti alla famiglia!

In nome del prevalere del sistema finanziario su quello produttivo (che tanti disastri sta determinando ogni giorno e che tanta divaricazione sociale sta determinando, con conseguenti instabilità e destrutturazioni) e dei profondi mutamenti nella organizzazione del lavoro si insiste
su una dimensione individualista della società e si ignorano le ricadute strutturali (la famiglia è una di queste) che provocano. In nome della flessibilità si è proceduto, spesso, per una precarizzazione degli impegni e degli orari di convivenza. In nome del profitto e dell'accumulazione, rapida e costante, si è proceduto a spinte esasperate per il consumismo e alla forzatura della ristrutturazione sociale. Si è affrontato il problema della formazione come una subordinata a tale andazzo, senza un vero esame delle dinamiche strutturali della società. Nei vari casi con tanti saluti alla famiglia. Ed in molti ... troppi, zitti! Salvo qualche flebile litania, più o meno 'nostalgica'. Nessuno (almeno non io!) pensa alla donna col ruolo adottato nella società della Roma imperiale e derivati ideologici vari. Ora siamo alla 'ciliegina sulla torta'. E bravo Brunetta! Da buon individualista in un agone di individualisti per il quale tutto inizia e finisce nella propria individualità (al massimo misurata su quella di affetti, sempre più precari). Ecco la 'parità' pensionistica tra uomo e donna. Ovviamente determinata senza tener conto del maggior affaticamento delle donne (che cercano di mantenere il doppio ruolo, individuale e familiare) ma solo delle urgenze riorganizzatici del sistema finanziario. Mi aspetto dal sindacato un colpo di reni. In questo bailamme è l'unico che possa recuperare concretamente la dimensione UOMO-PERSONA/FAMIGLIA, cioè una radicale inversione di tendenza.

venerdì 12 dicembre 2008

• Non è un paese per giovani

Concordo pienamente con la riflessione del prof. Pietro Garibaldi su LA STAMPA di questa mattina, giorno dello sciopero generale 'retró' indetto dalla Cgil. Il 'vecchio' anni '70 vide certamente il prevalere mediaticamente e partiticamente (tutti i partiti, nessuno escluso!) il tipo di mentalità e di volontà operativa richiamato, ma aveva già fortemente presente quello che lui chiama il 'nuovo'. Anche se quasi esclusivamente nella Cisl. Molte delle valutazioni che, a latere del Centro Studi, ci riproponeva quasi con timidezza il prof. Costantini, cos'altro era?. Certe critiche, argomentate, al fondamentalismo populista di certe aree sindacali (cosiddette 'operaiste') cos'altro erano? È comunque importante che si cominci a riflettere, anche in questa direzione, filmando l'oggi; anziché attardarsi culturalmente (spesso con sufficienza mal riposta!) su linguaggi e contenuti del passato, ripresi da altri columnist che vanno per la maggiore. Il prof. Garibaldi (con una titolazione che ben testimonia il suo - e mio - pensiero: NON È UN PAESE PER GIOVANI) afferma, infatti: "Lo sciopero generale indetto oggi dalla Cgil riflette un'immagine vecchia del Paese. Sia ben chiaro, lo sciopero è e deve rimanere uno dei diritti fondamentali dei lavoratori, tutelato dalla stessa Carta Costituzionale. Ma le manifestazioni di stamani per rivendicare maggiori risorse ai pensionati, una nuova politica dei redditi e più infrastrutture daranno un'immagine del Paese da Anni Settanta. Serve di più al Paese uno sciopero generale indetto da uno solo dei sindacati o una grande iniziativa congiunta per risolvere davvero il problema del precariato? Io non ho dubbi. Invece di uno sciopero vecchio vorrei vedere una durissima, ma nuova, mobilitazione del Paese per dare davvero un ammortizzatore sociale a tutti i lavoratori precari e al tempo stesso introdurre un nuovo contratto di lavoro a tutela crescente. Le soluzioni tecniche ci sono e i sindacati lo sanno benissimo, ma evidentemente preferiscono utilizzare la logica del «più» e «subito»."
Afferma, inoltre, che
"La mancanza di una mentalità da giovane la si trova non solo tra i sindacati, ma anche in alcune scelte governative. Imporre limiti più elevati e rigorosi alle emissioni inquinanti avrà certamente dei costi nel breve periodo. Questi costi saranno più alti per Italia e Germania, due Paesi con una quota di industrie inquinanti superiore alla media europea. Ma i benefici nel lungo periodo saranno
certi. Si avrà un'aria più pulita e si potrà anche sprigionare la corsa a investire risorse e talenti in nuovi settori emergenti, quali quelli della diffusione delle fonti rinnovabili. La minaccia del governo italiano di porre il veto al vertice europeo sulle emissioni inquinanti riflette la paura e la mancanza di voglia di investire nel futuro." Aggiungo non il desiderio, ma la volontà di investire sul futuro.
"Anche nella stessa università, il luogo dove si formano i giovani e i cervelli di domani, sembra prevalere troppo spesso la mentalità dei meno giovani. Distribuire le risorse statali tra le università in base alla q
ualità della ricerca, invece che soltanto in base al numero degli studenti come avviene oggi, richiederebbe per molti atenei dei costi nel breve periodo. Tuttavia i benefici nel lungo periodo per il Paese, in termini di aumento della ricerca prodotta dalle nostre università, dovrebbero essere chiari a tutti. Eppure fino ad ora questa riforma non è stata fatta, anche se a parole sembrano tutti favorevoli.
Il Paese è ormai in una vera e propria recessione. I dati diffusi ieri dall'Istat ci hanno confermato che nel terzo trimestre dell'anno la produzione in Italia si è ridotta dell'uno per cento. La recessione può anche essere
il momento delle grandi ristrutturazioni, come ci ha insegnato Schumpeter. L'Italia ha spesso dimostrato che nei momenti peggiori riesce a fare le cose più impensabili." Sperarci non è utopia, ma azioni para-sindacali come questa della CGIL, non aiutano. Al di là del successo quantitativo e psicologico che avranno, fanno annotare una cultura altrettanto vecchia quanto quella di chi in questa fase è stato posto elettoralmente alla guida del Paese.


lunedì 8 dicembre 2008

• L'identità nasce dal confronto?


È  possibile determinare un’identità a partire dalal cultura o dal confronto di più culture?

Come si può stare aòpasso con il mondo di oggi, così cosmopolita, multiculturale e poliglotta e nel quale la comunicazione è così profndamente camboata grazie a social network, telelvisione satellitare, email?E' certamente la cultura il soggetto grazie al quale poter costruire risposte a queste domande, ma soprattutto lo strumento prezioso per affrontare ogni giorno nuovi interrogativi.

E' in questa attitudine alla scoperta, la predisposizione a capire e dialogare, che si può realizzare l'integrazione: l'incontro si produce e lo scontro si risolve generando innovazione del pensiero.

L'apertura culturale ha permesso nel tempo di cogliere i profondi cambiamenti di cui è stata testimone e spesso anticipatrice: una risorsa preziosa per capire l'evoluzione della società e per aumentare la sensibilità delle persone verso gli aspetti meno evidenti del mondo e della sua complessità. E' inoltre, oggi come ieri, un fattore di stimolo alla creatività e un utile strumento per far interagire e avvicnare il diverso.

Saremo capaci in futuro di essere sempre più nomadi, spostando frontiere e barriere, giocando con la realtà ma mantenendo sempre salda la capacità di porci delle domande?


Monique Veaute


prodotto dal blog AVOICOMUNICARE

• Galileo: Il dialogo possibile tra fede e scienza


Su Conquiste del lavoro del 6 dicembre u.s. è stato ripreso il dialogo possibile tra scienza e fede, ricordando l’insegnamento di Galileo. Tra l’altro in tale occasione si è ribadito che scienza e teologia sono due cittadelle distinte, non opposte. Per raggiungere la nuda veritas di oraziana memoria, il principale compito della scienza, serve guardare al passato per purificare la mente, ma è fondamentale porgere lo sguardo al futuro. Il convegno ”La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei”, organizzato in Vaticano da Finmeccanica per il 60esimo anniversario dalla sua fondazione, punta su dialogo e arricchimento reciproco tra scienza e fede. L'iniziativa è servita a riaprire un dibattito culturale sui temi legati alla rivoluzione scientifica apportata da Galileo Galilei e inaugura una serie di eventi in programma per il 2009, proclamato Anno Internazionale dell’Astronomia dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Proprio il prossimo anno ricorreranno, infatti, i 400 anni dell’utilizzo da parte di Galileo Galilei del cannocchiale astronomico, con la scoperta dell'esistenza di altri mondi e la nascita del sapere moderno.
”La scienza - ha esordito Pier Francesco Guarguaglini, amministratore delegato di Finmeccanica - attraverso la ragione e la tecnica verifica ciò che è possibile o meno in natura, mentre il mondo spirituale accompagna l'uomo nella ricerca del bene per sé e per l'umanità". Anche lo scienziato però deve tendere al bene, alla verità, sviluppando tecnologie che migliorino le condizioni di vita e - ha concluso Guarguaglini - Finmeccanica tenta di costruire il futuro sulla base di ricerca e tecnologia, per garantire a tutti un domani più sicuro”. Galileo Galilei fu il primo protagonista di questa novità; l'astronomo infatti rivoluzionò il pensiero sostenendo la teoria eliocentrica dell'universo, ma per le sue affermazioni scientifiche fu costretto all'abiura.
Sul caso Galileo il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, ha ammesso le lacune di alcuni uomini di Chiesa dell'epoca ed ha esaltato la figura dello scienziato perché "ci ha insegnato che scienza e fede non si contrappongono, si confrontano e non si combattono". Oggi però, ha aggiunto il cardinale, ”si impone un rinnovamento morale se si vuole che le risorse scientifiche e tecniche siano messe a servizio dell’uomo”, perché mancano strumenti e metodi di valutazione etica adeguati e leggi morali. I rappresentanti del mondo scientifico e cristiano guardano nella stessa direzione; oggi più che mai il contrasto tra scienza e fede si rivela velleitario e anacronistico perché i due settori hanno punti di incontro e uno stesso oggetto che è l'uomo e il cosmo. "L'unica differenza - ha precisato monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura - è che la lettura è fatta da prospettive differenti. Compito di scienziati e teologi, perciò, è quello di cominciare a guardare reciprocamente ai rispettivi altrui terreni, vedendo che esistono punti di intersezione".

venerdì 5 dicembre 2008

• Economia sociale di mercato

Dopo il fallimento plateale (e come poteva essere altrimenti?) del sistema finanziario globale, di cui stiamo subendo le drammatiche ricadute negative (in termini di occupazione e di equità sociale), si st
a ora cercando di correre ai ripari 'teorici' in caccia di una nuova dimensione meno dirompente, complementare - e non alternativa - al 'liberismo compassionevole', alla Bush, alla Tremonti/Berlusconi & c. per intenderci. Interessanti le mosse in questi giorni per proporre una rivisitazione della "economia sociale di mercato". Così assistiamo alla prolusione del Ministro Giulio Tremonti, letta in occasione dell'inaugurazione del nuovo Anno Accademico presso l'Università Cattolica di Milano. Scrive il prof. Flavio Felice: «Ha suscitato un ampio dibattito che investe l'oggetto e il metodo della scienza economica, analizzati non più unicamente nell'angusta dimensione mono-disciplina e neppure in quella, talvolta confusa e pressappochista, di chi giustappone in modo inter-disciplinare concetti quali etica ed economia, bensì nel tentativo, piuttosto inedito e di sicuro interesse, dato dal metodo trans-disciplinare.» [http://www.zenit.org/article-16388?l=italian]. Sottolinea: «Il secondo elemento teorico avanzato da Tremonti riguarda l'esigenza che i contenuti etici della riflessione sull'azione umana incontrino i contenuti scientifici della riflessione economica. A tal riguardo, il nostro cita un saggio del prof. Ratzinger del 1985: Church and Economy. La tesi dell'allora Cardinale si può riassumere in questo modo: il declino del riferimento morale della disciplina economica avrebbe portato le leggi stesse del mercato al collasso. Come dire, per usare un aforisma di Luigi Sturzo, "L'economia senza etica è diseconomia". È stato proprio Luigi Sturzo a scrivere nel 1958 un saggio tra i più significativi in questa prospettiva: Eticità delle leggi economiche. Qual era il punto sottolineato da Sturzo? Dal momento che ogni attività autenticamente umana, in quanto razionale, è pervasa di eticità, anche nelle leggi dell'economia capitalistica si deve trovare l'elemento razionale, poiché tale elemento non può mancare in nessuna struttura umana di carattere associativo, anche se non mancheranno le infiltrazioni di pseudorazionalità e di irrazionalità che tendono ad annullare, o comunque ad attenuare, il carattere razionale ed etico del sistema.» [
www.ilsussidiario.net]
Ma quanto sembra riproporre il ministro Tremonti sembra più essere un ripiego del momento, alla ricerca di un modello necessariamente diverso e nuovo a cui rifarsi. L'Economia Sociale di Mercato, (il "Modello Renano" - spesso richiamato a tal proposito) a quali tensioni cercano di rispondere e con quale visione della società, quali relazioni tra le persone, quali caratteristiche della partecipazione? Quali esperienze? [http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=212900].
Diverse sono le letture, diversa è la versione italiana del dopoguerra (poi fatta degenerare, tipo IRI, e velocemente liquidata lasciando scoperti ampi varchi). Troppo spesso le parole perdono significato. Per cui non si capisce proprio cosa vuol dire economia quando si parla, per esempio, di Alitalia, in cui l'unica cosa di sociale che ne è venuta fuori è la socializzazione dei costi (debiti, privilegi, etc) e in cui l'unico mercato è quello affaristico/finanziario nel quale i soliti noti, che amano farsi chiamare imprenditori, lucrano a spese della collettività; ancora una volta in caccia del bene pubblico per stare in piedi (e poi ... "salvare" posti di lavoro !).

domenica 30 novembre 2008

• Vivere la propria cittadinanza



Il 22 novembre scorso, nel ricevere la cittadinanza onoraria della città di Agrigento e il Premio internazionale “Empedocle” per le scienze umane durante una cerimonia tenutasi nel teatro "Pirandello" di Agrigento il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha proposto un intervento sui «Principi su cui radicare e vivere la propria cittadinanza». Lo ha sviluppato in 10 tappe ( 1. Omaggio a Pirandello - 2. Il premio internazionale "Empedocle" - 3. La Cittadinanza onoraria - 4. Principi su cui radicare la propria cittadinanza - 5. L'onestà è un bene a vantaggio di tutti - 6. Obblighi e doveri di ogni cittadino - 7. Carta dei doveri del cittadino - 8. Doveri su cui radicare la cittadinanza - 9. I principi di responsabilità, di sussidiarietà e di solidarietà - 10. Conclusione: ritrovare l'unità tra fede e ragione.).
Ha affermato tra l’altro: «Il principio di responsabilità chiede anche ad ogni cittadino l'osservanza delle leggi, non solo e non tanto per timore delle sanzioni, quanto principalmente per dovere
di partecipazione e di solidarietà. Esso invita anche chi si sente portatore di fondate ragioni di dissenso, ad esprimerle con chiarezza e nei modi previsti dalle regole della convivenza, consapevole che spesso nella storia l'obiezione aperta e argomentata e l'obbedienza a principi più alti della legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) hanno fatto da guida all'innovazione creativa e al cambiamento.»

venerdì 28 novembre 2008

• È arrivato il momento di reagire


Su EUROPA  di questa mattina, PierPaolo Baretta (ex segretario confederale della CISL) affronta il problema del rinnovamento reale di metodi, comportamenti e contenuti di partiti italiani ed europei - ora presenti. Naturalmente mette in primo piano quelli del Partito Democratico - al quale ha aderito. Richiama all'urgenza di superare i cascami di vecchie ideologie e di vecchi percorsi della organizzazione del consenso, che sollecitano ancora molti. Chiede che ci si confronti con realtà diverse che hanno già sperimentato certi percorsi e  che, pur nelle loro esasperazioni, si stanno confrontando con le mutazioni in atto a livello locale e globale.
« In effetti, è arrivato il momento di reagire. Anche il loggione deve fare la sua parte per impedire che la storia del Pd si riduca a uno spettacolo sbiadito e senza regia.
Certo i giornali esagerano; c'è un tiro al piccione esasperante e ingiusto che diventa, oggettivamente, un attacco al Partito democratico in sé, più che alle sue politiche. Inoltre, Berlusconi si concede nei confronti del Pd e di chi lo dirige performance indecenti... Ma, anche tra di noi c'è chi ci mette del suo, e non è solo Villari. Parafrasando Trilussa («un lupo disse a Gi
ove: qualche pecora dice che rubo troppo; ci vuole un freno per impedire che inventino queste chiacchiere. E Giove gli rispose: ruba meno!»), anche noi dovremo mettere un freno all'autolesionismo.
A cominciare dal distinguere tra libertà di parola e parola in libertà. Non si tratta di rinunciare al dibattito, ma di passare dal gossip politico ai contenuti. Se esistono diverse linee è bene che lo si dica esplicitamente senza affidarsi ai commentatori, magari dello "schieramento a noi avverso".Se si pensa che bisogna cambiare il segretario, non criticarlo che è normale ma proprio sostituirlo con un altro, lo si dica chiaro e si agisca di conseguenza. Se non è così, come mi auguro per un elementare benessere mentale e fisico del nostro partito, si dia un taglio e si faccia quadrato. Assicuro i protagonisti che la distinzione tra il dibattito sul merito e quello sugli organigrammi si capisce bene e che questa distinzione è condizione decisiva (i "vecchi" dovrebbero saperlo bene) per chiedere al vertice di modificare questo o quell'atteggiamento politico.
La collocazione internazionale può essere uno di questi punti di differenza? Bene, lo si affronti in una discussione 
vera, negli organismi.
Io penso che la coerenza vorrebbe che si avesse il coraggio di andare oltre e di proporre un nuovo gruppo europeo democratico. Ho letto che nella nuova formazione di centrodestra si sostiene che l'appartenenza al gruppo popolare europeo è ragione di identità. È un'affermazione datata e non corrispondente alla natura stessa della operazione politica che Berlusconi e Fini insieme stanno facendo.
Personalmente penso che anche la socialdemocrazia europea debba evolvere oltre se stessa. Vale, ovviamente, anche per il popolarismo.
Faccio, a questo proposito, un esempio che mi consente, anche, di enunciare quella che ritengo la priorità politica di questa fase storica.
La centralità della questione sociale e dello sviluppo sostenibile in una economia di mercato globale devono 
rappresentare il cuore dell'identità democratica post Ds e post Margherita.
Questa strategia si definisce su parametri ben diversi da quelli in uso negli schieramenti attualmente consolidati in Europa,ancora intrisi di ideologia. Basta pensare allo Stato-nazione, alle crisi strutturale delle sue prerogative (al di là dei momentanei ritorni di fiamma, come in questo momento) anche a fronte dell'incombenza del territorio come identità, in rapporto all'Unità europea e all'Europa dei popoli.
La crisi accentua tutto ciò. La sua dimensione, la profondità degli effetti, anche istituzionali, chiamano in gioco non solo le regole economiche, ma anche la natura e le forme di un'incompiuta democrazia globale. Tutto ciò ci colloca in uno scenario che di certo rilancia nell'attualità i valori di fondo tipici del cattolicesimo democratico e del socialismo riformista (la giustizia sociale, la centralità della persona, la solidarietà e la sussidiarietà...).
Ma è del tutto evidente la necessità di dar vita a una cultura e a delle risposte totalmente inedite e proiettate decisamente verso il secolo ancora nascente. Questo è il senso vero dell'esperienza americana.
Quando si pensa a Obama (anche ai Clinton e, a ben vedere, ai Kennedy) non viene in mente la parola "sinistra", né "cristiano sociale".
Viene in mente "politica" nella sua più piena, autonoma e moderna visione. Eppure, quando pensiamo a Obama, non ci sentiamo orfani di quelle culture, ma ne vediamo, al contrario, le possibili applicazioni politiche.
Suscitare le speranze di un mondo migliore è il compito che il Partito democratico si è assunto con la sua nascita, e la campagna elettorale ne è stata il primo segno tangibile. Errori ce ne sono stati, ci mancherebbe, ma è stata un buona campagna elettorale, convincente anche se non vincente. Penso che bisogna ripartire da lì. Con quello spirito e quella volontà.
La sconfitta è stata seria, ma non è una condanna storica. Non è dunque saggio dimenticare la mobilitazione di popolo e di idee che hanno mobilitato la prima campagna di massa del nuovo partito. Che senso ha ripartire ogni giorno da zero o avvitarsi in estenuanti esami di coscienza, soprattutto perché nessuno li fa alla propria, come prescrive la regola, ma ciascuno li fa alla coscienza dell'altro? Infine, mi chiedo: cosa possiamo fare noi, parlamentari, per contribuire all'uscita dal tunnel? Può il gruppo parlamentare, pur nel rispetto delle appartenenze soggettive a questa o quella espressione... di pensiero, farsi "luogo" di incontro, ricerca e proposta davvero trasversale e unitario? Se ci crediamo possiamo riuscirci e sarebbe un passo avanti, anche per dare al lavoro parlamentare uno sbocco esterno che raggiunga le nostre periferie, i circoli, i militanti. Azzardo a dire che molti colleghi sarebbero ben contenti che questo avvenisse...»


sabato 22 novembre 2008

• Urgono Solidarietà e responsabilità


Maggioranze e minoranze - impigliate nelle reti da loro stesse tessute - discettano se Villari deve rimanere o meno Presidente della Commissione per la vigilanza Rai (e come forzarne decisioni funzionali alle loro scelte): Il governo cerca di uscire - faticosamente come il quadro consente - dalle secche nelle quali si è cacciato, in parte, e lo hanno cacciato i sismi finanziari globali ed assumere la capacità di inquadrare strategicamente il da farsi. Populisti e non populisti, pessimisti ed ottimisti, rispettosi delle oligarchie o meno siamo in attesa guardinga. Villari aiuta a nascondere ritardi ed incertezze. 
Solidarietà e responsabilità sembrano due ospiti che fanno capolino - timidamente - mentre i padroni di casa si attardano pensosi e cercano di scaricare le loro incertezze  su soggetti sbilanciati ai margini, cioè altrove. Intanto i due ospiti son o contesi da due soggetti che non trovano di meglio che non trovare una via unitaria di attacco in difesa dei loro soci e di tutta la Comunità. Alla assemblea Nazionale dei Quadri e dei delegati dei pensionati della CISL  si dice, con amarezza: "Con 400 euro di pensione ci arrangiamo, ma siamo stufi di essere trattati da straccioni" "non vogliamo l'elemosina della social card" "esigiamo un taglio di tasse vigoroso su pensioni e lavoro dipendente. Sussulti di rabbia e vergogna."  La storia è la stessa da Nord a Sud, il problema dei pensionati non è solo la solitudine, ma la sopravvivenza. Ma per giornali, partiti e associazioni imprenditoriali per ora questo quadro sembra essere una illusione ottica, una realtà virtuale! 
Dice Bonanni - segretario generale della CISL: ''Chiediamo un intervento vigoroso sulle tasse per lavoratori e pensionati, in modo da rafforzare" la loro capacità di intervento nella catena economica ed a tutela del loro ruolo sociale. "Bisogna dare una risposta - ha ribadito - e' inutile fare analisi sui consumi che scendono, se la popolazione anziana che e' la più' numerosa, e' in difficoltà'. Spero che il governo ci convochi per discutere dei problemi del paese, assumendosi le proprie responsabilità'. La nostra richiesta non sara' di natura politica. Ma, se il Governo non dovesse rispondere, arriveremo alla mobilitazione generale." Intanto per rendere ... più solida l'azione di tutela e di recupero di ruolo, il segretario della CGIL già da tempo va per conto suo. A mio avviso, indebolisce grandemente la possibilità e capacità di incidere dei più deboli (ultimi e penultimi) in particolare. 
È urgente, per tutti, che si intervenga, ad ogni livello, con azioni condivise tra tutti i soggetti che interagiscono nel quadro sociale ed economico. Tutti in ugual grado di responsabilità e possibilità d'intervento il meno conflittuale possibile. La situazione è drammatica!

sabato 15 novembre 2008

• Cos'è la dittatura della maggioranza?


In questi giorni sempre più spesso per descrivere la nostra situazione istituzionale si usa l’espressione “dittatura della maggioranza”. Questo accade quando si parla dell'eccessivo ricorso a decreti legge e voti di fiducia (che di fatto esautorano il Parlamento), di manifestazioni di insofferenza ed arroganza nel riferirsi ad avversari politici, di controllo di sistemi di comunicazione, di leggi elettorali e simili. La frequenza del termine, a mio avviso, è eccessiva, ma la preoccupazione c’è in tutti coloro che ritengono la Costituzione repubblicana un punto di riferimento di valori civili, tuttora valido ed efficace. Ma di cosa si tratta?
DITTATURA DELLA MAGGIORANZA si ha quando si usa la maggioranza come strumento passivo della volontà dell’Esecutivo; quando sono presenti condizioni in forza delle quali si ha un presidente del Consiglio con poteri quasi assoluti che esautorano il capo dello Stato e svuotano i compiti del Parlamento. In sostanza la maggioranza "decide" e non tiene in considerazione la verifica o addirittura l’identità degli obiettivi attraverso i quali raggiungere effetti da entrambi ricercati anche con l’adozione di idee progettuali autorevole o talvolta più adeguate ad un determinato contesto.

È bene però precisare che altra cosa è la dittatura storicamente affermatasi in varie nazioni nel secolo scorso attraverso il fascismo, il franchismo, il nazismo. il comunismo o regimi ‘assoluti’ intestati a colonnelli o generali. In ciascuno di quei casi un "primo" si è insediato senza tener conto della volontà popolare espressa o esprimibile in libero suffragio universale.

giovedì 13 novembre 2008

• Benvenuto Presidente Lula


Mi si prenderà per un inguaribile "romantico", ma vedere e leggere di LULA divenuto Presidente di uno dei Paesi emergenti più importanti del mondo (il Brasile), mi emoziona moltissimo. Tanta parte della storia personale di noi sindacalisti degli anni '70 impegnati nella CISL italiana lo ricordano nei ruoli sociali e civili di frontiera che ha sempre svolto; ricordano le lunghe chiacchierate notturne (spesso) nel prato antistante il Centro Studi di Fiesole con persone che non erano qui in villeggiatura ma a prepararsi per meglio affrontare le battaglie 'risorgimentali' dei loro Paesi. Non ho avuto la fortuna di incontrare Lula, allora. Ma in lui rivedo e riascolto i tanti che cercammo di sostenere nei loro percorsi di libertà e di partecipazione. Qualcuno è arrivato sulla tolda di comando, ma quanti sono caduti! I giornali di oggi quasi non parlano di questo avvenimento (il Presidente di una grande repubblica che riconosce l'autorità morale e civile di un sindacato italiano, che ha conosciuto da vicino!).
[Foto Cisl - Dal palco della conferenza internazionale Nuova economia, nuova democrazia, svoltasi a Roma il 12 novembre]

lunedì 10 novembre 2008

• Se n'è andata Mama Africa, Miriam Makeba.


Se n'è andata Mama Africa, Miriam Makeba.
Aveva speso tutta la sua vita per l’impegno civile ed è morta "sul campo", a Castel Volturno, un luogo-simbolo della lotta alla criminalità ed alla sopraffazione, dove aveva voluto partecipare a tutti i costi, nonostante le non brillanti condizioni di salute, al concerto anticamorra a sostegno dello scrittore Roberto Saviano.
La mia generazione l'ha vista battersi con decisione e vigore contro il regime dell’apartheid che aveva dilaniato il suo Paese, il Sudafrica. Una testimone di partecipazione. Non a caso era diventata delegato delle Nazioni Unite.
Non a caso il suo impegno contro la segregazione razziale, ingigantito dalla fama di cantante nota in tutto il mondo, aveva causato la reazione del governo sudafricano che, nel 1963 - in pieno regime di apartheid - l’aveva costretta all’esilio ed aveva messo al bando tutti i suoi dischi.
Dopo che le fu imposto l’esilio, per tornare in Sudafrica, Miriam Makeba dovette attendere quasi 30 anni: soltanto nel 1990, infatti, Nelson Mandela riuscì a convincerla a tornare nella terra dove era nata - sua madre era di etnia swazi e suo padre, morto quando lei aveva sei anni, era uno Xhosa - e che era stata costretta ad abbandonare.
È nei miei ricordi e nella mia preghiera.
Giorgio Gaber (La libertà. 1972) scrisse e cantò queste parole, forse pensando a coloro che come Lei non sono stati alla finestra ad attendere che altri facessero:
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,

la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione.