• «RICONOSCERE IL SIMILE NEL DISSIMILE: PRESUPPOSTO DELLA PACE» [Beibei Zhang]
martedì 30 dicembre 2008
• Il Parlamento prigioniero
Fa piacere e tristezza, leggere la riflessione del prof. Pera. Per quanto so (ed è colpa solo della mia disattenzione se sbaglio!) oggettivamente un po’ tardiva. La voce di gente che, come me (e non ero solo), facevano la facile previsione di quanto oggi anch'egli prende atto. Quella voce era troppo distante dal potere gestionale per essere considerata da lui e da chi per delega come lui operava nelle istituzioni.
In toscana fu compiuto uno dei primi atti formali. Se ben ricordo, si prese atto dell’accordo tra DS e Forza Italia con gli altri più o meno da comparse o semplici testimoni. Poi il tutto si trasferì a Roma. Qui babbo e mamma dell'attuale ibrido fu tutto il centrodestra. Con la Lega Nord che non si sa bene quale pesce volesse essere, tutta proiettata sul proprio 'particulare'. I Granduchi ‘repubblicani’ sceglievano i propri consiglieri (da utilizzare solo quando ne sentivano la necessità). Unica correzione reale a tutto questo fu la ricerca de voti di preferenza, reclamata convintamente dall’Udc - ma non conseguita.
Il Parlamento prigioniero, dice Pera. È bene essere più precisi: la democrazia parlamentare e la partecipazione, tanto faticosamente perseguite nei primi quarant'anni di Repubblica, sono prigioniere.
Dobbiamo recuperare rapidamente la speranza e rimboccarci nuovamente le maniche, se l'attuale sistema mass-mediale non ci avrà fatto - mediamente - del tutto rinconbellire, con tanta gioia aggiuntiva di chi da tempo sguazza in salsa gelliana.
È stato immolato Prodi sull'altare di un sinistrismo di maniera, di approssimazioni formalmente democratiche e di chiacchiere da bar dello sport. Si è posto ai margini il rapporto-chiave tra etica e politica del ‘fare’, ad ogni livello. Tali madornali errori stanno portando al collasso il Paese. Il prof. Pera termina con queste parole: «C’è solo da sperare che non si trasformi in una tragedia, il giorno in cui la crisi costituzionale e politica si dovesse combinare con una economica e sociale. » Speriamo che non sia troppo tardi.
Qui di seguito trascrivo la riflessione del prof. Marcello Pera, apparsa quest'oggi sul quotidiano
La Stampa
Il parlamento prigioniero
di Marcello PERA
La dichiarazione del presidente del Consiglio a favore del presidenzialismo è stata forse estemporanea, ma nessuno che avesse seguito con attenzione l’evolversi del nostro sistema politico e costituzionale negli ultimi anni dovrebbe stupirsene. In sostanza Berlusconi ha detto: «Io ho trasformato l’Italia in una repubblica presidenziale». Epoi: «Io ho il consenso del popolo, e perciò io mi candido con elezione diretta alla presidenza della Repubblica. Perché non dovrei dare forma di diritto a ciò che già esiste, in gran parte per merito mio, in punto di fatto?». Chi si stupisce non è stato attento a ciò che è accaduto. È in corso da tempo una crisi degenerativa che ha cambiato il nostro sistema, ne ha eroso la natura democratica, lo ha lasciato in sospeso, e ora lo espone persino ad avventure. Il federalismo, che darà un colpo d’accetta al bilancio statale e di martello all’unità d’Italia, sarà l’ultimo episodio. Di questa degenerazione, i protagonisti e i cittadini percepiscono perlopiù i segni esteriori e li fraintendono, alla maniera di coloro che non capiscono che, guardando il dito, non si vede la luna. I parlamentari di maggioranza lamentano la loro riduzione a macchinette schiacciabottoni, il cui unico contributo intellettuale consiste nel ricordarsi che il bottone verde è il secondo da sinistra e quello rosso il primo da destra. I parlamentari di opposizione lamentano la loro trasformazione in spettatori di votazioni dall’esito scontato. Gli uni e gli altri lamentano che non possono emendare neppure una virgola dei decreti del governo, peraltro gli unici provvedimenti che sono portati in Aula, essendo da tempo scomparsa l’iniziativa parlamentare delle leggi. I presidenti delle assemblee lamentano che il governo non dia spazio al dibattito e li costringa, con i decreti, i voti di fiducia, i tempi contingentati, a fare da passacarte della sua volontà. I cittadini lamentano la distanza della politica e se la prendono con la «casta». Ma tutto questo è colore, e comunque effetto, non causa. Le principali ragioni profonde della degenerazione consistono in due sequestri. Il primo è il sequestro della rappresentanza parlamentare. Esportata dalla Toscana, la legge elettorale su liste bloccate ha avuto due effetti immediati: il parlamentare eletto, dopo una campagna elettorale cui ha assistito da spettatore televisivo senza muovere un dito se non per fare zapping, ha perduto qualunque interesse al suo territorio di riferimento, e il cittadino elettore non ha più avuto suoi rappresentanti. Non solo costui non ha messo il naso nella loro elezione, non li ha mai visti né conosciuti, e non sa dove incontrarli. Così i gruppi parlamentari sono diventati solo la corte del leader del partito, da lui scelta in base all’affidamento personale verso sé medesimo, non a quello politico verso gli elettori. Chi oggi si lamenta della tanta piaggeria e cortigianeria che vede in giro dovrebbe anche riflettere che la legge toscana piace a tutti i capi partito, tanto che cercano di estenderla anche alle elezioni europee. L’altro sequestro è quello, conseguente, del Parlamento. Quando, col sistema toscano, il capo del partito diventa presidente del Consiglio, il Parlamento, composto di sola gente al seguito, si trasforma in una sua propaggine esterna. E se per caso questa non risulta maneggevole e arrendevole come egli vorrebbe, ecco nascere la richiesta di riforme. Non ci è forse toccato di sentir dire che in Parlamento basterebbero una trentina di persone, oppure che si potrebbe votare solo nelle commissioni, oppure che potrebbero votare solo i capigruppo? Forse sono scherzi, ma hanno l’aria di essere freudiani. Dopotutto, a che serve il Parlamento se fa tutto il governo? E se deve fare tutto il governo, e per esso il suo capo, a che servono tante procedure? Il sequestro del Parlamento da parte del governo ha anche altre cause. Quando il governo sigla un accordo con i sindacati, il Parlamento è chiamato solo a mettere il timbro. Quando il governo fa un’intesa con le Regioni, il Parlamento può solo ratificare. Quando il governo se la vede direttamente addirittura con alcuni pochi sindaci, il Parlamento appone la firma. E così via, con le associazioni, le categorie, i gruppi organizzati, eccetera. Per non parlare delle nomine negli enti o delle autorità. Si obietterà che al Parlamento, anche sotto sequestro, resta pur sempre il potere di far cadere il governo. Ma non è vero. Quella minaccia è un’arma senza la punta: perché se cade il governo si rivota e i capibastone (qualifica che i capibastone danno a chi li disturba) eleggono un altro capo che ripeterà le orme del predecessore. Solo che, di questo passo, sequestro dopo sequestro, il sistema degenera. Se poi si aggiunge la circostanza tragica che oggi in questo sistema non c’è neppure l’opposizione politica, per malattia grave sua propria e perché neanch’essa capisce le cause vere della crisi italiana, anzi le coltiva al pari della maggioranza, allora si deve concludere che, sempre di questo passo, degenera anche la democrazia. Già adesso siamo alle folle - «oceaniche» si sarebbe detto una volta - sotto i gazebo e sotto le tende delle primarie. Approfittando delle lunghe file, anziché spingere il poveretto che sta davanti, sarebbe il caso di soffermarsi a riflettere. Non certo sulla perduta «centralità del Parlamento», per metterci una toppa, come toppe sarebbero il presidenzialismo, il Senato federale, o un nuovo Csm, ma su una questione più importante e di sistema: la nostra Costituzione è ancora un patto che lega gli italiani? È ancora uno strumento efficiente e adeguato? C’è stato un tempo in cui, soprattutto nel centrodestra, queste domande erano all’ordine del giorno. E ce ne fu un altro in cui un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, considerato matto perché dava il meglio di sé quando faceva il matto, le pose all’attenzione di tutti. Oggi è scena muta. Ed è un grave errore. C’è solo da sperare che non si trasformi in una tragedia, il giorno in cui la crisi costituzionale e politica si dovesse combinare con una economica e sociale
lunedì 29 dicembre 2008
• "Serve un lavoro dignitoso"
lunedì 22 dicembre 2008
• Elettori in ritirata
domenica 21 dicembre 2008
• Presidenzialismo?
"Dai, picchia e mena" è venuto fuori il rospo!
In un precedente post dicevo anche che «la prima "amoralità" pubblica è che si finanzino partiti che non hanno, di fatto, percorsi democratici interni e che si continui a non considerare che il primo problema pubblico è che la gestione del potere è saldamente tenuto in mano da gruppi dirigenti oligarchici attenti, ma non troppo, a quanto accade nella Comunità e nelle relazioni interpersonali tra i cittadini.» « Le culture presidenzialiste ed autoritative (qualcuno le chiama aziendaliste) vanno per la maggiore. Il cittadino, le famiglie si sentono vieppiù marginali ed inciampo occasionale.» Riprendo il discorso aggiungendo che esso non rispondeva a timori ma ad una conseguenza razionale delle prese di posizione che da quindici (dico 15 anni!) Berlusconi, i suoi alleati di AN e contorni vari, più o meno apertamente proclamano. Ho scritto recentemente: «dobbiamo impegnarci perché siano superate forme elettorali anomale - come le attuali - che forzano per un bipartitismo senza capo né coda, o per un presidenzialismo in salsa gelliana.»
Non mi fa piacere, in questo caso, fare la parte della Cassandra! Dobbiamo attrezzarci per respingere questa volontà che, di fatto, ci riporterebbe indietro di 70 anni. L'averla proposta, oggi, in conferenza stampa di fine anno da parte del Presidente del Consiglio, può servirgli nell'immediato a cercare di distogliere l'attenzione dai provvedimenti socio-economici del governo da lui voluto e gestito, dalle manipolazioni applicative delle nuova normativa scolastica e dal tentativo di aumentare le sudditanze al potere del momento. Ciò non toglie che la proposta è nel piatto e, questa volta, non 'velata'.
Confusione, approssimazioni e piccole (e grandi) arroganze, individualismi hanno fatto cadere il governo Prodi e lo hanno fatto rappresentare come un 'demone'. Aveva certamente le sue debolezze. Ma questo è il risultato! Non sarebbe il caso di rimboccarci le maniche, uomini e donne (conservatori, riformisti e moderati) per riassumere il nostro ruolo primario di cittadini?
sabato 20 dicembre 2008
• Aiutare chi non ha lavoro
martedì 16 dicembre 2008
• Poteri autoreferenziali con debole controllo ex-post.
UNA PICCOLA REGIONE. UN VOTO DI QUALITÀ IMPORTANTE.
domenica 14 dicembre 2008
• Con tanti saluti alla famiglia!
venerdì 12 dicembre 2008
• Non è un paese per giovani
Afferma, inoltre, che "La mancanza di una mentalità da giovane la si trova non solo tra i sindacati, ma anche in alcune scelte governative. Imporre limiti più elevati e rigorosi alle emissioni inquinanti avrà certamente dei costi nel breve periodo. Questi costi saranno più alti per Italia e Germania, due Paesi con una quota di industrie inquinanti superiore alla media europea. Ma i benefici nel lungo periodo saranno certi. Si avrà un'aria più pulita e si potrà anche sprigionare la corsa a investire risorse e talenti in nuovi settori emergenti, quali quelli della diffusione delle fonti rinnovabili. La minaccia del governo italiano di porre il veto al vertice europeo sulle emissioni inquinanti riflette la paura e la mancanza di voglia di investire nel futuro." Aggiungo non il desiderio, ma la volontà di investire sul futuro.
"Anche nella stessa università, il luogo dove si formano i giovani e i cervelli di domani, sembra prevalere troppo spesso la mentalità dei meno giovani. Distribuire le risorse statali tra le università in base alla qualità della ricerca, invece che soltanto in base al numero degli studenti come avviene oggi, richiederebbe per molti atenei dei costi nel breve periodo. Tuttavia i benefici nel lungo periodo per il Paese, in termini di aumento della ricerca prodotta dalle nostre università, dovrebbero essere chiari a tutti. Eppure fino ad ora questa riforma non è stata fatta, anche se a parole sembrano tutti favorevoli.
Il Paese è ormai in una vera e propria recessione. I dati diffusi ieri dall'Istat ci hanno confermato che nel terzo trimestre dell'anno la produzione in Italia si è ridotta dell'uno per cento. La recessione può anche essere il momento delle grandi ristrutturazioni, come ci ha insegnato Schumpeter. L'Italia ha spesso dimostrato che nei momenti peggiori riesce a fare le cose più impensabili." Sperarci non è utopia, ma azioni para-sindacali come questa della CGIL, non aiutano. Al di là del successo quantitativo e psicologico che avranno, fanno annotare una cultura altrettanto vecchia quanto quella di chi in questa fase è stato posto elettoralmente alla guida del Paese.
lunedì 8 dicembre 2008
• L'identità nasce dal confronto?
È possibile determinare un’identità a partire dalal cultura o dal confronto di più culture?
Come si può stare aòpasso con il mondo di oggi, così cosmopolita, multiculturale e poliglotta e nel quale la comunicazione è così profndamente camboata grazie a social network, telelvisione satellitare, email?E' certamente la cultura il soggetto grazie al quale poter costruire risposte a queste domande, ma soprattutto lo strumento prezioso per affrontare ogni giorno nuovi interrogativi.
E' in questa attitudine alla scoperta, la predisposizione a capire e dialogare, che si può realizzare l'integrazione: l'incontro si produce e lo scontro si risolve generando innovazione del pensiero.
L'apertura culturale ha permesso nel tempo di cogliere i profondi cambiamenti di cui è stata testimone e spesso anticipatrice: una risorsa preziosa per capire l'evoluzione della società e per aumentare la sensibilità delle persone verso gli aspetti meno evidenti del mondo e della sua complessità. E' inoltre, oggi come ieri, un fattore di stimolo alla creatività e un utile strumento per far interagire e avvicnare il diverso.
Saremo capaci in futuro di essere sempre più nomadi, spostando frontiere e barriere, giocando con la realtà ma mantenendo sempre salda la capacità di porci delle domande?
Monique Veaute
• Galileo: Il dialogo possibile tra fede e scienza
Su Conquiste del lavoro del 6 dicembre u.s. è stato ripreso il dialogo possibile tra scienza e fede, ricordando l’insegnamento di Galileo. Tra l’altro in tale occasione si è ribadito che scienza e teologia sono due cittadelle distinte, non opposte. Per raggiungere la nuda veritas di oraziana memoria, il principale compito della scienza, serve guardare al passato per purificare la mente, ma è fondamentale porgere lo sguardo al futuro. Il convegno ”La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei”, organizzato in Vaticano da Finmeccanica per il 60esimo anniversario dalla sua fondazione, punta su dialogo e arricchimento reciproco tra scienza e fede. L'iniziativa è servita a riaprire un dibattito culturale sui temi legati alla rivoluzione scientifica apportata da Galileo Galilei e inaugura una serie di eventi in programma per il 2009, proclamato Anno Internazionale dell’Astronomia dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Proprio il prossimo anno ricorreranno, infatti, i 400 anni dell’utilizzo da parte di Galileo Galilei del cannocchiale astronomico, con la scoperta dell'esistenza di altri mondi e la nascita del sapere moderno.
”La scienza - ha esordito Pier Francesco Guarguaglini, amministratore delegato di Finmeccanica - attraverso la ragione e la tecnica verifica ciò che è possibile o meno in natura, mentre il mondo spirituale accompagna l'uomo nella ricerca del bene per sé e per l'umanità". Anche lo scienziato però deve tendere al bene, alla verità, sviluppando tecnologie che migliorino le condizioni di vita e - ha concluso Guarguaglini - Finmeccanica tenta di costruire il futuro sulla base di ricerca e tecnologia, per garantire a tutti un domani più sicuro”. Galileo Galilei fu il primo protagonista di questa novità; l'astronomo infatti rivoluzionò il pensiero sostenendo la teoria eliocentrica dell'universo, ma per le sue affermazioni scientifiche fu costretto all'abiura.
Sul caso Galileo il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, ha ammesso le lacune di alcuni uomini di Chiesa dell'epoca ed ha esaltato la figura dello scienziato perché "ci ha insegnato che scienza e fede non si contrappongono, si confrontano e non si combattono". Oggi però, ha aggiunto il cardinale, ”si impone un rinnovamento morale se si vuole che le risorse scientifiche e tecniche siano messe a servizio dell’uomo”, perché mancano strumenti e metodi di valutazione etica adeguati e leggi morali. I rappresentanti del mondo scientifico e cristiano guardano nella stessa direzione; oggi più che mai il contrasto tra scienza e fede si rivela velleitario e anacronistico perché i due settori hanno punti di incontro e uno stesso oggetto che è l'uomo e il cosmo. "L'unica differenza - ha precisato monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura - è che la lettura è fatta da prospettive differenti. Compito di scienziati e teologi, perciò, è quello di cominciare a guardare reciprocamente ai rispettivi altrui terreni, vedendo che esistono punti di intersezione".
venerdì 5 dicembre 2008
• Economia sociale di mercato
a ora cercando di correre ai ripari 'teorici' in caccia di una nuova dimensione meno dirompente, complementare - e non alternativa - al 'liberismo compassionevole', alla Bush, alla Tremonti/Berlusconi & c. per intenderci. Interessanti le mosse in questi giorni per proporre una rivisitazione della "economia sociale di mercato". Così assistiamo alla prolusione del Ministro Giulio Tremonti, letta in occasione dell'inaugurazione del nuovo Anno Accademico presso l'Università Cattolica di Milano. Scrive il prof. Flavio Felice: «Ha suscitato un ampio dibattito che investe l'oggetto e il metodo della scienza economica, analizzati non più unicamente nell'angusta dimensione mono-disciplina e neppure in quella, talvolta confusa e pressappochista, di chi giustappone in modo inter-disciplinare concetti quali etica ed economia, bensì nel tentativo, piuttosto inedito e di sicuro interesse, dato dal metodo trans-disciplinare.» [http://www.zenit.org/article-16388?l=italian]. Sottolinea: «Il secondo elemento teorico avanzato da Tremonti riguarda l'esigenza che i contenuti etici della riflessione sull'azione umana incontrino i contenuti scientifici della riflessione economica. A tal riguardo, il nostro cita un saggio del prof. Ratzinger del 1985: Church and Economy. La tesi dell'allora Cardinale si può riassumere in questo modo: il declino del riferimento morale della disciplina economica avrebbe portato le leggi stesse del mercato al collasso. Come dire, per usare un aforisma di Luigi Sturzo, "L'economia senza etica è diseconomia". È stato proprio Luigi Sturzo a scrivere nel 1958 un saggio tra i più significativi in questa prospettiva: Eticità delle leggi economiche. Qual era il punto sottolineato da Sturzo? Dal momento che ogni attività autenticamente umana, in quanto razionale, è pervasa di eticità, anche nelle leggi dell'economia capitalistica si deve trovare l'elemento razionale, poiché tale elemento non può mancare in nessuna struttura umana di carattere associativo, anche se non mancheranno le infiltrazioni di pseudorazionalità e di irrazionalità che tendono ad annullare, o comunque ad attenuare, il carattere razionale ed etico del sistema.» [www.ilsussidiario.net]
domenica 30 novembre 2008
• Vivere la propria cittadinanza
Ha affermato tra l’altro: «Il principio di responsabilità chiede anche ad ogni cittadino l'osservanza delle leggi, non solo e non tanto per timore delle sanzioni, quanto principalmente per dovere di partecipazione e di solidarietà. Esso invita anche chi si sente portatore di fondate ragioni di dissenso, ad esprimerle con chiarezza e nei modi previsti dalle regole della convivenza, consapevole che spesso nella storia l'obiezione aperta e argomentata e l'obbedienza a principi più alti della legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) hanno fatto da guida all'innovazione creativa e al cambiamento.»
venerdì 28 novembre 2008
• È arrivato il momento di reagire
sabato 22 novembre 2008
• Urgono Solidarietà e responsabilità
sabato 15 novembre 2008
• Cos'è la dittatura della maggioranza?
In questi giorni sempre più spesso per descrivere la nostra situazione istituzionale si usa l’espressione “dittatura della maggioranza”. Questo accade quando si parla dell'eccessivo ricorso a decreti legge e voti di fiducia (che di fatto esautorano il Parlamento), di manifestazioni di insofferenza ed arroganza nel riferirsi ad avversari politici, di controllo di sistemi di comunicazione, di leggi elettorali e simili. La frequenza del termine, a mio avviso, è eccessiva, ma la preoccupazione c’è in tutti coloro che ritengono la Costituzione repubblicana un punto di riferimento di valori civili, tuttora valido ed efficace. Ma di cosa si tratta?
DITTATURA DELLA MAGGIORANZA si ha quando si usa la maggioranza come strumento passivo della volontà dell’Esecutivo; quando sono presenti condizioni in forza delle quali si ha un presidente del Consiglio con poteri quasi assoluti che esautorano il capo dello Stato e svuotano i compiti del Parlamento. In sostanza la maggioranza "decide" e non tiene in considerazione la verifica o addirittura l’identità degli obiettivi attraverso i quali raggiungere effetti da entrambi ricercati anche con l’adozione di idee progettuali autorevole o talvolta più adeguate ad un determinato contesto.
È bene però precisare che altra cosa è la dittatura storicamente affermatasi in varie nazioni nel secolo scorso attraverso il fascismo, il franchismo, il nazismo. il comunismo o regimi ‘assoluti’ intestati a colonnelli o generali. In ciascuno di quei casi un "primo" si è insediato senza tener conto della volontà popolare espressa o esprimibile in libero suffragio universale.
giovedì 13 novembre 2008
• Benvenuto Presidente Lula
Mi si prenderà per un inguaribile "romantico", ma vedere e leggere di LULA divenuto Presidente di uno dei Paesi emergenti più importanti del mondo (il Brasile), mi emoziona moltissimo. Tanta parte della storia personale di noi sindacalisti degli anni '70 impegnati nella CISL italiana lo ricordano nei ruoli sociali e civili di frontiera che ha sempre svolto; ricordano le lunghe chiacchierate notturne (spesso) nel prato antistante il Centro Studi di Fiesole con persone che non erano qui in villeggiatura ma a prepararsi per meglio affrontare le battaglie 'risorgimentali' dei loro Paesi. Non ho avuto la fortuna di incontrare Lula, allora. Ma in lui rivedo e riascolto i tanti che cercammo di sostenere nei loro percorsi di libertà e di partecipazione. Qualcuno è arrivato sulla tolda di comando, ma quanti sono caduti! I giornali di oggi quasi non parlano di questo avvenimento (il Presidente di una grande repubblica che riconosce l'autorità morale e civile di un sindacato italiano, che ha conosciuto da vicino!).
[Foto Cisl - Dal palco della conferenza internazionale Nuova economia, nuova democrazia, svoltasi a Roma il 12 novembre]
lunedì 10 novembre 2008
• Se n'è andata Mama Africa, Miriam Makeba.
Se n'è andata Mama Africa, Miriam Makeba.
Aveva speso tutta la sua vita per l’impegno civile ed è morta "sul campo", a Castel Volturno, un luogo-simbolo della lotta alla criminalità ed alla sopraffazione, dove aveva voluto partecipare a tutti i costi, nonostante le non brillanti condizioni di salute, al concerto anticamorra a sostegno dello scrittore Roberto Saviano.
La mia generazione l'ha vista battersi con decisione e vigore contro il regime dell’apartheid che aveva dilaniato il suo Paese, il Sudafrica. Una testimone di partecipazione. Non a caso era diventata delegato delle Nazioni Unite.
Non a caso il suo impegno contro la segregazione razziale, ingigantito dalla fama di cantante nota in tutto il mondo, aveva causato la reazione del governo sudafricano che, nel 1963 - in pieno regime di apartheid - l’aveva costretta all’esilio ed aveva messo al bando tutti i suoi dischi.
Dopo che le fu imposto l’esilio, per tornare in Sudafrica, Miriam Makeba dovette attendere quasi 30 anni: soltanto nel 1990, infatti, Nelson Mandela riuscì a convincerla a tornare nella terra dove era nata - sua madre era di etnia swazi e suo padre, morto quando lei aveva sei anni, era uno Xhosa - e che era stata costretta ad abbandonare.
È nei miei ricordi e nella mia preghiera.
Giorgio Gaber (La libertà. 1972) scrisse e cantò queste parole, forse pensando a coloro che come Lei non sono stati alla finestra ad attendere che altri facessero:
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.