sabato 26 settembre 2009

• Occupazione: Quanta? Quale? Come?


In questi giorni si fa un gran parlare del tasso di disoccupazione italiano, come uno dei migliori dell’occidente industrializzato. Gran parte dei TG ne trae considerazioni incoraggianti, spesso come se fossimo già fuori dal guado. Anch'io sono convinto che il peggio stia passando, ma l'occupazione continua ad essere un problema grave ed una priorità e condiziona pesantemente lo stato familiare e sociale della nostra Italia. Cerchiamo allora di capire meglio e più chiaramente la situazione. Il tasso di disoccupazione non tiene in alcun conto di chi non si iscrive - per mancanza di fiducia e scoraggiamento - nelle liste di chi ricerca impiego. E tutti siamo consapevoli che sono molti uomini e, in misura maggiore, molte donne,in ogni parte d’Italia

Per aver un punto di riferimento più credibile ed impostare ad ogni livello una strategia per il mantenimento e lo sviluppo del quadro delle professionalità disponibili territorialmente ed incrementare la produttività delle imprese che vogliono recuperare terreno, bisogna guardare al tasso di occupazione, per poter sviluppare una possibile strategia formativa e progettuale territoriale (attualmente in gran parte assente). Anche per avere la possibilità di un più serio ed attendibile confronto col resto d’Europa e rendersi conto che siamo nelle ultime posizioni. Non per piangere ma per reagire o chiedere di reagire più robustamente di quanto attualmente il sistema pubblico e privato facciano. Correggendo robustamente quanto si sta facendo alla luce del solo tasso di disoccupazione e corrispondendo più coerentemente a quanto avvertiamo quotidianamente sulla ‘stato’ delle persone. Cos’è e di cosa tiene conto? Il tasso di occupazione è un indicatore statistico del mercato del lavoro che quantifica l'incidenza della popolazione che ha un'occupazione sul totale della stessa e si calcola come rapporto percentuale tra il numero di persone occupate e la popolazione.

Libero-news.it propone una lettura più completa dell'indagine Istat.

«Il tasso di disoccupazione in Italia del secondo trimestre è stato pari al 7,4%, in crescita rispetto al 6,7% del secondo trimestre 2008. Si tratta del dato più alto dal primo trimestre 2006. Lo comunica l'Istat spiegando che il dato risente soprattutto dell'incremento degli inattivi (+434mila unità). Il numero delle persone in cerca di occupazione sale invece a 1.841.000 unità (+137.000 unità, pari al +8,1% rispetto al secondo trimestre 2008). In rapporto alla caduta dell'occupazione, la crescita più contenuta della disoccupazione si associa al nuovo sensibile incremento dell'inattività (+434.000 unità, pari al +3,0 per cento) concentrato nelle regioni meridionali e dovuto, spiega l'Istat, a «fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro». La riduzione su base annua dell'offerta di lavoro riguarda sia la componente femminile (-0,6%, pari a -61.000 unità) sia soprattutto quella maschile (-1,2%, pari a -180.000 unità). Alla positiva dinamica registrata nelle regioni settentrionali (+0,3%, pari a 32.000 unità) e in quelle centrali (+0,5%, pari a 25.000 unità) si contrappone l'accentuata riduzione nel Mezzogiorno (-4,0%, pari a -298.000 unità). In tale area la diminuzione interessa sia l'offerta di lavoro maschile (-3,8%, pari a -185.000 unità) sia quella femminile (-4,2%, pari a -113.000 unità). La caduta tendenziale dell'occupazione sintetizza il forte calo della componente maschile (-2,2%, pari a -310.000 unità) e la flessione di quella femminile (-0,7%, pari a -68.000 unità). Peraltro, entrambe le componenti di genere, e soprattutto quella maschile, scontano l'ulteriore sensibile riduzione dell'occupazione degli italiani (-399.000 e -163.000 unità, rispettivamente per gli uomini e le donne); con ritmi inferiori a quelli del recente passato, prosegue invece la crescita dell'occupazione degli stranieri (nell'ordine, +89.000 e +95.000 unità).»

venerdì 25 settembre 2009

• G20, priorità al lavoro, condizione per un nuovo ordine globale.


“Il G-20 di Pittsburgh di questi giorni si è aperto con gli auspici di un’economia mondiale che mostra i primi segnali di ripresa. La parola chiave è coordinamento. Tre temi principali: la regolamentazione dei mercati finanziari, le strategie di uscita da politiche monetarie e fiscali espansive, gli squilibri nella bilancia commerciale di Cina e Stati Uniti.” *1

“Nessun Paese ha interesse a muoversi verso un mondo più regolamentato se non in compagnia. Per due ovvi motivi: 1) con la globalizzazione il capitale finanziario e anche quello umano si muovono verso le migliori opportunità, e la deregolamentazione ne crea di migliori opportunità anche se effimere; 2) una maggiore regolamentazione dei mercati del credito potrebbe ridurre la crescita. Se è vero che non solo si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti, che le banche e gli intermediari svolgono una funzione chiave, quasi “sociale”, che i soldi dei contribuenti hanno garantito i salvataggi bancari, allora non si può cedere sul fronte della regolamentazione. Si può discutere dei tempi ma non dei modi, le leve finanziarie devono per forza ridursi. I costi sociali della crisi in termini di disoccupazione sono sotto gli occhi di tutti.” *1

Perciò è importante che si cerchi di definire regole per una morale del mercato in modo da recuperare - almeno in parte - la dimensione ‘persona’ pur nella salvaguardia degli equilibri raggiunti, nel tempo, all’interno dei singoli territori e delle varie dimensioni societarie; equilibri che sono sempre più compromessi dalle urgenze e dalla distanza tra chi ha e sa e chi non ha (o ha poco, pochissimo) e chi non è posto in grado di avere l’opportunità di sapere. C’è chi invoca, anche in questa occasione, il recupero etico come vincolo della liberalizzazione selvaggia, finora testimoniata un po’ da tutti coloro che più avevano e sapevano, senza porsi il problema della necessità di un etica condivisa senza la quale squilibri e distonie non saranno avviabili a superamento. Probabilmente si finirà per percorrere diversi itinerari di aggiustamento dei processi esistenti per attenuarne la crisi invocando una permanente condivisione affidata ad una generica solidarietà, ma senza individuarne seriamente confini ed obiettivi.

Il problema del lavoro (che non è soltanto essere impegnati in una ‘qualsiasi’ occupazione in permanente conversione in tempi brevi e con alto rischio di precarietà) svela la fragilità della attuale ripresa dalla crisi ‘globale’ e la ‘parzialità’ delle scelte. Non a caso i sindacati dei lavoratori a livello internazionale si sono mossi cercando spazzi di interlocuzione. Lo impongono gli alti tassi di disoccupazione nei paesi a più alto tasso di sviluppo e l’allargamento delle fasce di povertà a livello globale e locale con caduta verticale dei livelli di professionalità pregressi. Da ciò la scelta di mettere nell’agenda del G20 il problema del lavoro è quasi obbligata.

Il peso e il significato della crisi occupazionale sono stati riconosciuti esplicitamente dalle fonti più autorevoli. “Dopo un seminario di due giorni, la Banca centrale americana ha dichiarato che non cambierà i tassi di interesse «per un lungo periodo» (i tassi Usa sono di poco superiori allo zero dal 2008, a stimolo di una economia ancora debole). Una decisione che gli analisti spiegano così: «Ci si aspetta per i prossimi due anni una crescita positiva ma molto lenta, non sufficiente a far abbassare significativamente il livello di disoccupazione - che è poi la vera ragione per cui la Fed sarà molto accomodante nei prossimi anni».” *2

Il contesto è sempre più drammatico: “la recessione globale sta colpendo con spietata precisione i Paesi più poveri, mentre il numero delle persone affamate ha già superato il miliardo. Per i sindacati internazionali, il G20 deve preoccuparsi di più dell'occupazione negli interventi di stimolo fiscale, come suggerisce l'Ilo; condividere esempi di buone pratiche ed attuare il Patto Globale per l'occupazione.”*3 Vedremo ciò che accadrà in concreto al G20 previsto per l’imizio del 2010. “I sindacati sono chiari: non si deve mettere il peso dello sforzo fiscale sulle spalle di coloro che già hanno pagato con salari più bassi e aumento della disoccupazione. Occorrono semmai una tassazione progressiva e l'equità nel sistema e la proposta del ministro tedesco delle finanze Steinbrueck di una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali (già Tobin Tax).
Durissimi i sindacati in materia di trasparenza finanziaria. Non ci può essere fiducia nel fatto che la "cabala dei saggi banchieri centrali e di controllori finanziari" che ha fallito nell'assicurare stabilità finanziaria prima della crisi, possa farlo ora nel "Financial Stability Board".
*3 “Il paradosso è chiaro: chi ha creato instabilità finanziaria non vuole incontrare chi ha pagato letteralmente le spese del pesantissimo crac. Buste paga light, drammi in ogni angolo del mondo, ma l'Fsb continua ad agire a porte chiuse, senza alcuna norma minima di governance istituzionale democratica.”*3
Perciò i sindacati plaudono ai correttivi, a cui sta ponendo attenzione l’attuale G20 “verso gli hedge fund ed altri nuovi strumenti finanziari, alla remunerazione dei dirigenti, alla cooperazione delle banche centrali contro la crisi, la fuga di capitali e i paradisi fiscali. Ma intimano al Fsb di aprirsi pienamente alla indagine pubblica e di prevedere un ruolo per il controllo pubblico dei loro affari, attraverso processi di consultazione formali.”
*3 È vitale.

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*1 Pierpaolo Benigno, Strategie di uscita, Il Messaggero, 25 settembre 2009

*2 Lucia Annunziata, Priorità al problema lavoro , La Stampa, 25 settembre 2009

*3 Raffaella Vitulano, G20, verso intesa su finanza e bonus. Obama incontra i sindacati a Pittsburgh. Conquiste del lavoro, 29 settembre 2009


lunedì 14 settembre 2009

• Il miglior presidente che stupisce il mondo

Il mondo, dai vicini europei alla Nuova Zelanda, ci guarda attonito. Le cronache e i commenti dei giornali di tutto il pianeta oscillano tra lo scherno, la preoccupazione per i rischi per la democrazia che appaiono sempre più concreti e lo stupore per il fatto che rimanga ancora senza conseguenze una serie di vicende che avrebbero portato, in qualsiasi altro paese che non fosse sotto il tallone di una dittatura, alle dimissioni – e da tempo – di colui che si è appena definito “il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni”.

Nel frattempo i capi della Lega, difensori della Civiltà Cattolica contro gli assalti del barbari che premono alle frontiere e ormai dilagano all’interno, officiano il rito dell’ampolla d’acqua del Dio Po versata nella laguna di Venezia, benedicono con le sue ultime stille il capo di fanciulli casualmente lì presso e rilanciano il programma di secessione della Padania – che “sarà uno Stato libero, indipendente e sovrano” – da perseguire “con le buone o con le meno buone”. Ed è un ministro della Repubblica, uno di quelli che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, a pronunciare queste parole.

In questo generale impazzimento, incredibilmente ignorato o sottovalutato da una parte cospicua dei cittadini, l’Italia si trova immersa nella crisi mondiale di cui oggi si dice che il peggio sia passato – nel senso del collasso dell’economia globale – ma si concorda anche sul fatto che il futuro è imprevedibile. Il nostro paese era in seria difficoltà già prima della crisi: il dibattito sul “declino” ha fatto consumare fiumi di inchiostro. Ora, invece di questo teatro dell’assurdo, servirebbe una politica economica, di cui, al di là di qualche modestissimo intervento-tampone, non si vede traccia. Mentre l’America – ma anche altri paesi – lancia la green economy, da noi ci si disinteressa persino del contenimento delle emissioni, a cui ci siamo impegnati firmando il Protocollo di Kyoto e che ci costerà denaro sonante non rispettare. Il cuore della nostra politica è lo “scudo fiscale”, ennesimo regalo senza contropartita agli evasori, e il controllo di qualche proprietario di yacht, tanto per avere i titoli sui giornali ed evitando con cura iniziative più serie.Ma non disperiamo. Siamo nelle mani del “miglior presidente” che ci potesse capitare.

(da EGUAGLIANZA E LIBERTÀ - 14 settembre 2009)

sabato 12 settembre 2009

• Livorno, lavoratori e lavoratrici a rischio.


Livorno – Delphi Italia Automotive Systems S.r.l. Ieri, produzione ricambi auto e moto. Oggi, poco più che un nome che evoca l’impegno di molti, per la difesa di un importante punto produttivo per l’area d’insediamento e per la dimensione occupazionale. ENI-AGIP oggi raffina prodotti petroliferi, domani: un incognita. Piccole imprese, con particolare rilievo per quelle dell’edilizia, annaspanti per la scarsa liquidità. Professionalità media dell’area sempre più fuori controllo ed a forte rischio di indebolimento ulteriore.

Istituzioni che si muovono, tra cautele ed incertezze con frequenti stop and go. Quale strategia territoriale e/o di area vasta adottare, per quale ipotesi progettuale di recupero territoriale anche a salvaguardia di un ‘dimagrito’ sistema produttivo locale?

Il vescovo Diego, preoccupatissimo, corre da lavoratori e lavoratrici della Delphi ed offre, insieme ad un forte impegno di riflessione e preghiera, mani e braccia per testimoniare speranze e solidarietà di una Comunità. Il vescovo Simone, che nel frattempo gli è succeduto, insorge dalla piazza del santuario a Montenero in difesa di chi lavora per ENI-AGIP: « È inaccettabile che una azienda, cha fa fior di utili e per di più è in mano allo Stato, possa pensare di smantellare una raffineria senza prima provvedere a cercare una soluzione occupazionale per i suoi dipendenti.» Non basta affidarsi a un qualsiasi acquirente e pensare che tutto sia compiuto.

Lavoratori e lavoratrici, anche coi loro sindacati, sono in prima linea e cercano una risposta costruttiva

alle loro ansie, alla loro incombente mancanza di speranza.

Alcune delle priorità dell’area livornese. Non soltanto per la salvaguardia delle famiglie di lavoratori e lavoratrici, nonché per il sostegno del sistema dei servizi, ma anche per porre un punto fermo al processo pluriennale di ridimensionamento della struttura produttiva (che in molti ritenevamo giunto al termine, o quasi). Si aggravano le conseguenze della lontananza dai centri di potere e della marginalizzazione dalle loro strategie; della 'fuga dei cervelli' e dei forzati limiti delle strategie di recupero e rilancio dell’area.

La subentrata crisi finanziario/produttiva attuale? Un ostacolo aggiuntivo da fronteggiare.

Bisogna certamente dare priorità a tamponamenti e difesa ma soprattutto è urgentissimo superare l’inerzia delle analisi e segnare un percorso condiviso per una progettualità d’area, che metta insieme tutte le forze istituzionali e private (associazioni d'impresa, sindacati dei lavoratori, terzo settore, ecc.) e consenta di giungere a strategie (che, sole, possono ridare fiato nel tempo medio e che necessitano di un quadro relazionale accuratamente predisposto). Non esiste autosufficienza o colpo di 'genio' capace di imporre una svolta. Neanche in casi come quello della Delphi o quello dell’ENI-AGIP, fatti precipitare ulteriormente da vicende esterne. Come ha ribadito recentemente il Presidente emerito, il nostro C.A.Ciampi: « Aumenta ogni giorno il numero delle famiglie in cui c’è un problema di lavoro, è sotto gli occhi di tutti il peggioramento diffuso delle condizioni di vita reale, siamo costretti a fare i conti con una dimensione crescente di disuguaglianza sociale, registriamo tristemente che i poveri sono sempre più poveri.» Il dramma della disoccupazione porta sempre a forme di disperazione con le quali prima o poi, bisogna fare i conti. Sempre più frequenti sono i casi nei quali i colpiti da fenomeni destrutturanti cercano visibilità attraverso atti finalizzati al clamore mediatico. Sono momenti che fanno annotare una disperazione più che manifesta, che fanno prevalere la denuncia; quasi sempre senza un risultato che solo il momento negoziale può dare, sostenuto da una attiva condivisione collettiva da parte dei vari soggetti operanti nell’area settoriale, locale e regionale. In questi casi, un solo soggetto (sia esso il sindacato A o B, l'associazione d'impresa tal dei tali, l'uomo di potere bianco o nero, istituzionale o meno) è molto difficile che sia determinante dal momento che la vicenda è causata da più fattori concomitanti e da più soggetti d'intervento e proposta.

Per uscire dalla crisi è fondamentale una coesione straordinaria tra le forze politiche e le forze sociali; senza dimenticare che dalla crisi non si può uscire senza «il recupero della condivisione, della fraternità, dello spirito sociale, del bene comune». Livorno rimane, al momento, in attesa.