domenica 20 dicembre 2009

• NORD/SUD: due mondi, che, sgomitando tra gli egoismi, cercano l’incontro


Negli anni ’90 - più o meno - al confronto globale URSS-Occidente si avviava e sostituiva quello tra paesi ricchi e paesi sfruttati e poveri, tra popoli che tutto (o molto) avevano o conoscevano e chi veniva schiacciato e calpestato. L’incontro di questi giorni a Copenhagen - dopo le molte avvisaglie in sede ONU avvenute in questi anni - sul clima e sulla tutela ambientale ne è la prima vera presa d’atto.
In questo incontro tuttavia si è dimostrato che i tempi del confronto e della politica non coincidono con quelli della natura e della sua permanente tensione all’equilibrio; coi quali, fin dalle origini della terra, dobbiamo fare comunque i conti. Tutti: ricchi e poveri; con conoscenze e capacità elevate o meno. Sono i momenti nei quali gli egoismi devono trovare chiari limiti e non prevaricare il bene comune.
Scrive Maurizio Molinari su LA STAMPA, di oggi:
«Sebbene prive di riferimenti numerici ai tagli delle emissioni e frutto di negoziati caotici, le cinque pagine dattiloscritte dell’Accordo di Copenhagen costituiscono la prima intesa sulla protezione del clima fra i Paesi più industrializzati e le economie emergenti.» Saremo in tempo utile per evitare i disastri da tempo prefigurati dagli scienziati? Sapremo superare le culture suicide che oggi ci affliggono?
«Se il Forum del G20 negli ultimi 12 mesi si è trasformato nel luogo dove i giganti dei due emisferi si incontrano per sanare le ferite della recessione e pianificare assieme la ripresa globale, la conferenza di Copenhagen li ha visti trattare come mai avvenuto in precedenza perché erano in gioco interessi reciproci e molto concreti: dal livello di emissioni dipendono le dimensioni della produzione industriale ovvero delle quote nazionali di ricchezza globale.»
Preoccupa che, salvo alcune eccezioni, la persona sia stata considerata in subordine ai processi economici e alla gestione del potere e che si siano state traguardate paternalisticamente (a volte nemmeno questo!) le povertà materiali di uomini e donne soffocati dalla fame e dalla mancanza di sicurezze elementari. Il capo delegazione francese è arrivato al punto di paragonare il modesto 'accordo' finale di Copenhagen al «Patto di Monaco che nel 1938 spianò la strada al nazismo». Ma in questo caso il tema era come vivere in armonia con tutto ciò che è nel Creato, del futuro del pianeta nel Creato. La posta in gioco è il dono della vita e la sua custodia.

mercoledì 2 dicembre 2009

• La libera impresa è il peggior nemico della povertà

« I cristiani hanno un dovere non negoziabile di andare incontro alle necessità economiche dei bisognosi, ma talvolta si dimostrano carenti nel comprendere quali misure siano più efficaci nella riduzione della povertà. Ne è convinto il Direttore di ricerca dell’Acton Institute, il prof. Samuel Gregg. Il professore, direttore di ricerca dell’Acton Institute, in una intervista fatta in vista della prossima conferenza organizzata dallo stesso Istituto, afferma anche che « per decenni ci è stato detto che l’aiuto allo sviluppo e le altre forme redistributive sono la soluzione alla povertà. Eppure i dati sono piuttosto inequivocabili nel dimostrare che questo non è vero e che questi interventi non producono un cambiamento sistemico. Anzi, spesso aggravano le difficoltà. Un altro problema è che gran parte dell’economia dello sviluppo è sottesa da ideologie profondamente materialistiche e da antropologie deformate. Ma noi sappiamo che la riduzione della povertà è solo in parte una questione economica e materiale. Essa ha anche dimensioni, morali, spirituali, giuridiche, culturali e istituzionali. La cosa paradossale è che noi conosciamo già i segreti per ottenere una riduzione della povertà. Uno tra i più importanti è che non è possibile ridurre la povertà senza creare ricchezza, e che la creazione della ricchezza avviene in alcuni contesti culturali e istituzionale e non in altri.»
È un discorso antico che in qualche misura nella nostra Italia i cattolici nel secondo dopoguerra (in gran parte responsabili della gestione del bene pubblico) hanno cercato di governare attraverso strumenti come l'Eni, l'Iri ecc. Purtroppo le degenerazioni di personaggi - tutto sommato - minori ne hanno progressivamente mutato connotati ed effetti e ne hanno decretato la fine sostanziale. Sono ancora convinto (ancor più dopo lo tsunami finanziario di questi mesi) che quella esperienza debba essere rivisitata - ed al più presto; non solo con riferimento al nostro paese.

Completa leggendo:

1 - L'Intervista del prof. Samuel Gregg

2 - Libera impresa, povertà e crisi finanziaria [Free Enterprise, Poverty, and the Financial Crisis]


venerdì 20 novembre 2009

• Monopoli della comunicazione e libertà democratiche

Quanto sta accadendo in Italia nel settore della comunicazione ha dell’incredibile. La destra sta finendo di consegnare il sistema tv al monopolio Mediaset, che gestisce di fatto anche pubblicità e rete distributiva dei film nelle sale cinematografiche. Il sistema pubblico (e pochissime variabili al sistema TV commerciale, tipo La7) è stato costretto ad assistere inerte, o quasi. L’unico concorrente/ostacolo che si oppone a tutto questo è Murdoc (Sky), ma certamente non per rispetto di un residuo anelito di democrazia e di libertà! L’antitrust che fine ha fatto? Il colpo (quasi finale) al servizio pubblico può venire dal minacciato - da Berlusconi - dimezzamento del canone TV e dal reclamato annullamento dello stesso rivendicato - condito da molta superficialità - da Di Pietro. Le divisioni ed i ritardi delle opposizioni; una legge elettorale partitocratica (partita dalla Toscana ed approdata a livello nazionale con la ‘porcata’ Calderoli); le divisioni e le intolleranze delle destre, verso il loro interno e verso l’esterno, inevitabilmente fanno reclamare l’urgenza di «non buttare via il bimbo con l’acqua sudicia», non continuare in questa azione di smantellamento del ruolo del sevizio pubblico. Ne va della libertà di tutti!
“Bella mi’ DC”, mi strilla spesso negli orecchi un caro amico. Se penso anche a questo aspetto della nostra società (quello della comunicazione e della partecipazione democratica, in particolare), anch’io sono propenso a concordare che il problema era all'epoca - tutto sommato - non grave come lo è oggi. Almeno finché i cattolici del dopo Resistenza
impegnati in politica non hanno perso il controllo di quel loro strumento e non sono sopravvenuti populismi, arrivismi, affarismi e terrorismi rossi e neri - di vario genere e dimensione.
Il quadro è ricomponibile in termini democratici? Penso di sì. Ma a condizione di smettere di lamentarsi di questo o di quello e di ricominciare a dare battaglia per il mantenimento e rinnovamento degli strumenti di democrazia e di partecipazione come la comunicazione, nel suo insieme strumentale: dai quotidiani, alle riviste, ai libri a internet, ai social network, al sistema TV.
È comunque essenziale aver chiaro che controllo e gestione non possono essere concentrati nelle stesse mani e che lo Stato non può stare a guardare quello che fanno e decidono dei soggetti privati per i loro interessi esclusivi e le loro finalità edonistiche. Comunicazione significa anche formazione permanente. Il pluralismo è essenziale per il mantenimento del sistema democratico e del sistema parlamentare. La formazione (e l'innovazione tecnologica) non può essere lasciata solo in mano ai privati, che agiscono esclusivamente nel loro interesse immediato. Non può essere di conseguenza garantita da privati, per quanto illuminati possano essere.

giovedì 19 novembre 2009

• Sistema giudiziario e terrorismo

NON c’era solo la decisione del Tribunale Supremo brasiliano che ha riconosciuto la legittimità della richiesta di sua estradizione dal Brasile all’Italia (sulla quale il Presidente Lula ha l'ultima parola), ma la necessità di riaffermare il primato di garanzia e di rispetto dei diritti civili presente nel nostro ordinamento giudiziario, che il ministro della giustizia brasiliano aveva revocato in dubbio. Atto doppiamente grave perché rivolto all’ordinamento giudiziario italiano e alla nostra democrazia, che prevede una rigida separazione dei poteri dello Stato; quello giudiziario che ha fatto muro contro ogni tentativo di destabilizzazione da parte del terrorismo rosso e nero negli anni di piombo, della criminalità organizzata, degli apparati deviati così come oggi cerca di far fronte decisamente alle ricadute contingenti della crisi che il sistema giudiziario negli anni ha maturato per motivi funzionali e tecnico-organizzativi. Come ricorda l’«Associazione Italiana Vittime del Terrorismo»: Cesare Battisti è un superlatitante degli anni di piombo, ex leader dei Proletari armati per il comunismo, fuggito dall'Italia e rifugiato in Francia; fu arrestato a Parigi mentre era in procinto di essere estradato in Italia per scontare i diversi ergastoli a lui inflitti dalla giustizia italiana. Egli, infatti, è stato condannato con sentenze definitive all'ergastolo e ad un periodo di isolamento diurno, oltre che per banda armata, rapine, armi, gambizzazioni, per ben quattro omicidi.

sabato 14 novembre 2009

• Occorrono interventi strutturali. Strategie di lotta e concertazione.

• Leggo su ILSOLE24ORE del 14 novembre: Cgil in piazza a Roma, Epifani: «Ora arriva il peggio della crisi»«Lavorerò ancora per l'unità sindacale ma bisogna avere volontà da tutte le parti. Io ce l'ho, spero anche gli altri». Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, durante la manifestazione nazionale a Roma, indetta per protestare contro le politiche del Governo che non affrontano adeguatamente, secondo il sindacato, i nodi della crisi e non tutelano il mondo del lavoro e dei pensionati. Il segretario generale Cgil ha aggiunto che spera «di riuscire a fare una cosa che nel passato abbiamo sempre fatto: manifestazioni insieme».«Cisl e Uil avevano detto che avrebbero fatto uno sciopero generale nel caso in cui non ci fossero stati interventi nei confronti delle categorie dei lavoratori e dei pensionati, aspetto il loro giudizio»
• Leggo su
CONQUISTE DEL LAVORO (quotidiano della Cisl) del 10 novembre: " Crisi, Bonanni: "E' tempo di interventi strutturali. A cominciare dal fisco" "Al Governo la Cisl chiede conferme e nuovi interventi. Vanno confermati il sostegno agli ammortizzatori sociali, la decontribuzione del secondo livello contrattuale e la detassazione fino al 10% (in scadenza a dicembre). C'è poi l'area vertenziale: il rinnovo del contratto degli statali, su cui il Governo deve "accelerare" e la scuola, rispetto alla quale la Cisl chiede maggiore sostegno ai precari e una dilazione nel tempo del piano della Gelmini, che sta creando difficoltà non solo ai lavoratori ma anche alle famiglie. Il confronto con il l'Esecutivo si allarga anche a Confindustria e agli altri sindacati per quanto riguarda la partita del fisco: per Via Po si tratta di una lunga battaglia, che coinvolgerà tutto il territorio. "Al Governo - dice il segretario generale - chiediamo incentivi a favore della democrazia economica: detassazione di un'eventuale ripartizione degli utili e dell'affidamento delle azioni ai lavoratori. In generale vogliamo interventi strutturali di riduzione delle tasse sul lavoro. Ho saputo che Epifani porterà la questione del taglio delle aliquote, da noi sostenuta da molto tempo, al congresso Cgil."
• In momenti di tanta gravità per il sistema occorre puntare all'unità di tutte le forze per un progetto condiviso di riavvio del sistema stesso. Facile dirlo o farne un obiettivo propagandistico. È quanto sta accadendo, in questo momento, in particolare alla Cgil (tra l'altro impegnata nei propri problemi di riassetto congressuale interno). Francamente pensavo che la lezione storica degli anni '50-'60 avesse lasciato qualche traccia positiva nelle strategie di quella organizzazione. La manifestazione della Cgil a Roma, dimostra che così non è. In un momento tanto difficile Cgil, Cisl e Uil non solo marciano separate su obiettivi di breve-medio termine come salari ed occupazione ma traguardano obiettivi e momenti assolutamente diversi, pur mirando - tutte e tre - alla tutela di chi lavora o cerca per la prima volta un impegno gratificante di lavoro; che è posto ai margini del sistema o vive nella precarietà e nell'incertezza. Se non si vuole indebolire seriamente la loro capacità di tutela organizzata non possono essere lasciati all'autotutela individuale e ad una concorrenzialità per la sopravvivenza e per sentirsi vivi. L'homo homini lupus non porta lontano, mai. Tra l'altro si tratta anche di sostenere ancora una volta il sistema democratico, oggi sempre più soffocato da autoritarismi ed incertezze strutturali. Negli anni '70 il sindacato ha salvato il Paese e la democrazia costituzionalmente regolata, ma lo ha potuto fare perché comprese che era necessario restare uniti non formalmente per progetti ed obiettivi condivisi. Siamo in una circostanza anche più grave di quella di quegli anni. Ogni ulteriore commento è superfluo.

mercoledì 4 novembre 2009

• Morte lenta e indolore della democrazia?

In questi giorni mons. Bottoni, al Campo della Gloria del cimitero monumentale di Milano a nome dell’arcivescovado di Milano ha detto e scritto che i fatti coi quali ci confrontiamo ogni giorno propongono una forma di ‘eutanasia della democrazia’. «Tutti riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse»; « mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti… » Ad essi aggiungo la precarietà alla quale è costretto chi ha nel suo lavoro la possibilità di sopravvivenza (per sé e per la propria famiglia) e l’affermazione della propria professionalità e della propria dignità di persona. «Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva “eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso.» Fa parte di questo quadro anche chi ha spinto - e spinge - per la ulteriore esasperazione della precarietà del lavoro a sostegno contingente di un sistema finanziario, che dichiarato globalmente i suoi limiti, anzi il proprio fallimento. Dobbiamo, con urgenza ripartire, consapevoli che dobbiamo arrancare in salita e che nessun princeps può risolvere da solo la situazione e che la partecipazione a questo processo di tutti noi, uomini e donne, riveste una importanza chiave. È urgente, molto urgente, affrontare con decisione e chiarezza questo scenario costruendone di nuovi in grado di avere come punto di riferimento principale il cittadino ‘persona’ e la sua ‘famiglia’, in una Comunità di 'liberi' che partecipano attivamente alla formazione e alla gestione delle regole di convivenza; specie in una fase nella quale le migrazioni costringono al confronto immediato fra diversità di tradizioni e culture.

martedì 20 ottobre 2009

•LAVORO - Posto fisso, ... e i precari?

Costantino Corbari informa su CONQUISTE DEL LAVORO di oggi : «"Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il progetto di vita e la famiglia. La variabilità del posto di lavoro, l'incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no". Parole del ministro dell'Economia e Finanze Giulio Tremonti, a conclusione dell'intervento nell'ambito di un incontro sulla "partecipazione nell'impresa e azionariato dei lavoratori" tenutosi ieri a Milano.» Quasi tutti i quotidiani le richiamano come un grande obiettivo, che finalmente qualcuno pone all’attenzione dell’opinione pubblica. «Si possono mettere in discussione dieci anni di politiche del lavoro, nonché i contenuti di un Libro bianco sul welfare pubblicato solo cinque mesi fa, in meno di un minuto?» commenta Luca Pesenti sul SUSSIDIARIO. Su quasi tutti i quotidiani di stamani: la bagarre! È francamente sconcertante.

Sono alcuni anni che sindacati ed opposizione chiedono di smetterla di far ruotare il dibattito intorno a Berlusconi ed alle sue personali istanze (positive o negative che siano) per parlare delle conseguenze delle ricadute del disastro finanziario di derivazione liberistico-occidentale sulla gente comune, sul lavoro, sull'impoverimento di professionalità, sull'innovazione; di far riassumere primato e priorità alla PERSONA ed alla FAMIGLIA in modo da dare un significato alla 'invocazione' di un profondo cambiamento delle leadership che hanno consentito il disastro. La stessa chiesa cattolica si è chiaramente e severamente espressa su tutto questo ad ogni livello. Mi fa perciò ancora più effetto tutto il polverone che si fa sulla nuova posizione 'politica' e 'progettuale' espressa da Tremonti. Dov'era quando il partito democratico presentava in Parlamento tentativi normativi di tamponamento dei drammi di chi era travolto dal disastro (lavoratori dipendenti, autonomi e piccole imprese) e la maggioranza (di cui Tremonti fa parte primaria) li respingeva votando contro senz'altra motivazione che prima bisognava parlare di altro - senza indicare chiaramente di cosa e perché? Dov'era quando dalla sua stessa maggioranza si rimetteva in discussione l'unità dell'Italia proprio alzando il dito censorio sulla qualità e quantità del lavoro in alcune regioni 'povere' e 'destrutturate'? Dove, quando - sempre dalla maggioranza di cui fa parte - si accentuavano le disuguaglianze (sul piano dei diritti e dei doveri) tra i cittadini ad ogni livello?


domenica 11 ottobre 2009

• Le navi dei veleni

Da anni si sospetta e si parla di ‘navi dei veleni’. In questi giorni si è di nuovo posto in evidenza il tema. Ne parliamo, un po’ tutti, come se si parlasse di noccioline, di fatti da investigare e non ne facciamo una priorità. Danni alle persone e all’ambiente? Radioattività dispersa senza protezione? Nocività di derivazione industriale? 30-34 navi affondate (secondo un pentito della mafia)? Spesso sentiamo dire: appena avremo i soldi andremo a vedere e poi provvederemo a rimediare e perseguiremo i colpevoli.

Ma le persone che insistono sulle aree colpite da questo malaffare hanno danni? Quali? Come prevenirli?

Leggo a proposito del traffico illecito di rifiuti pericolosi e radioattivi via mare: affondamento sospetto delle "navi dei veleni" : « Il "traffico illecito di rifiuti" consiste in una qualsiasi spedizione di rifiuti che avvengono senza il consenso delle autorità competenti interessate (paesi di destinazione e transito), inoltre in questi casi le movimentazione di rifiuti non sono accompagnate da corretta documentazione. Il traffico dei rifiuti è un problema che non interessa solo l'Italia ma molti paesi del mondo, soprattutto quelli in via di sviluppo (in quanto spesso sono i destinatari finali dei rifiuti stessi) ed infatti la movimentazione illegale dei rifiuti avviene sia su territorio nazionale che internazionale.». Qualcuno ipotizza che la morte della giornalista di Ilaria Alpi in Somalia è legata al fatto che ne sapeva ormai troppo su queste vicende.

Per ora si parla della zona costiera di Cosenza e di arcipelago toscano con riferimento a due possibili casi. In questi due casi si sta cercando di intervenire. Gli altri?

Troppa è la calma. Troppi i silenzi.

sabato 10 ottobre 2009

• Il Nobel ad Obama

IL MONDO HA BISOGNO DEI PORTATORI DI SPERANZA E DEI COSTRUTTORI VERI, NON DI ISTERIE DI PICCOLI UOMINI CHE SI NUTRONO DEL LORO DENARO, DELLA LORO CAPACITÀ COMUNICATIVA E DEL FANATISMO DEI LORO SEGUACI. GRAZIE, OBAMA, PER CIÒ CHE STAI CERCANDO DI DONARE ALLA TUA GENTE ED A TUTTI NOI, PER IL RINNOVATO VOLTO DEL TUO PAESE CHE RICHIAMA QUELLO DI JFK E DEI GRANDI UOMINI DI QUELLA STAGIONE STORICO-POLITICA.

CREDENTI O MENO (PUR NEI LIMITI DEI NOSTRI PUNTI DI FORZA E DI QUELLI DI DEBOLEZZA, PROPRI DI CIASCUNO DI NOI), TUTTI INSIEME ABBIAMO IL MANDATO DI "CUSTODIRE" E "COLTIVARE" IL CREATO. IMPEGNO CHE LA BIBBIA RICHIAMA ESPLICITAMENTE FIN DALLE SUE PRIMISSIME PAGINE. DOBBIAMO E POSSIAMO FARE DEL NOSTRO MEGLIO NELLE PICCOLE E NELLE GRANDI COSE DELLA VITA PERCHE' SIAMO SEMPRE CAPACI DI ONORARLO.

UN AUGURIO DI BUON CAMMINO A TE, ALLA TUA FAMIGLIA ED A TUTTI NOI.

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LA STAMPA - 10 ottobre 2009
BARACK OBAMA

«Non possiamo tollerare un mondo in cui si diffondono armi nucleari e dove il rischio di un olocausto atomico mette a repentaglio la vita delle persone. Ecco perché abbiamo fatto passi concreti verso un mondo senza armi nucleari in cui tutte le nazioni hanno il diritto di usare pacificamente l’energia nucleare, ma hanno anche la responsabilità di dimostrare le loro intenzioni.

Non possiamo accettare la minaccia crescente dei cambiamenti di clima che può danneggiare per sempre il mondo che lasceremo ai nostri figli - creando guerre e carestie, distruggendo le coste e svuotando le città. Ecco perché le nazioni devono accettare la loro parte di responsabilità per cambiare il modo in cui usiamo l’energia.

Non possiamo accettare che le differenze tra popoli definiscano il modo in cui ci vediamo l’un l’altro: dobbiamo cercare un nuovo inizio tra gente di fedi, razze e religioni diverse. Un inizio basato sull’interesse comune e il rispetto comune. Dobbiamo fare la nostra parte per risolvere i conflitti che hanno causato tanto dolore per così tanti anni, e questo sforzo deve includere un impegno che finalmente riconosca a israeliani e palestinesi il diritto di vivere in pace e sicurezza nelle proprie nazioni.

Non possiamo accettare un mondo in cui alla maggior parte della gente siano negate: la possibilità di avere un’istruzione e fare una vita decente; la sicurezza di non dover vivere nella paura della malattia o della violenza, senza speranze per il futuro.

E anche se tentiamo di costruire un mondo in cui i conflitti si risolvano pacificamente e la prosperità sia condivisa, dobbiamo confrontarci con il mondo che conosciamo oggi»


venerdì 9 ottobre 2009

• Un pezzo di storia se ne è andato. Morto Vito Scalia.

Una generazione di uomini e donne chiamata a grandi responsabilità verso i lavoratori e le lavoratrici, che li avevano scelti, e verso i cittadini tutti sta terminando il suo viaggio: la generazione che vede ancora impegnati i Franco Marini o i Pierre Carniti e qualche altro che all'epoca fu chiamato ed accettò di svolgere altri ruoli, sempre sulla stessa riva. Oggi è il momento di un leader della Cisl che in quegli anni ce l'ha messa veramente tutta. Divenne il leader del NO all'unità sindacale. Lo ricordo nella pineta della Solvay - negli anni '70 - mentre teneva un comizio che riguardava anche la possibilità o meno dell'unità sindacale nell'autonomia; proprio alla vigilia di una proposta importante in materia. Nei giorni successivi il Comitato Esecutivo Confederale fu chiamato ad affrontare il progetto di massima per decidere se procedere o meno - ed a quali condizioni sindacali - nel processo di unità coi lavoratori e le lavoratrici della Cgil e della Uil e quelli non iscritti a nessuna delle tre confederazioni. Lo ricordo 'smanacciare' al congresso della FILCA a Montecatini, nel '69, mentre col sostegno di Carniti e degli amici - delle varie regioni e settori - cercavo di far condividere il progetto dell'unità ai delegati territoriali e delle fabbriche del cemento, dei laterizi e del legno. Leader in Sicilia, aveva combattuto le sue battaglie accanto a Bruno Storti, il segretario generale - che ci ha lasciato già da tempo. Ma in questa battaglia i due si contrapposero. Storti si impegnò nella scommessa unitaria, Scalia la combatté. La Cisl si spaccò verticalmente. Con Storti l'ala (che oggi chiameremmo 'riformista'), guidata da Luigi Macario e Pierre Carniti, le categorie dell'industria, la gran parte delle unioni sindacali provinciali del Centro Nord . Con Scalia il pubblico impiego di Franco Marini, i braccianti di Sartori, gli elettrici di Sironi, gran parte delle strutture del Mezzogiorno. Pur non avendo condiviso le sue scelte, sento, in questi giorni drammatici per la nostra Italia, fortissimo il richiamo ai valori civili che lo - e ci - animarono e coinvolsero. Un catanese che fui tra coloro che lo hanno contrastato, ma che lo considerarono un avversario 'vero', vitale, sanguigno col quale era possibile vivere una stessa avventura pur nella contrapposizione progettuale.


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La morte di Vito Scalia. Perdita per la Cisl e per tutto il movimento sindacale italiano

di Raffaele Bonanni - Segretario Generale Cisl


Il cordoglio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

sabato 26 settembre 2009

• Occupazione: Quanta? Quale? Come?


In questi giorni si fa un gran parlare del tasso di disoccupazione italiano, come uno dei migliori dell’occidente industrializzato. Gran parte dei TG ne trae considerazioni incoraggianti, spesso come se fossimo già fuori dal guado. Anch'io sono convinto che il peggio stia passando, ma l'occupazione continua ad essere un problema grave ed una priorità e condiziona pesantemente lo stato familiare e sociale della nostra Italia. Cerchiamo allora di capire meglio e più chiaramente la situazione. Il tasso di disoccupazione non tiene in alcun conto di chi non si iscrive - per mancanza di fiducia e scoraggiamento - nelle liste di chi ricerca impiego. E tutti siamo consapevoli che sono molti uomini e, in misura maggiore, molte donne,in ogni parte d’Italia

Per aver un punto di riferimento più credibile ed impostare ad ogni livello una strategia per il mantenimento e lo sviluppo del quadro delle professionalità disponibili territorialmente ed incrementare la produttività delle imprese che vogliono recuperare terreno, bisogna guardare al tasso di occupazione, per poter sviluppare una possibile strategia formativa e progettuale territoriale (attualmente in gran parte assente). Anche per avere la possibilità di un più serio ed attendibile confronto col resto d’Europa e rendersi conto che siamo nelle ultime posizioni. Non per piangere ma per reagire o chiedere di reagire più robustamente di quanto attualmente il sistema pubblico e privato facciano. Correggendo robustamente quanto si sta facendo alla luce del solo tasso di disoccupazione e corrispondendo più coerentemente a quanto avvertiamo quotidianamente sulla ‘stato’ delle persone. Cos’è e di cosa tiene conto? Il tasso di occupazione è un indicatore statistico del mercato del lavoro che quantifica l'incidenza della popolazione che ha un'occupazione sul totale della stessa e si calcola come rapporto percentuale tra il numero di persone occupate e la popolazione.

Libero-news.it propone una lettura più completa dell'indagine Istat.

«Il tasso di disoccupazione in Italia del secondo trimestre è stato pari al 7,4%, in crescita rispetto al 6,7% del secondo trimestre 2008. Si tratta del dato più alto dal primo trimestre 2006. Lo comunica l'Istat spiegando che il dato risente soprattutto dell'incremento degli inattivi (+434mila unità). Il numero delle persone in cerca di occupazione sale invece a 1.841.000 unità (+137.000 unità, pari al +8,1% rispetto al secondo trimestre 2008). In rapporto alla caduta dell'occupazione, la crescita più contenuta della disoccupazione si associa al nuovo sensibile incremento dell'inattività (+434.000 unità, pari al +3,0 per cento) concentrato nelle regioni meridionali e dovuto, spiega l'Istat, a «fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro». La riduzione su base annua dell'offerta di lavoro riguarda sia la componente femminile (-0,6%, pari a -61.000 unità) sia soprattutto quella maschile (-1,2%, pari a -180.000 unità). Alla positiva dinamica registrata nelle regioni settentrionali (+0,3%, pari a 32.000 unità) e in quelle centrali (+0,5%, pari a 25.000 unità) si contrappone l'accentuata riduzione nel Mezzogiorno (-4,0%, pari a -298.000 unità). In tale area la diminuzione interessa sia l'offerta di lavoro maschile (-3,8%, pari a -185.000 unità) sia quella femminile (-4,2%, pari a -113.000 unità). La caduta tendenziale dell'occupazione sintetizza il forte calo della componente maschile (-2,2%, pari a -310.000 unità) e la flessione di quella femminile (-0,7%, pari a -68.000 unità). Peraltro, entrambe le componenti di genere, e soprattutto quella maschile, scontano l'ulteriore sensibile riduzione dell'occupazione degli italiani (-399.000 e -163.000 unità, rispettivamente per gli uomini e le donne); con ritmi inferiori a quelli del recente passato, prosegue invece la crescita dell'occupazione degli stranieri (nell'ordine, +89.000 e +95.000 unità).»

venerdì 25 settembre 2009

• G20, priorità al lavoro, condizione per un nuovo ordine globale.


“Il G-20 di Pittsburgh di questi giorni si è aperto con gli auspici di un’economia mondiale che mostra i primi segnali di ripresa. La parola chiave è coordinamento. Tre temi principali: la regolamentazione dei mercati finanziari, le strategie di uscita da politiche monetarie e fiscali espansive, gli squilibri nella bilancia commerciale di Cina e Stati Uniti.” *1

“Nessun Paese ha interesse a muoversi verso un mondo più regolamentato se non in compagnia. Per due ovvi motivi: 1) con la globalizzazione il capitale finanziario e anche quello umano si muovono verso le migliori opportunità, e la deregolamentazione ne crea di migliori opportunità anche se effimere; 2) una maggiore regolamentazione dei mercati del credito potrebbe ridurre la crescita. Se è vero che non solo si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti, che le banche e gli intermediari svolgono una funzione chiave, quasi “sociale”, che i soldi dei contribuenti hanno garantito i salvataggi bancari, allora non si può cedere sul fronte della regolamentazione. Si può discutere dei tempi ma non dei modi, le leve finanziarie devono per forza ridursi. I costi sociali della crisi in termini di disoccupazione sono sotto gli occhi di tutti.” *1

Perciò è importante che si cerchi di definire regole per una morale del mercato in modo da recuperare - almeno in parte - la dimensione ‘persona’ pur nella salvaguardia degli equilibri raggiunti, nel tempo, all’interno dei singoli territori e delle varie dimensioni societarie; equilibri che sono sempre più compromessi dalle urgenze e dalla distanza tra chi ha e sa e chi non ha (o ha poco, pochissimo) e chi non è posto in grado di avere l’opportunità di sapere. C’è chi invoca, anche in questa occasione, il recupero etico come vincolo della liberalizzazione selvaggia, finora testimoniata un po’ da tutti coloro che più avevano e sapevano, senza porsi il problema della necessità di un etica condivisa senza la quale squilibri e distonie non saranno avviabili a superamento. Probabilmente si finirà per percorrere diversi itinerari di aggiustamento dei processi esistenti per attenuarne la crisi invocando una permanente condivisione affidata ad una generica solidarietà, ma senza individuarne seriamente confini ed obiettivi.

Il problema del lavoro (che non è soltanto essere impegnati in una ‘qualsiasi’ occupazione in permanente conversione in tempi brevi e con alto rischio di precarietà) svela la fragilità della attuale ripresa dalla crisi ‘globale’ e la ‘parzialità’ delle scelte. Non a caso i sindacati dei lavoratori a livello internazionale si sono mossi cercando spazzi di interlocuzione. Lo impongono gli alti tassi di disoccupazione nei paesi a più alto tasso di sviluppo e l’allargamento delle fasce di povertà a livello globale e locale con caduta verticale dei livelli di professionalità pregressi. Da ciò la scelta di mettere nell’agenda del G20 il problema del lavoro è quasi obbligata.

Il peso e il significato della crisi occupazionale sono stati riconosciuti esplicitamente dalle fonti più autorevoli. “Dopo un seminario di due giorni, la Banca centrale americana ha dichiarato che non cambierà i tassi di interesse «per un lungo periodo» (i tassi Usa sono di poco superiori allo zero dal 2008, a stimolo di una economia ancora debole). Una decisione che gli analisti spiegano così: «Ci si aspetta per i prossimi due anni una crescita positiva ma molto lenta, non sufficiente a far abbassare significativamente il livello di disoccupazione - che è poi la vera ragione per cui la Fed sarà molto accomodante nei prossimi anni».” *2

Il contesto è sempre più drammatico: “la recessione globale sta colpendo con spietata precisione i Paesi più poveri, mentre il numero delle persone affamate ha già superato il miliardo. Per i sindacati internazionali, il G20 deve preoccuparsi di più dell'occupazione negli interventi di stimolo fiscale, come suggerisce l'Ilo; condividere esempi di buone pratiche ed attuare il Patto Globale per l'occupazione.”*3 Vedremo ciò che accadrà in concreto al G20 previsto per l’imizio del 2010. “I sindacati sono chiari: non si deve mettere il peso dello sforzo fiscale sulle spalle di coloro che già hanno pagato con salari più bassi e aumento della disoccupazione. Occorrono semmai una tassazione progressiva e l'equità nel sistema e la proposta del ministro tedesco delle finanze Steinbrueck di una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali (già Tobin Tax).
Durissimi i sindacati in materia di trasparenza finanziaria. Non ci può essere fiducia nel fatto che la "cabala dei saggi banchieri centrali e di controllori finanziari" che ha fallito nell'assicurare stabilità finanziaria prima della crisi, possa farlo ora nel "Financial Stability Board".
*3 “Il paradosso è chiaro: chi ha creato instabilità finanziaria non vuole incontrare chi ha pagato letteralmente le spese del pesantissimo crac. Buste paga light, drammi in ogni angolo del mondo, ma l'Fsb continua ad agire a porte chiuse, senza alcuna norma minima di governance istituzionale democratica.”*3
Perciò i sindacati plaudono ai correttivi, a cui sta ponendo attenzione l’attuale G20 “verso gli hedge fund ed altri nuovi strumenti finanziari, alla remunerazione dei dirigenti, alla cooperazione delle banche centrali contro la crisi, la fuga di capitali e i paradisi fiscali. Ma intimano al Fsb di aprirsi pienamente alla indagine pubblica e di prevedere un ruolo per il controllo pubblico dei loro affari, attraverso processi di consultazione formali.”
*3 È vitale.

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*1 Pierpaolo Benigno, Strategie di uscita, Il Messaggero, 25 settembre 2009

*2 Lucia Annunziata, Priorità al problema lavoro , La Stampa, 25 settembre 2009

*3 Raffaella Vitulano, G20, verso intesa su finanza e bonus. Obama incontra i sindacati a Pittsburgh. Conquiste del lavoro, 29 settembre 2009


lunedì 14 settembre 2009

• Il miglior presidente che stupisce il mondo

Il mondo, dai vicini europei alla Nuova Zelanda, ci guarda attonito. Le cronache e i commenti dei giornali di tutto il pianeta oscillano tra lo scherno, la preoccupazione per i rischi per la democrazia che appaiono sempre più concreti e lo stupore per il fatto che rimanga ancora senza conseguenze una serie di vicende che avrebbero portato, in qualsiasi altro paese che non fosse sotto il tallone di una dittatura, alle dimissioni – e da tempo – di colui che si è appena definito “il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni”.

Nel frattempo i capi della Lega, difensori della Civiltà Cattolica contro gli assalti del barbari che premono alle frontiere e ormai dilagano all’interno, officiano il rito dell’ampolla d’acqua del Dio Po versata nella laguna di Venezia, benedicono con le sue ultime stille il capo di fanciulli casualmente lì presso e rilanciano il programma di secessione della Padania – che “sarà uno Stato libero, indipendente e sovrano” – da perseguire “con le buone o con le meno buone”. Ed è un ministro della Repubblica, uno di quelli che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, a pronunciare queste parole.

In questo generale impazzimento, incredibilmente ignorato o sottovalutato da una parte cospicua dei cittadini, l’Italia si trova immersa nella crisi mondiale di cui oggi si dice che il peggio sia passato – nel senso del collasso dell’economia globale – ma si concorda anche sul fatto che il futuro è imprevedibile. Il nostro paese era in seria difficoltà già prima della crisi: il dibattito sul “declino” ha fatto consumare fiumi di inchiostro. Ora, invece di questo teatro dell’assurdo, servirebbe una politica economica, di cui, al di là di qualche modestissimo intervento-tampone, non si vede traccia. Mentre l’America – ma anche altri paesi – lancia la green economy, da noi ci si disinteressa persino del contenimento delle emissioni, a cui ci siamo impegnati firmando il Protocollo di Kyoto e che ci costerà denaro sonante non rispettare. Il cuore della nostra politica è lo “scudo fiscale”, ennesimo regalo senza contropartita agli evasori, e il controllo di qualche proprietario di yacht, tanto per avere i titoli sui giornali ed evitando con cura iniziative più serie.Ma non disperiamo. Siamo nelle mani del “miglior presidente” che ci potesse capitare.

(da EGUAGLIANZA E LIBERTÀ - 14 settembre 2009)

sabato 12 settembre 2009

• Livorno, lavoratori e lavoratrici a rischio.


Livorno – Delphi Italia Automotive Systems S.r.l. Ieri, produzione ricambi auto e moto. Oggi, poco più che un nome che evoca l’impegno di molti, per la difesa di un importante punto produttivo per l’area d’insediamento e per la dimensione occupazionale. ENI-AGIP oggi raffina prodotti petroliferi, domani: un incognita. Piccole imprese, con particolare rilievo per quelle dell’edilizia, annaspanti per la scarsa liquidità. Professionalità media dell’area sempre più fuori controllo ed a forte rischio di indebolimento ulteriore.

Istituzioni che si muovono, tra cautele ed incertezze con frequenti stop and go. Quale strategia territoriale e/o di area vasta adottare, per quale ipotesi progettuale di recupero territoriale anche a salvaguardia di un ‘dimagrito’ sistema produttivo locale?

Il vescovo Diego, preoccupatissimo, corre da lavoratori e lavoratrici della Delphi ed offre, insieme ad un forte impegno di riflessione e preghiera, mani e braccia per testimoniare speranze e solidarietà di una Comunità. Il vescovo Simone, che nel frattempo gli è succeduto, insorge dalla piazza del santuario a Montenero in difesa di chi lavora per ENI-AGIP: « È inaccettabile che una azienda, cha fa fior di utili e per di più è in mano allo Stato, possa pensare di smantellare una raffineria senza prima provvedere a cercare una soluzione occupazionale per i suoi dipendenti.» Non basta affidarsi a un qualsiasi acquirente e pensare che tutto sia compiuto.

Lavoratori e lavoratrici, anche coi loro sindacati, sono in prima linea e cercano una risposta costruttiva

alle loro ansie, alla loro incombente mancanza di speranza.

Alcune delle priorità dell’area livornese. Non soltanto per la salvaguardia delle famiglie di lavoratori e lavoratrici, nonché per il sostegno del sistema dei servizi, ma anche per porre un punto fermo al processo pluriennale di ridimensionamento della struttura produttiva (che in molti ritenevamo giunto al termine, o quasi). Si aggravano le conseguenze della lontananza dai centri di potere e della marginalizzazione dalle loro strategie; della 'fuga dei cervelli' e dei forzati limiti delle strategie di recupero e rilancio dell’area.

La subentrata crisi finanziario/produttiva attuale? Un ostacolo aggiuntivo da fronteggiare.

Bisogna certamente dare priorità a tamponamenti e difesa ma soprattutto è urgentissimo superare l’inerzia delle analisi e segnare un percorso condiviso per una progettualità d’area, che metta insieme tutte le forze istituzionali e private (associazioni d'impresa, sindacati dei lavoratori, terzo settore, ecc.) e consenta di giungere a strategie (che, sole, possono ridare fiato nel tempo medio e che necessitano di un quadro relazionale accuratamente predisposto). Non esiste autosufficienza o colpo di 'genio' capace di imporre una svolta. Neanche in casi come quello della Delphi o quello dell’ENI-AGIP, fatti precipitare ulteriormente da vicende esterne. Come ha ribadito recentemente il Presidente emerito, il nostro C.A.Ciampi: « Aumenta ogni giorno il numero delle famiglie in cui c’è un problema di lavoro, è sotto gli occhi di tutti il peggioramento diffuso delle condizioni di vita reale, siamo costretti a fare i conti con una dimensione crescente di disuguaglianza sociale, registriamo tristemente che i poveri sono sempre più poveri.» Il dramma della disoccupazione porta sempre a forme di disperazione con le quali prima o poi, bisogna fare i conti. Sempre più frequenti sono i casi nei quali i colpiti da fenomeni destrutturanti cercano visibilità attraverso atti finalizzati al clamore mediatico. Sono momenti che fanno annotare una disperazione più che manifesta, che fanno prevalere la denuncia; quasi sempre senza un risultato che solo il momento negoziale può dare, sostenuto da una attiva condivisione collettiva da parte dei vari soggetti operanti nell’area settoriale, locale e regionale. In questi casi, un solo soggetto (sia esso il sindacato A o B, l'associazione d'impresa tal dei tali, l'uomo di potere bianco o nero, istituzionale o meno) è molto difficile che sia determinante dal momento che la vicenda è causata da più fattori concomitanti e da più soggetti d'intervento e proposta.

Per uscire dalla crisi è fondamentale una coesione straordinaria tra le forze politiche e le forze sociali; senza dimenticare che dalla crisi non si può uscire senza «il recupero della condivisione, della fraternità, dello spirito sociale, del bene comune». Livorno rimane, al momento, in attesa.

domenica 30 agosto 2009

• I volti della vita, della speranza e della solidarietà.

«Ha tanti volti l'estate che sta finendo. Ha il volto di una donna che combatte per la libertà come Aung San Suu Kyi. Ha il volto di Usain Bolt, il velocista giamaicano che ha superato ogni limite ai mondiali di atletica, sia sui 100 che sui 200 metri. Ha il volto di Clotilde, la ragazza francese incarcerata contro ogni logica in Iran. Ha il volto dei cinque eritrei sopravvissuti alla strage dei barconi della morte, dove più di 70 persone non ce l'hanno fatta: ci leggiamo i volti di persone stravolte dal dolore laddove probabilmente qualcuno vede solo i volti di pericolosi clandestini. Ha il volto di una scrutatrice afghana col burqa e ha il volto di una ragazza in bicicletta a Berlino Ha il volto dei giovani e delle giovani, cui è stata tolta la speranza e che scaricano le loro tensioni e la loro mancanza di amore nella violenza. Quello delle famiglie dei morti per il lavoro, degli invalidi e dei menomati di ogni genere, cui si dedica troppo spesso solo slancio emotivo occasionale. «Ha il volto dei tanti anziani soli delle nostre città, vera emergenza di questo tempo, poco sottolineata dai media e dal dibattito politico. Ha il volto vincente e sereno di Federica Pellegrini e ha il volto angosciato e devastato dei (pochi) religiosi sopravvissuti alla violenza in Pakistan», in India e nel mondo ovunque ci si rende conto che essere cristiani sia il passaggio necessario contro ogni sudditanza e servitù - piccole e grandi. «Ha davvero tanti volti l'estate che sta finendo e sarebbe bello parlarne e confrontarsi.»

Aggiunge Matteo Renzi: «il 12 settembre l'Europa celebra la giornata del vicinato. Una sorta di festa delle relazioni sociali, dei rapporti intercomunali, nata da un'idea francese di qualche anno fa. Mi è sembrata un'ottima occasione per proporre una mattinata di pulizia della città, alla luce di una lettera che mi ha scritto Andrea, un bambino di nove anni che sta in via Montebello. Andrea ha chiesto che tutti insieme potessimo provare a dare una mano per pulire Firenze. Mi è sembrata una lettera molto bella e il 12 settembre ho invitato tutti i fiorentini a munirsi di spazzolone e granata e darci una mano. Pulire un marciapiede, riverniciare un muro, segnalare una buca, eccetera... Naturalmente l'invito è rivolto a tutti, maggioranza e opposizione, consiglieri e assessori, associazioni e privati cittadini.
È un piccolo gesto, intendiamoci: per pulire la città ci sono i soggetti incaricati. Ma è un simbolo che ci consente di mostrare anche simbolicamente quanto vogliamo prenderci, tutti insieme, cura della città.»
A Firenze Matteo Renzi ha chiesto, con questo gesto, ai fiorentini l’avvio di una nuova sensibilità per i problemi ed i drammi della città, una spinta alla solidarietà - che non si dà solo col pagamento della tasse o il vincolo alle regole che gli ‘eletti dal popolo’ hanno creduto di fissare per il bene comune ma anche mantenendo alto il coinvolgimento, non rimanendo alla finestra mentre ‘altri’ (chi, se non noi stessi?) cercano di fare.

* I virgolettati sono tratti dalla Enews n. 283 di sabato 29 agosto 2009 inviata dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi

lunedì 24 agosto 2009

• Accordi sindacali e rilancio produttivo.


Sono mesi che i sindacati dei lavoratori ed i più attenti osservatori (ivi comprese alcune associazioni d'impresa) parlano dell'urgenza di aggredire il problema salari e quello della redistribuzione territoriale e settoriale delle risorse che possono rendersi disponibili. Il ministro del lavoro, Sacconi, con riferimento esplicito ad accordi già interventi da tempo con buona parte del sindacato e con le associazioni d'impresa, sembra sottoscrivere questa priorità. Non potrebbe essere altrimenti per l'ovvia consapevolezza che nessun sindacato rinuncerà al proprio ruolo consentendo deviazioni legislative su materie di natura negoziale.

L'opposizione (pur nella varianza delle varie voci) è su questa linea esplicitamente richiamata dalle parti sociali, soprattutto i democrat. La maggioranza di governo, anziché attardarsi in dibattiti autoreferenziali sui temi in agenda (soprattutto per esposizione della Lega Nord in cerca di consolidamento della propria area di potere), deve portarsi anch'essa su questa posizione e non riservare il tema alla seconda battuta. Altrimenti la ripresa della nostra economia sarà ancora più lenta di quanto previsto dai centri di ricerca e valutazione specializzati (a livello interno ed internazionale), coi drammi ed i rischi conseguenti per la tenuta sociale ed istituzionale della nostra Italia.

mercoledì 19 agosto 2009

• Immigrati: una risorsa per il paese.


Sono cresciuti di dieci volte in 17 anni, ma non hanno rubato il lavoro a nessuno. Sono i 3 milioni e 400 mila stranieri presenti in Italia così come vengono fotografati da uno studio della Banca d’Italia. Sono una risorsa. Il rapporto Bankitalia evidenzia che gli stranieri con un impiego sono molto più giovani degli italiani, hanno meno istruzione e più difficoltà di apprendimento degli italiani, soprattutto nel Sud, ma aiutano a mantenere giovane la forza lavoro del Paese. Rappresentano la nuova classe operaia, dice la Banca d’Italia, e, al contrario di quanto si possa credere, «all’incremento del numero degli stranieri non si è associato un peggioramento delle opportunità occupazionali degli italiani.»

Nelle regioni centro-settentrionali tre-quarti degli immigrati sono stati impiegati come operai, una percentuale doppia rispetto a quella degli italiani. Nel Mezzogiorno, invece, sono più diffusi i piccoli imprenditori stranieri. I dipendenti, invece, nel Sud sono soprattutto nell’agricoltura, nel turismo e nei servizi alla persona.

Lo studio dimostra che gli immigrati fanno lavori che gli italiani non fanno, condizione che non molti decenni or sono era dei nostri emigrati un po’ in ogni parte del mondo. In più assistono anziani, bambini e malati, sussidiari dello stato sociale. Alcuni diventano imprenditori. Bankitalia ci ricorda in pratica che, come in tutti i paesi avanzati, l’immigrazione è una ricchezza per tutti, che gli immigrati guadagnano meno di noi ma che, grazie a colf e badanti, le donne italiane possono dedicare più tempo ed energie al lavoro.

La velocità d'ingresso in dieci anni è stata alta e l'integrazione riguarda, parzialmente la prima generazione ma soprattutto la seconda generazione, i figli degli immigrati. C'è pressione, ai confini e manca del tutto una politica consapevole (e una cultura) dell'integrazione, che non sia solo quella dell'emergenza.

La cultura del consumo (coi relativi cascami ideologici), nonostante le sollecitazioni derivanti dalla crisi del sistema finanziario in atto, mantiene alta l’accelerazione dei vari processi, in particolare di quelli delle imprese dell’energia e della trasformazione. Il dopo crisi è appena adombrato e non si sono ancora 'mosse' una cultura ed una organizzazione dei tempi diverse da quelle oggi richieste (che per quanto riguarda Italia ed Europa non sono neppure accettabili per il 'prima della crisi').

Dobbiamo velocissimamente ripensare progetti e ricalibrare strumenti ed obiettivi, altrimenti l'osmosi in atto vedrà processi di integrazione 'forzosa' e culturalmente improvvisata, come di fatto sta accadendo.

Possiamo e dobbiamo farcela! Possiamo e dobbiamo limitare poteri fuori controllo democratico affermati da 'lider maximi' e centri di potere di varia natura.

Il sindacato, come nel passato della nostra repubblica, può essere uno strumento determinante. Certamente il sistema impresa deve interagire con esso. Per tutti la ‘partecipazione’, verifiche e controlli democratici devono essere un punto di riferimento determinante. Da ciò l’importanza determinante di una strategia politica che non è facile intravedere in questo tempo, tante sono le contraddizioni propagandistiche che si intrecciano nella maggioranza di governo con peccati e peccatucci, micro-ideologie ed opportunismi, mentre il maggiore partito di opposizione sta definendo congressualmente progetti ed obiettivi.


NB - Le affermazioni ed i rilievi emergenti dalla ricerca della Banca d’Italia sono state tratte dalla stampa quotidiana in articoli finalizzati.

venerdì 7 agosto 2009

• "E ora?” Cosa faccio? Cosa porto a casa?

Di vicende di perdita di occupazione e di prospettive occupazionali e professionali (come sta accadendo alla Manuli di Ascoli Piceno o alla Innse di Milano - di cui tanto si parla in questi giorni) a Livorno ne abbiamo vissute di pesanti negli anni recenti. La Delphi (fabbrica USA con produzione sospesa da tre anni) ne è una drammatica conferma. Qualche volta siamo riusciti a mettere dei tamponi momentanei; qualche altra siamo rimasti, immobili, increduli, prima, e poi neri di rabbia repressa mentre affannosamente cercavamo di alzare barriere di difesa e ricercavamo nuovi obiettivi e prospettive.

Un fondamentale diritto umano, quello al lavoro, chiaramente violato; e con esso quello alla vita di persone e famiglie. Si colpiva il lavoratore dipendente. Si colpiva quello autonomo, che spesso vede i suoi sforzi ed impegni pluriennali vanificati da vicende e fenomeni sui quali non può in alcun modo incidere. Si colpiva chi lavorava saltuariamente ed era costretto allo stress dell’incertezza di trovare una soluzione sostitutiva di quello che in quel momento stava facendo. Coloro che sono costretti «a tale esperienza» sono «colti anzitutto dall'angoscia per l'immediato futuro.» *

«Come farò, si chiede, a pagare le rate del mutuo e dell'auto, le cure odontoiatriche per i figli più piccoli, il costo della scuola superiore o dell'università per i più grandi. In secondo luogo la stessa persona si sente vittima di una grave ingiustizia, di un inganno che qualcuno ha ordito alle sue spalle e che improvvisamente si rivela come tale.» * Quando si costringe qualcuno ad adattarsi alla cultura dell’incertezza (conclamata come il toccasana dell’attuale organizzazione della società), dobbiamo essere consapevoli che ogni stormir di fronde è avvertito come pericolo da tutto l’ambiente, nel quale vive ed opera. La mancanza di speranza da personale (ed è già un momento terribile!) diviene problema dell’ambiente; si allarga a macchia d’olio; nonostante l’atteggiamento consolatorio o falsamente ottimistico che qualcuno ‘che conta’ scodella con sorrisi o con pacche sulla spalla.

Deve essere recuperata, rapidamente, una strategia ed una politica della ‘certezza’ per evitare il ripetersi di drammi familiari, personali ed ambientali ; una politica che non faccia ritenere inutile ed insignificante la propria professionalità; che faccia sentire di essere parte non passiva di una Comunità solidale, di essere uguali nelle opportunità. Una cultura della vita che non ritiene fatale quello che accade, ma che vede responsabilità definite con nomi e cognomi.

Per chi è cristiano, una cultura dell’amore rinnovata e consolidata - anche se questo significa essere 'eversori' dell’attuale organizzazione del lavoro e della società che ci vengono proposte dai Centri di potere, dovunque essi si siano formati e stabiliti. La Centesimus annus e Caritate in veritate indicano percorsi sui quali lavorare e proporre progetti praticabili rivolti a tutti.

«Il punto critico non è quindi se i lavoratori della Innse abbiano esagerato o no nel salire su una gru per impedire lo smantellamento dei macchinari da parte del nuovo proprietario»*, quelli francesi nel sequestrare i loro dirigenti e capoccia, o altri nel cercare nella fuga dalla realtà e nel suicidio pace e sicurezza. Il punto è se possiamo permetterci una cultura dell’assenza e del sorriso (funzionale al nasconderla). mentre si affonda e non siamo in grado di proporci scenari positivi (per demerito nostro o per quello di chi abbiamo delegato ad impegnarsi nelle istituzioni) o ci si aggrappa a quel che capita (in difesa della propria sicurezza o per affermare la propria arroganza o la propria ansia di sentirsi ‘il primo’) ignorando la priorità delle priorità: la Comunità nel suo insieme.

Le politiche del lavoro degli ultimi 15-20 anni, in particolare, hanno trasferito sul piano finanziario gli errori che hanno determinato crisi di sistema come quella che interessò i flussi della produzioni nel ’29. Come allora stanno scaricando sui punti più deboli del sistema i danni da espansione e sviluppo ‘drogati’. Il recupero ed il riassestamento (le “sicurezze”) saranno più difficili e complessi perché a differenza di allora non ci saranno insiemi di aree in grado di attutire colpi e contraccolpi. Le superficialità ‘culturali’ che venivano dette nei corsi di orientamento al lavoro sulla moltiplicazione infinita delle occupazioni flessibili e sulla conseguente brevità dei tempi di ricerca della occupazione successiva alla presente hanno cozzato con la cruda realtà di questi mesi.

« Al presente il problema, se possibile, si è ulteriormente complicato. Non soltanto l'economia crea nuovi posti di lavoro a un ritmo molto basso, ma è possibile che per un lungo periodo ne crei assai meno di quanti se ne stanno perdendo. E per accrescere la sicurezza dei milioni di individui che l'hanno già persa, o che temono di perderla tra breve, non basteranno né la ripresa - posto che questa arrivi nel 2010, o nel 2011, o ancora dopo - né un potenziamento dei cosiddetti ammortizzatori sociali. Sarebbero assolutamente necessarie politiche industriali realmente innovative rispetto ai modelli precedenti, che in altri paesi a partire dagli Stati Uniti, si cominciano a intravedere.

Ci vorrebbero inoltre interventi radicali di sostegno al reddito, quale sarebbe ad esempio un reddito di base o reddito di cittadinanza che sia, nonché una redistribuzione del lavoro disponibile che non abbia paura di quello che fu in passato uno slogan - lavorare meno per lavorare tutti - ma che potrebbe rivelarsi come una ricetta indispensabile per il prossimo futuro.»*

Ribadisce il presidente della Repubblica emerito, C.A. Ciampi:« Occupiamoci, per favore, del pane. Rendiamoci conto che la garanzia che l’autunno sarà meglio non ce la può dare nessuno, evitiamo di confondere la mente delle persone con problemi che non esistono. Gli italiani hanno bisogno di certezze sulla loro situazione economica personale, devono riprendere ad avere fiducia nel loro futuro, chiedono maggiori sicurezze. La realtà è che dubitano del fatto che non si può che andare meglio: si è data l’illusione che il punto di minima fosse stato toccato e si stesse rimbalzando verso il meglio, invece il dato della produzione industriale di giugno smentisce tutto ciò.»** « La dimensione e la durezza della crisi impongono al Paese unità e serietà, non consentono di abbassare più o meno furbescamente la qualità dei problemi di cui è fatta la vita e che ci immiseriscono. Ora, più che mai.»**


* Luciano Gallino su REPUBBLICA del 6 agosto 2009

** Carlo Azeglio Ciampi su IL MESSAGGERO del 7 agosto 2009