mercoledì 27 maggio 2009

• Campagna elettorale: 'semplicità' o 'semplicismo'?

Siamo giunti alla vigilia elettorale, locale ed europea. Lo si vede dall'intensificarsi di atti e spot di propaganda e dalla diminuita intensità propositiva rispetto al futuro. Ciascuno cerca il redde rationem per l'altro. Qualcuno lo fa correttamente (come dovrebbe verificarsi in una democrazia 'partecipata' matura). Qualche altro cercando di alzare polveroni per meglio annebbiare proprie falle, difetti o ambizioni di potere o per meglio nascondere e strumentalizzare pregi e meriti dell'avversario. (**) Qualcuno facendo lo spregiudicato, qualche altro il moralista, secondo le tendenze che (con aiuto o meno di sondaggi) crede di avere individuato. La gestione del potere sta facendo premio sul 'cosa fare e progettare' per rendere credibile e praticabile l'obiettivo del bene comune; specialmente in chi al momento ne è titolare e che - ovviamente - non vorrebbe mollare perché crede di aver ancora molto d afare o in chi comunque lo 'vuole' (con irruzione di venature di narcisismo).
Qualcuno incalza per far scoprire l'avversario; qualche altro cerca di addormentare il quadro d'insieme per meglio lavorare nel sottofondo. Ho certamente eccessivamente semplificato nell'illustrare l'insieme mediatico e propagandistico di questi giorni. Ma con gruppi dirigenti che guardano, per come ho cercato di descrivere, quasi esclusivamente allo strumento ma non allo scopo per cui si sono inseriti nella gestione dei processi politici, non si va molto lontano. Soprattutto se in vaste aree di elettorato si continua a confondere 'semplicità' con 'semplicismo', 'apparenza' con 'concretezza'. Non tutti i componenti di quei gruppi sono uguali. Basta 'grattare' un po' e qualcosa si intravede. Basta non lasciarsi abbagliare dai lustrini e dalle fanfare. Ma che fatica andare al di là dell'immagine, che chi detiene le redini del potere mediatico fa filtrare per accreditare la cultura politica che può agevolarlo.
C'
è da lavorare - e molto - per consentire la formazione di gruppi dirigenti nuovi ed adeguati ai tempi, svincolati cioè da vetero-ideologismi e personalismi nonché da metodologie oligarchiche. Su questo, prima o poi, dovremo tutti confrontarci - naturalmente in stand by ed in una realtà che consenta 'realmente' libertà di espressione e proposta - onde evitare inutili distorsioni.
Eredità territoriali - anche nelle nostre realtà ambientali livornesi - alle quali far fonte? Tante. Troppe. Non figlie di questo o di quello (anche se ognuno ha messo del suo), ma figlie di una realtà che da troppo tempo non riesce ad uscire dall'angolo, nonostante gli sforzi - un po' - di tutti. Un confronto alla coreana (*) sul futuro del nostro territorio, chiede qualcuno? Ben venga. Guardiamo chi coinvolgere e su quali contenuti.
Parlare, tanto per farlo, nel migliore dei casi si trasforma in una amarcord occasionale. Non serve.

_______________ Per nota * Mi riferisco all'esperienza del quartiere COREA a Livorno, quanso era presente il gruppo di don Alfredo Nesi e si affrontavano in libertà temi e contenuti che guardavano al futuro di persone e comunità. ** Emblematico l'incredibile confronto di ieri sera a Ballarò su RAI3. Franceschini del PD e Ezio Mauro di Repubblica che incalzavano (secondo me assai efficacemente) Bondi del PDL e Belpietro di Panorama (apertamente sostenitori delle 'ragioni' dell'on. Berlusconi), accompagnati dal radicale Pannella sempre meno efficace. Era facile poter dire che proprio chi vorrebbe insegnare a tutti come vivere, morire o tutelare la famiglia, non testimonia i valori che propaganda dimostrando la sua scarsissima credibilità.

sabato 16 maggio 2009

• Non si può vivere con poca speranza e senza certezze

Su qualche quotidiano (soprattutto periferico) si leggono liste elettorali e fenomeni di adesione sindacale con gli occhi di un miope ed inconcludente vetero- ideologismo, tanto da identificare - di fatto - come un tutto unico post-comunisti e metalmeccanici CGIL, con tanti saluti alla stessa storia degli ultimi vent'anni di quel sindacato, al ruolo effettivamente sollecitato da lavoratori e lavoratrici aderenti alla FIOM oggettivamente diverso e - anche se troppo spesso - separato da quello dei suoi dirigenti. Come il mutamento delle adesioni a livello nazionale ed in alcuni casi politicamente importanti come quello dell'integrativo della Piaggio dimostrano. La tensione tra chi lavora (operaio o no) aumenta per l'incertezza del futuro nel breve periodo. Ed è una cappa che investe tutti, in ugual misura e drammaticità.
Ne è testimonianza anche quanto accaduto, alla manifestazione dei lavoratori della Fiat a Torino indetta da Fim, Fiom, Uilm e Fismic per chiedere alla FIAT risposte certe sul futuro degli stabilimenti italiani nella grande partita dell'alleanza con Chrysler e Opel. Momenti di tensione altissima e tafferugli durante il comizio dei segretari dei metalmeccanici . Una cinquantina di persone che si distinguevano come SLAI-cobas hanno interrotto il comizio, strattonato e tirato giù dal palco il segretario generale della FIOM-cgil Gianni Rinaldini. «Un episodio deplorevole costruito in modo organizzato» ha detto Rinaldini che però non deve «oscurare la grande manifestazione» di oggi. Contestato anche il segretario generale della FIM-cisl, Giuseppe Farina: al quale i Cobas hanno urlato "venduto, venduto" ed hanno staccato il microfono, anche se nella confusione ha terminato l'intervento. Colpito con una cinghiata il segretario generale della UILM piemontese, Maurizio Peverati. Hanno occupato il palco strappando gli striscioni di Fim-cisl, Fiom-cgil, Uilm-uil e Fismic-sida e un loro rappresentante ha preso il microfono.
Tutto questo è emblematico e ricorda - molto da vicino - certe 'sfuriate' degli anni '70 che portarono solo alla marcia dei 40.000 ed all'indebolimento dell'azione sindacale. Ed il vantaggio non fu certamente per i lavoratori e le lavoratrici! Lo staff dirigente della FIOM, quello della FIM e quello della UILM dovrebbero ricordarlo; in particolare quello della Fiom. Ancora una volta c'è chi cerca di sfruttare una situazione di grave preoccupazione e di incombente mancanza di speranza nel futuro di se stessi e delle proprie famiglie per propri obiettivi immediati di proselitismo occasionale e/o di carattere puramente nichilista. I contestuali appelli alla fiducia da parte del Presidente del Consiglio - di cui si legge sulla stampa ma non seguiti da provvedimenti di governo significativi - suonano come una provocazione in questa situazione. Qualche giorno fa un quotidiano francese ebbe a parlare di una situazione prerivoluzionaria causato dal dissesto socio-economico in atto, anche se in presenza di mancanza di obiettivi concretizzabili per chi materialmente poteva cedere a tale tentazione. Esagerava? Forse.

• Disperati in cerca di un futuro.

La dura polemica, che si è sviluppata in questi giorni nel nostro Paese tra la destra ed il centro-sinistra, induce ad amare considerazioni. Inutile che qualche personaggio si accanisca nel voler dimostrare la inevitabilità giustificante di gesti ed azioni governative a danno dei poveracci che affrontano la morte, stupri e violenze per poter giungere comunque in terre meno colpite da fame e/o da odio.
A proposito di immigrazione ed immigrati propongo il testo recuperato da Lapo Pistelli e da lui diffuso agli amici di FACEBOOK (il 15 maggio 2009 - 10:52) per ricordare il quadro col quale hanno fatto concretamente i conti quei nostri compatrioti fuggiti in terre lontane, qualche decennio fa.
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«Circola in rete da qualche giorno questo testo. Sull’argomento dell’immigrazione e della nostra identità nazionale di migranti, Gian Antonio Stella – che invitammo a Firenze per il suo spettacolo “L’Orda” – ha scritto un paio di libri straordinari. Dopo il dibattito alla Camera di questi giorni sul decreto sicurezza, durante il quale ho provato vergogna per le parole che ho ascoltato, credo che la breve lettura
qui riportata faccia riflettere. E così, per qualche ora, allarghiamo lo sguardo oltre la cerchia dei colli fiorentini. “emigranti-italiani-a-ellis-islandGeneralmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.” Il testo è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912. La relazione così prosegue: “Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.» ________________________
Il libro di Gian Antonio Stella

Titolo: L'orda
Sottotitolo: quando gli albanesi eravamo noi

Edizione: Rizzoli, Milano, 2002 , pag. 286, dim. 140x223x20 mm , Isbn 88-17-87097-8
Classe: storia contemporanea d'Italia , storia sociale , storia criminale

sabato 2 maggio 2009

• Freedom House declassa l'Italia.

Freedom House declassa l'Italia. "Non è più un Paese pienamente libero". Nell'Europa Occidentale il nostro è l'unico Paese 'partly free' seguito solo dalla Turchia. Leggo su La Repubblica del primo maggio. «La libertà di stampa si sta riducendo in tutto il mondo, e l'Italia non è esente da questa forma di degrado. Nel rapporto 2009 di Freedom House (organizzazione autonoma con sede negli Stati Uniti, che si pone come obiettivo la promozione della libertà nel mondo), infatti il nostro Paese viene declassato per la prima volta da Paese 'libero' (free) a 'parzialmente libero' (partly free), unico caso nell'Europa Occidentale insieme alla Turchia. Le ragioni della retrocessione dell'Italia sono molteplici, spiegano gli estensori del Rapporto, che esamina la libertà di stampa in 195 Paesi da quasi 30 anni (dal 1980): "Nonostante l'Europa Occidentale goda a tutt'oggi della più ampia libertà di stampa, l'Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell'eccessiva concentrazione della proprietà dei media".» «Ma il punto veramente dolente, a giudizio dell'organizzazione, è costituito "dalla concentrazione insolitamente alta della proprietà dei media rispetto agli standard europei". Berlusconi, affermano senza reticenze gli autori del rapporto, controlla attraverso il governo la Rai, e possiede Mediaset. E la crisi di La7 non ha certo giovato in questo panorama.»
Non c'è dubbio che c'è una specifica responsabilità di tutti noi cittadini, con le nostre superficialità ed indifferenze, i nostri bubbolii e piagnistei fini a se stessi. Non ho alcun dubbio che tutto ciò stia accadendo con la scusa della governabilità e delle gestione del potere condizionata dalla accellerazione del fattore tempo, che l'ideologia del consumo e del mercato ha imposto. Non solo ma anche con la vocazione all'individualismo ed al 'napoleonismo' introdotta dal «ghe pensi mi'» di gerarchi e gerarchetti.
L'aver messo in un "angolo dei sospiri" la dottrina sociale della Chiesa, a mio avviso, è una delle concause di questo degrado ademocratico.