sabato 28 giugno 2008

• Schedature razziali (più o meno!)

Schedature e rilievo di impronte digitali, anche di bimbi, (velocemente ribattezzate "censimento"! Per improvviso rossore?!), sono state programmate dal nostro ministro dell’interno. Finalmente non la lotta alla lebbra, ma l'espulsione dei lebbrosi delle baraccopoli che non conosco e la schedatura di quelli di casa mia! Questa sì che è civiltà!! Per l'amor di Dio: quei lebbrosi e solo quei lebbrosi! Tutti zitti e continuiamo a .... meditare sulla circolare "a" o sulla norma "b"?
Non essendo parlamentare, ho cercato subito sui giornali se c’erano contestuali provvedimenti o proposte che non ne facessero un provvedimento di ‘ghettizzazione’ e di ‘esclusione’; che proponessero progetti ed obiettivi pubblici per persone, che come noi italiane, fossero in grado di aiutarle a rientrare “nella normalità” su un percorso sociale e culturale che le rendesse meno emarginate. In un momento, tra l’altro, che la situazione degli alloggi e dei mutui non solvibili crea le premesse per un allargamento della platea dei senza casa in cerca di dimora, almeno in una baraccopoli più o meno fatiscente. Niente.
Che beneficio portano certi metodi? Servono veramente a risolvere il problema, a rassicurare adeguatamente la gente contro la paura, oppure corrono il rischio di rivelarsi tentativi effimeri che addirittura provocano l’effetto opposto? Tutto questo ha solo il sapore di atti consolatori e propagandistici che servono solo a continuare a nascondere ai nostri occhi il peggio prodotto dalla nostra società. Il peggio sono i poveri e gli ultimi. Il peggio sono le solitudini, più meno evidenti, che creano paure e voglia di ghettizzare. Tra l’altro proprio mentre siamo nel settantesimo anniversario delle malfamate leggi razziali che vollero i gerarchi fascisti.
Ha detto il cardinal Tettamanzi ai milanesi ed a tutti noi: «È la solitudine, causata soprattutto dalla privatizzazione dei tempi e degli spazi e dal conseguente calo della qualità della socializzazione, ad aver generato le paure della gente. Sono soli tanti anziani. Soli troppi giovani. Soli molti adulti, anche con posizioni sociali prestigiose. La solitudine causa ulteriore sfiducia verso l'altro e genera la paura dell'incontro.» Ghettizzare ed isolare cittadini italiani o i diversi serve solo ad aumentare il senso di smarrimento e la paura. "In un contesto che tende a incentivare sempre più l'individualismo, il primo servizio della Chiesa è quello di educare al senso sociale, all'attenzione per il prossimo, alla solidarietà e alla condivisione", ma non solo della Chiesa, a Livorno come in Italia ed in Europa.
Aspettiamo da partiti e istituzioni strategie e proposte che rispettino le persone oneste, puniscano seriamente i delinquenti ed aiutino ad uscire dai ghetti, non ad entrarci.

• Contrattazione ed Europa


Nel recente incontro tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria a proposito di contrattazione e delle inaccettabili proposte del Governo sulla indicizzazione connessa al costo della vita, si sta facendo strada l'ipotesi (assai più praticabile e corretta) dell'indice armonizzato europeo. Si pensa - ma è ancora tutto da approfondire - di fare riferimento ad un "indice" che calcola l'inflazione italiana con parametri comuni a quelli di tutta Europa. Si comincia a percorrere la strada che nell'ormai lontano '68 proposi provocatoriamente sul giornale di categoria al segretario generale degli edili della Cisl (Filca), Stelvio Ravizza, a proposito di un patto europeo che facesse fronte alle precarietà occupazionali, a quelle salariali e alla sicurezza dei lavoratori che transitavano da quel settore, in modo da offrire, sia ai lavoratori sia alle imprese: sponde sociali corrette, stabilizzazione delle principali professionalità e continuità occupazionale. Era troppo presto. Non avevamo sufficienti forze negoziali per andare in quella direzione. Alcuni 'spezzoni' italiani li provammo negozialmente. La sensibilità 'tecnica' ed 'economica' era presente ma non quella 'politica'. Oggi ci stiamo finalmente avvicinando. NON È MAI TROPPO TARDI!! Forza amici! 

venerdì 20 giugno 2008

• La nuova finanziaria, povera gente e bene comune.

La prima (e più importante) "il bonus per i poveri" - più o meno scopiazzato dalla Caritas: è un provvedimento tampone che può essere compreso e sostenuto per chi ha come mission il sostegno di chi non sa come risolvere in quel momento il suo problema di sopravvivenza. Lo Stato può accettarlo solo in casi eccezionali, cioè in presenza di previsione 'certa' di strategie e soluzioni per superare il problema che ha determinato la povertà.Questo non è il caso. Siamo in presenza dello Stato che eroga una elemosina, non carità per il bene comune: un atto di liberismo compassionevole che tende a giustificare tutte le distorsioni che un mercato controllato da pochi determina, rendendo difficile il governo di un territorio. C'è chi dice che i sindacati sono propensi ad accettare il bonus e la stessa opposizione lo guarda con occhio attento. Lo accetterei anch'io in presenza di gente che non sa più dove sbattere la testa e che, come è accaduto, è costretta a rubare per mangiare o a rufolare nella spazzatura. (Succede anche a Livorno!). Ciò non toglie che il governo del Paese non affronta il problema della povertà (e delle famiglie, come rincara qualcuno in questi giorni con grande superficialità) ma solo quello del suo mantenimento della gestione del potere.

La seconda: dove sono finite tutte le dichiarazioni ed i giuramenti pre-elettorali? L'ammucchiata di destra aveva dichiarato il crucifige prodiano perché erano aumentate le tasse e che mai più e mai poi avrebbe seguito quella strada. Barzellette!! Petrolieri e bancari su chi si rifaranno? Una bella, ed ulteriore spinta, spinta all'inflazione: la tassa dei penultimi ma non dei primi o dei quasi primi!

• Varese: paga troppo bassa, uccisione del lavoratore

Leggo sul MESSAGGERO del 18 giugno: «Varese, lite per la paga troppo bassa: operaio egiziano ucciso dal figlio del titolare della ditta». 

È un fatto (non solo di questi giorni) che lavorare nell'edilizia in periodi di 'bassa' e di 'precarietà' ancor più diffusa del solito la vita di chi lavora è spesso un inferno. Supersfruttamento e  caporalato sono all'ordine del giorno. Ci sono anche imprese  serie  (ne conosco diverse), ma vengo a sapere spesso anche delle molte con paghe sottocosto (tipo Varese), niente o poca assicurazione previdenziale, sicurezza antinfortunistica marginale, caporalato (coi relativi danni umani e salariali), tutela della professionalità inesistente o quasi (poi si deve assistere al rito: "non trovo personale specializzato"!). Sono immigrati, finché resistono, va bene. Ma il sindacato? Quando chi passa per la precarietà istituzionale (edilizia, servizi e simili) si renderà conto che non si può rimanere isolati? Che il sindacato sono loro? Che nessun imprenditore o caporale (per quanto accettabile) ne tutelerà mai del tutto la dignità di uomini e donne che lavorano al di là della propria convenienza immediata? Quando i cosiddetti imprenditori (tali sono spesso i datori di lavoro alla giornata!) si renderanno conto veramente che non è sull'asservimento delle persone che possono basare la propria sopravvivenza e capacità di affermarsi? Quando il sistema pubblico finirà di considerare - di fatto - questi settori come area di rifugio della disoccupazione e della sottoccupazione, considerando marginali  la formazione (professionale  e civile) ed il controllo delle condizioni  minime di cittadinanza date dalle leggi dello Stato?

• Donadoni: "Lo rispetto troppo per telefonargli"!

Ma a quale livello di inciviltà stiamo arrivando? In questi giorni molti giornali elogiano Van Basten, allenatore dell'Olanda calcistica, per la sua 'onestà' perché ha fatto giocare la sua squadra per vincere e non per far fuori la Francia o l'Italia ovvero per aiutare la Romania. Come se fosse un fatto straordinario che, per raggiungere l'obiettivo che ci si è dati, tutto sia lecito (dallo sgambetto e la spinta al pugno o alla fucilata). 

Qualcuno (bontà sua!) elogia anche Donadoni, allenatore dell'Italia calcistica, perché ha dichiarato prima e dopo la partita, che una telefonata al suo amico personale Van Basten non l'ha fatta. "Se l'avessi ricevuta io, l'avrei considerata offensiva." 

Ci si sorprende di onestà elementari. 

Certi uomini di potere ed i loro compagni di cordata (non m'importa la loro colorazione e tendenza!) con il loro comportamento ogni giorno creano le condizioni di queste "sorprese"!

Nessuna sorpresa, amici, 'concorrenzialità' di aspiranti arrivisti e 'prevalere ad ogni costo' determinano questa decadenza! 

Diamo un'occhiata in Parlamento. Accanto agli onesti e corretti arrivano i 'pianisti', cioè coloro che in assenza dei colleghi senza tanti complimenti votano al loro posto. Famiglia Cristiana dice: «Con bonaria indulgenza, li chiamano 'pianisti': suonano lo spartito dei furbi perché non si perda il gettone di presenza, da veri accattoni.» Fosse ... male di questo, c'è di peggio. Quando con questo atto sostitutivo ci si garantisce della 'fedeltà' al voto di qualcuno. Fanno loro compagnia quelli che mentre si discute del decreto sulla sicurezza ( tanto invocato un po' da tutti e che il precedente Parlamento in epoca prodiana non aveva fatto in tempo ad approvare)  inseriscono emendamenti finalizzati anche alle cosiddette 'norme ad personam' come la sospensione di azioni giudiziarie per le più alte cariche dello Stato durante la legislatura nella quale si ricopre la carica istituzionale. Alla faccia degli esempi positivi da dare ai cittadini!

È l'insieme che fa gridare di sorpresa per atti che dovrebbero essere assolutamente normali nel calcio come nella vita di ogni giorno. "È la legge dell' «ognun per sé e Dio per tutti»!, dell'«Homo homini lupus».", dice qualcuno. Se gli 'onesti' cominciano ad isolare i mascalzoni, potremo ribaltare la frittata a favore degli onesti. Faremmo un ottimo servizio ai nostri giovani ed a noi stessi.


• Con chi stai? Allora ti considero!

Sul Corriere della sera di martedì, Ernesto Galli Della Loggia ricorda che   nessuno sembra occuparsi di Jolanda Occhipinti, Giuliano Paganini o Abdirahaman Yussuf Harale, rapiti da oltre un mese in Somalia.

Si pone alcune domande: «Perché le cose vanno così, mentre invece di altri nostri connazionali spariti in circostanze analoghe abbiamo sentito ripetere i nomi in continuazione, nelle aule delle Camere, nei consigli comunali, nei cortei, in decine di trasmissioni radio-televisive, li abbiamo visti stampati sulle prime pagine dei giornali, ripetuti nei tanti manifesti che ne effigiavano anche i volti? Cos’è che innesca il meccanismo del rapito di serie A e del rapito di serie B, dell’ «unità di crisi» sì e dell’ «unità di crisi» no, dei due pesi e due misure tra gli ostaggi? Cosa bisogna fare, insomma, per meritarsi il trattamento mediatico- istituzionale “due Simone”, se così posso chiamarlo?»

Nel mondo dei giornalisti si dice il silenzio è figlio della distrazione della opinione pubblica per degli sconosciuti e della assenza di interesse della politica italiana per la Somalia.

Galli Della Loggia si da come risposta: «in Italia continua a esserci poca nazione, e il vuoto di questa è riempito da troppa politica. È la politica—la feroce, pervasiva, politicizzazione di questo Paese o, almeno, della sua parte che conta — a spiegare il vasto silenzio in cui è precipitata la sorte dei due cooperanti italiani e del loro collaboratore somalo di cui non si sa più nulla. Non appartenevano ad alcun movimento politico, con la loro opera in Africa non intendevano rappresentare alcuna posizione politica, insomma non interessavano politicamente a nessuno.»

Per l’ennesima volta, allora, dobbiamo ribadire che l’opinione pubblica a mala pena può essere letta dai sondaggi (supposto che le domande a cui si chiede risposta siano corrette e l’intervistato sia onesto). Il giornalista può rilevarne alcune letture ed esserne mediatore. Possono coincidere con la sua lettura o meno (dato e non concesso che il ‘pezzo’ offerto al lettore corrisponda al suo pensiero e non a quello richiesto dal suo superiore o dal suo editore). Ma la sua lettura comunque influenza il lettore, che sarà parte dell’insieme - di lettori ed ascoltatori occasionali. Troppo spesso non è messo in condizione di esprimersi autonomamente. La libertà di stampa non coincide con la libertà del giornalista ed ancor meno con quella del lettore. Trovare un punto di equilibrio fra questi vari momenti informativo/formativi è essenziale in democrazia; ed ancor più lo è se la si vuole - come chiede la nostra Costituzione attuale - ‘partecipata’.

La mia è una valutazione troppo facile e scontata? Può darsi.

Non ho proposte da offrire. Ma è per me importante iniziare finalmente a riprendere il discorso che feci  (ahimè tanti anni fa!) come segretario della Cisl livornese durante una assemblea aperta in municipio durante l’occupazione dell’attuale TIRRENO, che si voleva chiudere da parte della proprietà. È essenziale, intanto, aver chiaro che parlare con tanta frequenza di essere portavoce o rilevatori dell’opinione pubblica è sempre azzardato; per quanto il fondista o il giornalista che abbiamo di fronte possa essere bravo ed onesto.

È il problema di sempre. Ma volgiamo cominciare?

Il comportamento di giornalisti e opinionisti sul delitto Calipari, che in questi giorni è tornato alla ribalta, ne dimostra l’urgenza. Ne è una dimostrazione evidente.

sabato 14 giugno 2008

• Democrazia economica. Il momento giusto.

da CONQUISTE DEL LAVORO di sabato 14 giugno 2008

La battaglia storica della Cisl sembra vinta. Almeno dal punto di vista culturale, la partecipazione dei

lavoratori e la democrazia economica sono finalmente entrate nel dibattito politico del Paese. E anche una legislazione di sostegno potrebbe non essere

traguardo lontano. E’ questa la sensazione che rimane al termine del Forum di ieri promosso dalla Confederazione di Via Po insieme al quotidiano Il Riformista.

La detassazione degli straordinari è solo il primo passo. Raffaele Bonanni è convinto che oggi ci siano 

le condizioni ”per far avanzare un tema decisivo per la nostra democrazia e per l’interesse dei lavoratori” più di quanto sia avvenuto in passato. Per sostenerlo, ieri, si è presentato puntuale all’appuntamento in piazza della Minerva, a Roma, per ritrovarsi intorno ad un tavolo a discuterne con il presidente della Camera Gianfranco Fini, il direttore del Riformista Antonio Polito, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, i

 senatori Tiziano Treu e Benedetto Adragna e l’onorevole Luca Volonté. Voci tutte favorevoli, a diverso 

titolo, in quanto espressione di quei filoni culturali che tradizionalmente, nel nostro Paese, hanno sostenuto la partecipazione dei lavoratori nell’impresa quale strumento di democrazia: il liberalismo, il cattolicesimo sociale, la socialdemocrazia.

Treu e Volontè hanno illustrato due disegni di legge. Una, quella del senatore del Pd, riguardante soprattutto le medie aziende; l’altra, quella del deputato dell’Udc, che interessa invece le microimprese. Ma certamente le proposte sono integrabili tra loro.

 E dunque si può prevedere l’inserimento del dibattito nel calendario dell’Aula già nei prossimi mesi. La sfida è quella di una iniziativa sociale, culturale e d’impresa che al Paese manca da almeno vent’anni.

Si è parlato anche dei casi pilota in Italia. Quello della Electrolux - Zanussi, degli anni ’90. 

 L'aspetto più interessante è dato dal tentativo di applicare il sistema partecipativo ad una azienda fordista. A Conquiste, il neo deputato Pd Pier Paolo Baretta ricorda che questi accordi erano ”fondati essenzialmente sulla bilateralità”. Altra storia per la Fiat Sata di Melfi che nasce con l’ambizione di essere la fabbrica partecipata e strutturata su linee moderne. E’invece storia recente quella della Metalcam, azienda metalmeccanica di Brescia, che introduce un elemento nuovo: la partecipazione ai risultati d’impresa. Qui si sta esplorando una nuova frontiera e questo progetto ha le caratteristiche per durare nel tempo.

giovedì 12 giugno 2008

• Gramsci rispunta da destra !

Quando non si riesce ad uscire dagli schemi ideologico-culturali, di cui ci si è nutriti nei momenti considerati migliori e si perde (si spera sempre momentaneamente) la partita della gestione diretta del potere, si tende ad adottare un atteggiamento consolatorio: attribuire ai vinti la volontà di recuperare e riconoscere logiche e strategie dei maggiori ideologi a cui da sempre chi ha perso si richiama. È vero quando il potere (ed il contropotere) sono controllati da personaggi che si sono ispirati ideologicamente alla stessa fonte o a fonti molto vicine. È vero, come nell’attuale momento italiano, quando il potere vecchio era in gran parte rappresentato da reduci di una definita ideologia (anche se non in termini esclusivi e maggioritari) e quello nuovo è rappresentato nella quasi totalità da figli e figliastri della stessa ideologia, convertiti sulla strada di Damasco alla impostazione di antichi avversari ideologici. Si tratta di persone che non riescono a scuotersi di dosso i rigidi ‘schemi di lettura’ delle cose e dei fatti, tipici delle ideologie, comunque connotate. L’articolo della Annunziata su La Stampa di oggi, ne è la dimostrazione, in qualsiasi modo lo si voglia interpretare ed accogliere. Si arriva perfino a scrivere: «La prima cosa da ricordare è che la natura non schematica del pensiero di Gramsci, uomo dai molti interessi, dagli approcci sfaccettati e non ideologici, l’ha spesso reso interessante anche a letture non di sinistra. Nel 2007 il settantennio della sua morte ha mostrato quanto complessa è la penetrazione del gramscismo. E qualcuno ha persino detto, in quell’occasione, che oggi è proprio la destra l’erede vera del gramscismo. Frase che in Italia sa di provocazione. Ma non negli Stati Uniti, se guardiamo ai neocon americani, ad esempio al Project for the New American Century, che da Gramsci prende la convinzione che l’agire politico è nella diffusione di idee nella società civile, e che solo dopo viene il successo nella politica istituzionale.» Un atteggiamento che mi ricorda quello del mio antico di testo di storia del liceo, scritto da Armando Saitta, che sosteneva che in ogni movimento rivoluzionario preunitario del nostro Paese aveva comunque a che fare Filippo Buonarroti, che ne aveva - secondo lui - di fatto la guida ideologica.

Non deve sorprendere neanche l’altra affermazione: «È la destra che da anni cerca di reinventarsi e che in questo processo cerca d’includere anche le lezioni imparate dalla cultura «di sinistra». Di tutte queste lezioni, quella di Gramsci è certo la più moderna, perché la sostituzione di egemonia a presa del potere è l’anticipazione di una società in cui classi e media, alleanze e simboli fondano un consenso molto più forte di qualunque coercizione. Del resto gli americani sanno bene che il loro impero si è costruito sull’entusiasmo suscitato nel mondo dal loro modello culturale.  Per questi rami è arrivato anche in Italia (e da abbastanza tempo) il gramscismo di destra. La settimana dopo la sconfitta del 2006 il Domenicale, edito dal senatore Dell’Utri e diretto dal giovane Angelo Crespi, titolava «Gramscismo Liberale» per invitare a una nuova riflessione. È in quel periodo post-elettorale in effetti che rinasce nel centrodestra l’attenzione sui meccanismi del potere.» È di  fatto il riconoscimento che l’origine delle ideologie del ‘900, che tanti disastri e tragedie hanno contribuito a sostenere e che si vogliono ancora ricercare, provengono dalla stessa origine speculativa tardo ottocentesca. Non solo, ma la conferma che il potere, la sua organizzazione funzionale e la formazione delle persone che lo devono gestire ogni giorno sono rivestite da ideologie e ‘cappottini’ vari. Possono esserne motori, non i finanziatori ed i produttori. Scrive ancora l’Annunziata. «È nata lì la riflessione sul potere con cui Berlusconi si ripresenta ora sulla scena, con parole come: memoria condivisa, fine della guerra ideologica, dialogo. La sua proposta è quella di costruire una sorta di meticciato politico, che fonde le varie idee e le rimacina. Il campione del processo è Tremonti, uscito liberista e tornato al governo protezionista (come sempre la sinistra). Ma a meglio svelare i nuovi toni, non a caso, sono i due ministeri che gestiscono la cultura. Sandro Bondi, il più affezionato degli uomini del Cavaliere, tra i suoi primi passi da ministro si rifà all’egemonia gramsciana e va a lodare a Cannes la vittoria di due film «di sinistra», e a dire che il cinema italiano (quello considerato tipico frutto del centrosinistra fino ad ora) non sta affatto morendo; sceglie di colloquiare sull’Unità con uno dei padri nobili dell’opposizione, Alfredo Reichlin, e di scrivere su il Foglio una recensione omaggio al libro dell’altro padre nobile, Eugenio Scalfari. E di annunciare infine, domenica scorsa, il suo programma, sempre a il Domenicale, parlando di superare concezioni di parte a favore dell’identità nazionale. Così anche la Gelmini, che cita Gramsci e recupera altre idee della sinistra: più soldi agli insegnanti e il riconoscimento che la scuola non è un disastro.»

No, gentile signora Annunziata, Gramsci c’entra come strumento da utilizzare per una riflessione ben più immediata ed occasionale: erodere ulteriormente lo spazio ideologico di chi si valuta avversario adottandone stili e apparenze ideologiche, fin dove possibile per l’affermazione del proprio progetto più o meno egemonico. Spazi per 

ideologie o pensieri non deboli, in questo ambito, non ce ne sono. Non Le pare, invece, che questa strumentazione di potere sia in questo momento propizia ad una riemersione (ben più robusta dell’attuale) di un altro figlio spurio dei cascami della sinistra hegeliana: Fini?

A me convince di più quanto affermato da Stefano Menichini su Europa, che abbiamo richiamato all’attenzione nei giorni scorsi: «La crisi del ruolo dei cattolici democratici nella politica italiana, dopo esserne stati spina dorsale e punto d’equilibrio per decenni nella Prima e nella Seconda repubblica, è l’esito di una vicenda durata anni, di uno scontro che ha modificato, nell’arco di due pontificati, il rapporto fra le gerarchie e i cattolici impegnati in politica e nei movimenti. Man mano che la Chiesa si allontanava dall’interpretazione aperta del Vaticano II, veniva ritirata la delega concessa ai cattolici democratici perché costruissero mediazioni nella sfera politica. Mediazioni giudicate, al trarre le somme di una società fortemente secolarizzata, troppo al ribasso, perdenti. La crisi del cattolicesimo democratico esplode dunque quando la Chiesa assume direttamente l’onere di contrastare la deriva secolarista e relativista, e chiama intorno a sé in obbedienza ordini e movimenti. Un fenomeno che la sinistra non ha visto, o meglio ha equivocato scambiandolo per un mero spostamento “a destra”, confermando alle proprie componenti cattoliche il mandato di coprire il fronte (è il modello di gioco abitualmente definito dalemiano). Un fronte che intanto non c’era più.» Questi sono gli spazi, non ideologici, che hanno dato origine all’attuale quadro. Il vanificarsi delle idee strategiche di origine più o meno hegeliana (a destra come a sinistra), la crisi di delega tra gerarchia ecclesiale e cattolici impegnati in politica. Entrambe in cerca di un approdo che, al momento, (almeno io) non si intravede.

Come dicevamo i miei vecchi: calma e gesso e non lasciare spazi scoperti perché (avversari privi di valori o dal pensiero molto ma molto debole) possono occuparli e ridurre la possibilità di un recupero dignitoso della politica.



martedì 10 giugno 2008

• Imboccare la strada giusta, ma con un auto che non abbia le gomme a terra

Il percorso per il PD è iniziato e, come sempre in casi come questo, lentezze ed incertezze affiorano ed, in qualche caso, dilagano. Come già affermato da qualcuno, questo percorso non può essere quello della ‘quarta fase’ della evoluzione del PCI o un ulteriore inserimento - più o meno leggero - della cosiddetta sinistra DC. Entrambe sono categorie che - se ancora presenti in qualche territorio ed in qualche personaggio o in qualche militante - devono essere rapidamente superate cominciando non solo ad avviare il motore ma soprattutto montando ruote robuste e capaci di camminare. Di queste categorie fanno parte coloro che guardano solo organizzativamente al consolidamento o al rafforzamento del percorso nuovo sia che cerchino un nuovo rapporto coi vecchi serbatoi di sinistra o di centro o che non tengano conto che non esistono più terreni ‘riserva di caccia’, per nessuno. C’è un'antica esperienza ‘bipolarista’, «organizzativa», praticata in almeno una associazione di massa italiana: quando guadagna la gestione del potere la destra, aspettati concretezze di sinistra; e viceversa. Il quadro e la strategia saranno propri di quello che ha vinto ed è chiamato a gestire; gli atti quelli che più si avvicinano al ‘concreto’ dell’avversario sconfitto in modo da eroderne spazi e costringerlo ad agire in seconda battuta. 

Se non altro dopo la sortita di FAMIGLIA CRISTIANA sulla capacità di incidere dell’attuale coalizione di destra, credo che anche i più ciechi e sordi si rendano conto che non esiste una frattura tra il comportamento alle urne dei cattolici e quello degli altri cittadini. I cattolici, fatta eccezione per le affermazioni della fede che praticano, seguono la propria coscienza e mirano ad una società che ritengono più capace di procedere in direzioni disposte o disponibili ad accogliere valori e contenuti traguardati anche dalla dottrina sociale della Chiesa. Sentono fortissima l’esigenza di riscoprire la vocazione sociale di una tradizione che dentro il Pd può trovare momenti importanti; ma che ora è solo occasionalmente o strumentalmente riconosciuta in quell’ambito organizzativo e nei suoi quadri, soprattutto periferici. In troppi continuano ad usare ”come un corpo contundente” i temi etici ed a non cercare insieme, cattolici e non, valori ed obiettivi comuni di non breve periodo. C’è da preoccuparsi davvero. Una situazione simile impedì lo sviluppo della stagione dell’unità sindacale organica, già in pieno sviluppo e solido radicamento.

In questi giorni qualcuno vedeva nella querelle sulla collocazione europea del PD il preannuncio di un esito «inevitabile»: la separazione. La fine, magari concordata, del tentativo. Una ridistribuzione di compiti fra riformisti. 

Sono più che convinto che nel PD la fase dell’ammucchiata sia in rapido esaurimento e che comunque possa essere battuta ogni deriva separatista; a condizione però che non si continui a credere che ‘partecipazione’ sia semplice ‘organizzazione del consenso’ (nei partiti, nelle associazioni o nelle istituzioni) e che per ‘pluralismo’ non si intenda solo la quantità di partiti che interagiscono per le istituzioni, negando di fatto l’autonomo ruolo delle parti sociali e dell’associazionismo.  Ciò accade in alcune realtà locali nelle quali alcune dirigenze hanno puntato elettoralmente al ’grande DS’ e solo di sbieco al PD, facendo propria una meccanica tardo-ideologica appena ammantata da un ‘sano’ paternalismo verso i diversi o ubriacandoli - in maniera più o meno pronunciata - con incarichi e nuove responsabilità di gestione.

Per ridare aria e pressione alle gomme sgonfie si deve tornare a parlare con gli italiani di famiglia, valori, ordine, sicurezza, stabilità e qualità del lavoro, doveri e diritti, parità delle opportunità di partenza, meritocrazia negli studi o obiettivi simili; non possiamo giocare solo di rimessa sulle incapacità ed approssimazioni di chi ha vinto ma proponendo scenari progettuali credibili e praticabili. Sono stati regalati alla destra obiettivi e contenuti ‘nostri’, dobbiamo recuperare la capacità propositiva del ‘prodismo’ ed attrezzarci con pazienza e caparbietà per la sua gestione.


lunedì 9 giugno 2008

• ”Non siamo marginali” . I cattolici alla ricerca di nuovi spazi

Colgo nella cronaca di CONQUISTE DEL LAVORO di domenica 8 giugno 2008 altri approfondimenti sul ruolo dei cattolici nel PD. Essenziali per comprendere il prossimo cammino dle PD, che non può essere quello della ‘quarta fase’ della evoluzione del PCI o un ulteriore inserimento - più o meno leggero - della cosiddetta sinistra DC. Il partito socialista europeo, per esempio, non può essere in questo orizzonte, né culturalmente né politicamente. «Superato l’inevitabile choc post elettorale, Teodem, Popolari, Cristiano sociali sono alla ricerca di nuovi spazi per affermare una presenza che - a sentire i loro critici - è stata fin qui sbiadita.»  La riunione convocata da Mimmo Lucà ha fatto da prologo all’incontro convocato dall’associazione Quarta Fase: un seminario a porte chiuse alla Pontificia Università Gregoriana. Di nuovo per riflettere sul voto dei cattolici, anche se nessuno nasconde che alla Gregoriana si gettano anche le basi di un percorso che dovrebbe portare i Popolari a rafforzarsi sul territorio e nel partito. «Non per costruire una ”nicchia confessionale” - ha spiegato Giorgio Merlo - anche se c’è il progetto dichiarato di raccogliere tutte le componenti cattoliche del Pd

 attorno all’associazione: l’obiettivo - sostiene Roberto DiGiovan Paolo, che di Quarta fase dirige la rivista - è favorire l’aggregazione delle diverse culture presenti nel nuovo partito.» L’analisi presentata dal sociologo Paolo Sagatti sembra suggerire che certe contrapposizioni  appartengono ormai più ai riti della politica che alla sensibilità degli elettori. Tradotto: la ”questione cattolica” è tramontata. Lo dimostrano i flussi di voto, lo certifica - per fare un esempio - il risultato dell’Udc. «E’ vero - ha notato Sagatti sulla scia di altri analisti - che la tornata politica del 2008 ha confermato il progressivo spostamento sul versante del centrodestra del ”cattolico massa”.Ma è anche vero - ed forse ciò che più conta - che non esiste una frattura tra il comportamento alle

urne dei cattolici e quello degli altri cittadini; tant’è che lo scarto tra Pd e Pdl rimane p

ressoché invariato nell’un caso e nell’altro.»  Riassume Marco Politi: ”I cattolici votano sulla base di considerazioni mondane”, ovvero fuori dalle cose della fede seguono

 la propria coscienza e la visione di società che ritengono più disponibile ad accogliere

valori e contenuti della linea che scaturisce dalla dottrina sociale della Chiesa. È urgente riscoprire la vocazione sociale di una tradizione che dentro il Pd può trovare spazi importanti. Un ritorno alle radici, in un certo senso, che si contrappone ”a una legislatura, quella passata, in cui c’è stata un’identificazione tra i cattolici e i valori non negoziabili". Secondo Paola Binetti all'aggettivo "non negoziabili è stata appiccicata un’etichetta impropria, ”oggettivamente clericale”. «Io invece lo intendo nel senso che gli dà Benedetto XVI: come dotato, cioè, di una intrinseca razionalità e per questo in grado di convincere». Certo forse c’è stato un errore nel calcare tanto l’accento sui valori non negoziabili e nel lasciare da parte altri lati del patrimonio culturale e politico cattolico. « L’errore però - fa notare - è stato indotto da quanti nel Pd hanno usato ”come un corpo contundente” i temi etici e ”strumentalizzato l’opinione pubblica”: atteggiamenti che i cattolici non hanno visto di buon occhio.»  A dire come si svilupperà questa riflesione saranno altre ”tappe” .  In questi giorni intanto c’è un’iniziativa dell’ex ministro della Famiglia Rosy Bindi.


martedì 3 giugno 2008

• Noi e i diversi. Le ronde?

• Scrivono da Bergamo sul blog di Pax Christi: «"Basta alle politiche razziste e xenofobe delle Ronde  Padane che innalzano il livello di tensione e intolleranza, tutto in nome dell'insicurezza che, reale o percepita che sia, è un dato di fatto. Basta !!! Importante è localizzare il problema e identificarlo per quello che è realmente, andare oltre il terrorismo mediatico che ci bombarda ormai da mesi, sviscerarne le logiche di potere, proporre una visione alternativa e meno distante dalla realtà.»

Intanto non è stato capace di stare insieme alla guida del paese chi diceva di richiamarsi agli stessi valori di solidarietà! 


• «Ora mi frega anco’r posto in atobusse e 'n paga manco 'r biglietto? Andate a lavorà!» Con fare 

sgarbato una donna anziana, malmessa anche nel vestire, apostrofava una ragazzotta (‘addobbata’ da zingara, che cercava un posto per tener con maggior sicurezza il neonato che aveva in braccio e che aveva regolarmente timbrato il biglietto). Ero a Livorno?

Proseguiva la donna: «  Ci vengano a rubbà ‘r pane. Ve’ signori  ‘he vanno in chiesa ni danno anco l’elimosina e da vestì; ir vescovo ni vò da anco la 'asa e 'r sinda'o ni fà da spalla. ‘osì rimangano a rompe’ i  ‘osiddetti!. ‘r mi’ bimbo ciondola tutto ‘r giorno e ‘un trova da lavorà. La pensione è ‘n troiaio. Altro ‘he spazzatura di que’ ‘amorristi della bassa!! ‘he affoghino tutti! ‘he stiino 'n piedi e ne' 'amper!»

L’autobus continuava la sua corsa. La giovane era ancora traballante col bimbo in collo. Idee un ... po’ confuse di quella povera vecchia. Ma nessuno si alzava per cedere il posto alla madre col bambino, ma proprio nessuno; giovane e meno giovane! 

Ero proprio a Livorno? Come ho potuto non accorgermi, non capire cosa stava maturando da tempo? Cosa fare? Sta divorando anche noi il dramma della autoreferenzialità? Ci meritiamo il basso livello della politica, cui siamo giunti in questi ultimi mesi. "Ognun per sé e Dio per tutti", antico indice della nostra miseria.

domenica 1 giugno 2008

• Betori-CEI: la precarietà del lavoro frena matrimoni e nascite

Mons: Betori, segretario della Conferenza Episcopale Italiana ha parlato di precarietà, sottolineando come questa sia uno dei fattori che contribuiscono al rallentamento dei matrimoni e alla denatalità. A proposito di immigrazione, ha ricordato come non ci sia opposizione tra sicurezza ed accoglienza. (AGI) - CdV, 1 giu. - Nei giovani ci sono le risorse migliori ma il contesto è avverso. Non sono una generazione malata, e' la cultura degli adulti che fa sì che i giovani siano rinchiusi: la precarietà nel lavoro, l'impossibiltà di trovare spazio in un mondo che è fabbricato per gli adulti, frena l'aspirazione che essi hanno a formarsi una famiglia''.  ''La denatalità - ha affermato il presule - è uno dei grandi problemi dell'Italia: non si fanno figli perché si ha paura del futuro. Servono politiche che favoriscano realmente la ripresa demografica''.  ''I vescovi - ha ricordato Betori - sono preoccupati per la difficoltà che incontrano le famiglie nel fare la spesa. 


 Questo problema è una realtà quotidiana. Esiste per molte famiglie una grave crisi economica e le Caritas devono sempre più intervenire con i pacchi viveri per le famiglie". Per questo, ha agiunto, "è urgente che si accolga la richiesta del Forum delle Famiglie affinché chi ha più figli paghi meno tasse''. ''Oltre un milione di firme - ha rilevato il segretario della Cei - sono state consegnate al Capo dello Stato e vengono ora trasmesse al Parlamento. Nelle intenzioni del nuovo Governo mi sembra - ha scandito - che ci sia uno sforzo in questa direzione. Per l'Italia è un passo improcrastinabile''. In proposito mons. Betori ha anche ricordato che ''in Europa Stati non cattolici si sono già mossi in questa direzione mentre l'Italia risente di una impostazione fiscale malata di individualismo''. Secondo il segretario della Cei, infatti, ''un certo egualitarismo non vede la concretezza delle situazioni''. Nella diretta televisiva di oggi, mons. Betori ha parlato anche di immigrazione. ''Non c'è opposizione - ha spiegato - tra sicurezza e accoglienza. È ideologia sostenere questa opposizione, la realtà è fatta dalla composizione di queste due esigenze. L'altro c'è ed è ineliminabile che ci sia. Non possiamo pensare di mettere un muro per fermare l'immigrazione. Ma essa diventa un pericolo se non c'è una politica di accoglienza. Anche la sicurezza e il rispetto della legalità contribuiscono a una integrazione''. Quanto ai Cpt, per i vescovi, ha sottolineato Betori, ''lo Stato deve poter verificare l'identità di chi entra e dunque si tratta di uno strumento necessario , ma debbono essere di passaggio e luoghi di civiltà''.(AGI) -


•• Di precarietà se ne parlò anche a Livorno, alcuni mesi fa, in occasione del seminario su "Lavoro e Famiglia", che le diocesi di Livorno e Massa marittima impostarono per l'area costiera regionale in preparazione della

Settimana Sociale; relatore, il prof. Piero Tani. Si avvertiva già il ritardo rispetto a quanto - spesso drammaticamente - stava maturando nei quartieri e nelle famiglie. L'ufficio diocesano per i problemi sociali faceva del suo meglio per testimoniarlo in ogni occasione possibile. Era già stato affermato, infatti, mesi prima, con la particolare sottolineatura del vescovo Coletti, anche nel documento consegnato per una riflessione preliminare a tutti i candidati alle passate elezioni amministrative. Quel documento era una ricaduta dell'ascolto di tanti giovani e meno giovani e delle loro concrete difficoltà. Alcuni ci guardarono con sospetto! Non le organizzazioni confederali dei lavoratori con le loro strutture di base o le associazioni delle imprese negli incontri di verifica e valutazione periodiche col vescovo e con l'ufficio diocesano per i problemi sociali ed il lavoro. Ora, questa nuova dichiarazione di provenienza ecclesiale. 

Confesso di avere molta meno fiducia di mons. Betori nel nuovo governo. Non per diffidenza pregiudiziale, ma per la reiterata impostazione individualista ed eccessivamente proiettata sul neo-liberismo, che a più riprese ha dichiarato. Mi sta facendo lo stesso effetto di quei governi che non aboliscono la pena di morte, ma nello stesso tempo dicono di combattere anche culturalmente l'aborto e di sostenere la famiglia. L'unica speranza che alla rigidità ideologica precedentemente dimostrata prima del governo Prodi, il Berlusconi IV proceda ad 

una correzione neo-keynesiana - di cui si sente un forte bisogno di recupero. Non ci resta che attendere gli sviluppi delle contrattazioni fra le parti socio-economiche e gli atti concertativi fra queste ed il Governo. C'è chi, durante la recente campagna elettorale politica, è rimasto sorpreso che ci siano state persone che hanno sottolineato come non fosse, dalle nostre parti (almeno a Livorno), sbocciato un neo-razzismo o la ricerca di forme italiane di apartheid ma fosse ormai presente nella sua concretezza un forte timore che i nuovi arrivati togliessero il pane a chi già ne aveva pochissimo o contribuiva - anche involontariamente - a vanificare conquiste sociali, che erano costate grandi fatiche alla precedente generazione di cittadini. Ho creduto di avvertirlo anche durante la fiaccolata del Primo Maggio, organizzata dalle organizzazioni confederali dei lavoratori del territorio.

Nonostante le recenti vicende elettorali, c'è ancora troppa autoreferenzialità tra i politici ed una visione quasi solo organizzativa della "partecipazione". Già la gente sta obbligando tutti all'ascolto, anche se i ritardi in tal senso sono ancora molti. Non è con le sole primarie (funzionali alla organizzazione del consenso) o con la ricerca locale, regionale o nazionale del 'comandante in capo' che si risolve il discorso! Dobbiamo augurarci che a sinistra, al centro ed a destra ci si svegli e non ci si ancori alle sole immagini!