giovedì 30 dicembre 2010

• Fiat - Pomigliano. Nuovo contratto.


Come da impegno si è giunti al l'accordo per il contratto di FIAT/POMIGLIANO. Durissime reazioni reciproche (spesso scomposte) fra il fronte del NO e quello del confronto tra lavoratori e impresa. Dal fronte del NO offese gratuite, istigazione ad attaccare i segretari generali di Cisl e Uil, colpi di coda all’impazzata che cercano di preparare un clima da ultima spiaggia per il referendum annunciato sull’accordo di Mirafiori. Un contratto decisamente innovativo che, coerentemente con quanto già concordato e confermato dal referendum coi lavoratori. ne trae le conseguenze organizzative, salariali e di ruolo.

Quando si affrontano i problemi di ruolo delle parti sociali è inevitabile che i toni si infuochino, specialmente quando non ci si voglia rendere conto dei limiti della forza contrattuale disponibile. Quei problemi, infatti, investono direttamente egemonie e culture maturate in decenni con riferimento ad assetti organizzativi e politici dentro e fuori gli ambienti di lavoro. Saltano alcune certezze per gli uni e per gli altri, per i lavoratori organizzati e non e per l'impresa (in questo caso la 'grande' e 'globale')

Nel caso Fiat si pone in ballo anche un altro fattore assai importante: le relazioni industriali (e le capacità di 'partecipazione' e di reciproco 'condizionamento' che sottendono) entro quali limiti possono essere lasciate al confronto negoziale? le eventuali norme di legge fino a che punto possono renderle statiche, cioè ritardate, rispetto al fattore tempo - ormai elemento ineludibile?

Tutti i sindacati, ad esclusione della Fiom-cgil, si rendono conto che è essenziale che la ricerca di un nuovo equilibrio tra i due momenti consenta un respiro globale; se si vuole avviare una inversione di tendenza oltre che alla Fiat all’insieme del comparto produttivo italiano. È negativo che la Fiom continui a sottrarsi a tale sfida e proceda con la testa all'indietro.

«È significativo in proposito l’atteggiamento da maggioranza silenziosa dei torinesi: come rileva Tom De Alessandri a proposito di Mirafiori, tutti nella città hanno capito che senza firma dell’accordo “addio investimenti”» [La Repubblica 27/12]. Quanto sottoscritto per Pomigliano non esce dal quadro del contratto nazionale.

A differenza di quanto esternato da Cremaschi - anche se ne corriamo ogni giorno il rischio - non siamo ancora orientati ad un approdo tale da potersi parlare di 'regime autoritario'. Una affermazione come quella di Cremaschi cerca solo di recuperare spazi emotivi e propagandistici, che nel sindacato in passato sono già stati vissuti e superati; spazi che cercano di evitare l'isolamento nel quale la Fiom e quel gruppo dirigente si sono cacciati; spazi che non rivelano altra progettualità di fatto se non quella di lasciare - più o meno - tutto com'è, supposto che l'attuale organizzazione del lavoro sia compatibile 'globalmente' con quantità e qualità produttive.

La Fiom, non firmando l’accordo si pone fuori dalle regole della rappresentanza sindacale in forza dello Statuto dei Lavoratori. Sul tale tema - delicatissimo - è intervenuto il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni: "Il pluralismo va bene se si fonda sulla regola che una volta discusso, accertata un'opinione a maggioranza, anche chi dissente a quel punto la sostiene e la riconosce". Proprio alle parole di Bonanni fa riferimento Cesare Damiano, (ex ministro del Lavoro, ora parlamentare del Pd), che chiede di ripartire dal documento unitario firmato nel 2008 da tutti i sindacati, chiedendo a Confindustria "di battere un colpo".

Ma qualcuno vuol procedere per offese gratuite e continue provocazioni, che non possono che portare a divisione ed indebolimento (come l'esperienza del passato dovrebbe far ricordare); essere tali da impedire una sintesi unitaria credibile e da spazzare via gli ultimi cascami di egemonie (oggi più di sempre) improponibili.

A meno che non si voglia esasperare - anche più del ragionevole e lecito - il quadro sindacale Fiat per spingere a ricadute nel «sistema partito» superstite, in modo da ricompattare nel PD una vetero-sinistra allo sbando. A mio parere, miopia pura. Angelo Panebianco, (sul Corriere della sera del 29/12) osserva: «Non è facile ricostruire le cause del conservatorismo della sinistra. Forse, una delle più importanti, è l'evidente nostalgia per la cosiddetta Prima Repubblica, che poi altro non è se non nostalgia per i tempi in cui la sinistra era rappresentata da un grande partito il Pci, rispettato e temuto da tutti, capace, pur dalla opposizione, di influenzare potentemente la vita pubblica e i costumi collettivi. Non avendo mai fatto davvero i conti con la storia comunista, la sinistra italiana, o ciò che ne resta, non ha saputo nemmeno fare i conti con tutto ciò che non andava nella Prima Repubblica. Ha finito per idealizzarla. Solo così si spiega il fatto che la sua opposizione alla destra sia sempre stata improntata al seguente ritornello: sono arrivati i barbari, i quali stanno distruggendo tutto ciò che di buono avevamo. Ma davvero era così buono ciò che avevamo? No, non lo era.»

Credo che in quanto sta ccadendo ci sia molto di tutto questo. Il gruppo dirigente della Fiom, a mio parere, se ne sta facendo carico.

venerdì 24 dicembre 2010

• Fiat, Accordo per Mirafiori


Accordo firmato a Torino per il rilancio del sito di Mirafiori. Sì alla firma di Fim, Uilm, Fismic, Uglm. Si è chiamata fuori la Fiom.

La trattativa si è svolta per l'intera giornata nella sede dell'Unione Industriale di Torino. Al tavolo c'era la delegazione dei sindacati Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e l'Associazione Quadri.

Le posizioni vedevano Fim, Uilm, Fismic e Uglm pronte a trattare, mentre la Fiom chiedeva una "vera trattativa" e annunciava che se ci sarà una "Pomigliano bis" il suo no sarebbe stato scontato. Una tappa di snodo fondamentale, quella per il progetto Fabbrica Italia (il piano Fiat da 20 miliardi di euro di investimenti) che è anche essenziale per garantire l'investimento da oltre un miliardo di euro per lo storico sito torinese e per una effettiva progettazione del futuro.

Ci sono voluti trenta giorni di confronto, di aut aut di Marchionne e di aperture e sospensioni del tavolo ma alla fine l’accordo su Mirafiori è arrivato, anche se con il no della Fiom. Un futuro più certo per i cinquemilacinquecento lavoratori/trici dello stabilimento che hanno di fronte a loro almeno un altro anno di cassa integrazione. Alla ripresa dell’attività lavorativa nel 2011, l’intesa sarà sottoposta al giudizio dei lavoratori (tramite referendum). L’intesa è stata sottoscritta dalle associazioni dei lavoratori/trici metalmeccanici: Fim-cisl, Uilm-uil, Fismic e Uglm-ugl. Nell'insieme rappresentanti ampiamente la maggioranza dei lavoratori/trici sindacalizzati. L’intesa raggiunta sblocca un investimento da un miliardo di euro con l’obiettivo di fare di Mirafiori la fabbrica in grado di produrre i Suv realizzati su piattaforma americana. La futura struttura Newco non rientrerà nel sistema confindustriale e quindi non considererà validi i precedenti accordi sindacali, compreso quello del ‘93 sulle rappresentanze sindacali. Avranno la rappresentanza solo le organizzazioni che avranno firmato (quindi se la Fiom ritiene di non sottoscrivere l’accordo, non avrà più diritto ad una rappresentanza formale interna alla Fiat). Una svolta relazionale storica, che richiederà una reimpostazione delle relazioni tra le organizzazione sindacali dei lavoratori. La Fiom-cgil non condivide quel tipo di reimpostazione delle relazioni sindacali nella realtà Fiat. Ancora una volta non ha ritenuto di poter sottoscrivere termini e condizioni raggiunte al tavolo, a cui anch’essa ha partecipato, e chiede lo sciopero generale sostenendo che si tratta di ‘firma della vergogna’. il segretario generale della Fiom-cgil, Landini, ha così motivato la scelta della sua organizzazione : «È una riedizione peggiorata dell’accordo di Pomigliano che mette in discussione l’esistenza dei contratti nazionali e cambia le relazioni sindacali per i prossimi 30 anni».

Non si può che prendere atto che stagioni nuove e dinamiche nuove, nelle quali il fattore flessibilità produttiva ed il fattore 'accelerazione del tempo' sono la determinante globale per la sopravvivenza comunitaria. Da sempre la variante ricaduta territoriale di produzione e commercializzazione (sopratutto nell'industria manufatturiera) ha imposto un regime di relazioni nelle quali gli strumenti di potere e di reciproco condizionamento devono essere rivisti e rinegoziati. Oggi - con la globalizzazione voluta dalle dinamiche finanziarie (gestite da pochi oligarchi) - si deve intraprendere un percorso completamente nuovo (almeno per quanto riguarda la realtà comunitaria del nostro Paese e dell'Europa tutta. Come sempre c'è chi - come il sindacato ed i movimenti di cultura connessi - punta decisamente alla solidarietà ed all'eguaglianza tra cittadini/e e tra lavoratori/trici e,

conseguentemente, si contrappone a chi cerca di corrispondere al valore nominale del denaro quello della produzione e dei servizi.

Siamo un Paese che ha puntato e punta decisamente al sistema manufatturiero e dei servizi. Siamo quindi nell'occhio del ciclone. I soggetti impresa, lavoratore e istituzioni devono far fronte a questo nuovissimo scenario, ancora tutto da esplorare fino in fondo per le realtà territoriali e merceologiche dei Paesi cosiddetti 'avanzati'. Chi stava comunitariamente 'peggio' cerca di affacciarsi (anche con violenza) alla ribalta. Chi stava 'meglio' cerca di trovare una nuova dimensione e nuove strumentazioni che consentano di non arretrare troppo rispetto alle precedenti condizioni.

L'Italia è fra questi ultimi soggetti, con l'aggravante che tra i tre soggetti, negli ultimi dieci anni, è mancato quello istituzionale e non si è avvertita una capacità dirigente e progettuale che aiutassero ad affrontare credibilmente le ricadute di questo processo. Impresa Fiat e sindacati si sono trovati a gestire direttamente questo nuovo quadro ed a tentare nuove strumentazioni relazionali. Col caso Fiat si devono fare i conti. Le culture in campo da sessantanni tra le associazioni dei lavoratori/trici sono di due tipi. Quella tradizionale di stampo laburista, che cerca di reagire a quanto l'impresa progetta e lo vuol fare misurandolo sulle ricadute percepibili già nel breve-medio periodo. Quella di stampo 'contrattualista' che si pone il problema di prevenire le ricadute più pesanti prevedibili o possibili (nell'immediato e nel futuro più o meno distante), dando per scontato che i processi relazionali non sono mai fermi nel tempo, ma procedono per aggiustamenti successivi da controllare negozialmente quando questi si presentano o stanno per presentarsi in tempi dati. Per questa impostazione il problema è la conoscenza in tempo reale dei fenomeni e la partecipazione - compatibilmente col proprio ruolo - alla formazione delle decisioni in modo da condizionarle nell'immediato e contestualmente lasciare spazi aperti a modifiche in tempo reale quando si rendano necessarie. La prima punta soprattutto alla fotografia. L'altra ad un film in permanente modificazione.

Nel caso specifico nelle organizzazioni dei lavoratori/trici sono presenti entrambe le impostazioni. Il durissimo confronto tra Fiom-cgil e Fim-Cisl, in particolare, da questo discende.

Non sarà per niente facile ed indolore, ma dalla capacità di giungere ad un minimo progetto comune, compatibile con le due impostazioni, passa la possibilità di ricomporre l'unità del mondo del lavoro metalmeccanico e l'irrobustimento dell'azione di tutela per i propri rappresentati.

lunedì 20 dicembre 2010

• Nel PD la resa dei conti


È il momento di ridefinire e precisare il progetto, riducendo al minimo i tentennamenti e fissare gli obiettivi di breve-medio termine. È il momento di evitare di inseguire con troppa ossessione le ombre del passato personale e di gruppo, di inseguire il sogno di vecchie egemonie (che negli anni repubblicani di sono rivelate pura velleità).

Non mi domando se sarà una posizione leggibile "all'antica" (destra, centro o sinistra) ma se corrisponderà strategicamente - e nella sensibilità immediata - ai problemi della gente, se consentirà 'concretamente' la mobilità sociale, se farà riemergere valori civili e spirituali, sopiti e nascosti dal ruzzolare di drammi di vario spessore.

Nel PD la resa dei conti? Il punto è: ci sono conti di cui rendere conto, diversi da entusiasmi contingenti e figli di passati più o meno vissuti ed organicamente impostati? diversi dalla ricerca di "nuovismi" non meglio definiti e definibili? dalla continua declamazione di strutturazioni non rispondenti a progetti definiti, confuse con obiettivi e progetti? che guardino seriamente alla voglia "reale" di accoglienza, solidarietà ed ascolto reciproco fondanti del PD?

È urgente che i gruppi dirigenti ai quali è data la rappresentanza dell'insieme, chiamato PD, fissino tappe ed obiettivi in modo da consentire una risposta credibile ai quesiti proposti nonché la libera scelta e la libera 'partecipazione'. In caso contrario sarà fatale che dall'attuale precipitato passiamo a un altro, altrettanto ansiogeno. Il consolidamento dell'insieme centrale dell'attuale schieramento politico e la ripresa di una sinistra 'antagonista' di sistema sono il sintomo chiaro di questa urgenza. Lo sbriciolamento e l'ondeggiamento - conseguente le personalizzazioni di potere dell'attuale insieme di destra - ne sono una ulteriore conferma.

La spinta al passaggio al 'nuovo' fondante dell'origine del PD è il momento dal quale passa la ricerca dei nuovi approdi, anche a livello territoriale e tenendo conto delle varie culture che non possono essere 'bruciate'; come impone un riequilibrio dei fattori imposto dalla globalizzazione e dalla accelerazione del fattore tempo nella costruzione di una risposta alla ideologia di mercato voluta dai Centri di potere finanziari. Se tale momento fosse disatteso prevarrebbe ancor più anche al nostro livello l' "homo homini lupus", si affermerebbero nuove servitù e violenza.


Per nota - La vignetta è stata tratta da www.nicolatranfaglia.com. Troppo bellina e significativa!

• Ai piedi del Presepe tanta «cassa» e poco lavoro


«Tempo di auguri. Ma soprattutto di desideri in questo Natale

ancora sotto il segno della crisi, dove il regalo più bello per quasi tre milioni di italiani sarebbe un lavoro. Quello che si è perso e si vorrebbe ritrovare. Quello che sta sfuggendo e che si difende a denti stretti. Quello che non si è mai avuto e si sogna di ottenere per la prima volta. Quello che ormai molti giovani hanno persino smesso di cercare. Perché anche i sogni, i desideri svaniscono – in un’Italia «appiattita» e senza «pulsioni vitali» – sotto il peso dell’indifferenza e della mancanza di opportunità.» Per non parlare di Livorno che non vede nei suoi gruppi dirigenti uno spiraglio di luce per una decisa inversione di tendenza ed affonda (lentamente, ma affonda) sempre più ai margin della Regione. I migliori cervelli se ne vanno. la lunga permanenza in mobilità e cassa integrazione o nelle liste di disoccupazione appiattisce ed dequalifica la riserva di professionalità. La mancanza di speranza che avanza decisa insieme ad un sistema relazionale sempre più simile alla peggior meridionalizzazione. Caritas ingolfate da chi cerca un ultima spiaggia. Se non ci fossero le magre pensioni di babbi e mamme!

«È il lavoro l’ostacolo principale alla ripresa.», dicono gli economisti ad ogni livello.

Quadro decisamente nero. Rischia «appena di sfiorare chi non è toccato. Chi è "salvo". Chi un posto ce l’ha e vive la propria vita forse in maniera più sobria, ma serenamente. La realtà – quella che viviamo e vediamo con i nostri occhi – è ancora più dura e drammatica. Le situazioni calde, di aziende in crisi, segnano le città. Da Nord a Sud. Le manifestazioni, i cortei (quelli di vera disperazione) si moltiplicano. Al punto che per essere ascoltati, da istituzioni, opinione pubblica, media e aziende stesse, bisogna arrivare a gesti eclatanti. Salire su torri e tetti. Di notte, al freddo e al gelo. Oppure rifugiarsi in luoghi di frontiera, di confine, come l’isola dei cassintegrati dell’Asinara.» La nostra Livorno è in questo scenario. Sono sempre più convinto che, nell'arco dell'ultimo decennio in particolare, sia stata posta dagli eventi e dai limiti progettuali dei suoi gruppi dirigenti ai margini della cosiddetta 'area vasta'. Un grigiore ed una debolezza di reattività a cui iniziative come quella del polo universitario di Villa Letizia sembrano porre un freno. Ma è solo un segnale delle nostre potenzialità. Si annotano purtroppo anche casi sparsi, sempre più frequenti: “Ti aiuto a mantenere o avere un posto di sopravvivenza se hai quella tessera o mi fai questo favore!“ A livello nazionale «una miriadi di crisi, quelle diffuse nel territorio, spesso nel silenzio, che – solo fra industria ed edilizia – interessano oltre 450mila lavoratori. Che a Natale sperano soltanto in una buona notizia.» Nella nostra Livorno persone (numeri!?!) proporzionalmente paragonabili.

LIVORNO RIALZATI! Ne hai tutte le potenzialità. Le possibilità te le puoi conquistare se ti scuoti di dosso la polvere dei ricordi e delle vecchie abitudini.


Per nota - I virgolettati «...» sono tratti da un articolo di AVVENIRE del 19/12/2010

martedì 30 novembre 2010

•Le rivelazioni di Wikileaks


Dall'occhiello del Corriere della sera di questa mattina: Le "Feste selvagge" del Premier. Le rivelazioni di Wikileaks: «Berlusconi inetto e incapace, portavoce di Putin». La replica del premier: ci rido sopra. I documenti: «Regali generosi» e contratti energetici redditizi.

Non è la prima volta che mi pongo in termini assai critici nel confronti di un Governo, di un Presidente del Consiglio, di un ministro della nostra Italia o di un qualsiasi centro di potere ad ogni livello. Sia che appartenesse ad uno schieramento che avevo contribuito a sceglierlo, sia che non lo fosse. Non ho mai particolarmente stimato i personaggi dell'attuale Governo, salvo qualche rara avis. Il quadro che ci mostravano con comportamenti, metodi e progetti era assai brutto e meschino.


Ma non mi sono mai sentito tanto umiliato ed offeso da quello che con questi documenti viene confermato e che negli anni le varie riviste internazionali e parte della stampa nazionale avevano via via sottolineato sotto lo sguardo beffardo dei «guardiani del capo». Non c'è che dire: un bel campionario.Difronte a tanta disistima conclamata (in questo caso dai diplomatici degli Stati Uniti), non è più sufficiente la sola indignazione!

Ribadiscono, infatti, se ce n'era bisogno che il nostro Governo e/o il suo "primus" si sono dedicati a:

- Affarismo, anche personale.

- Incoerenze su temi etici e sociali come la famiglia, l'esasperato individualismo.

- Mercato di donne - giovani e meno giovani - in compra/vendita o in premio.

- Uso - a dir poco - disinvolto delle Istituzioni della nostra Italia.

- Amicizie con autocrati come Gheddafi e Capi dei servizi segreti di Paesi dittatoriali (Putin in URSS) ora ripuliti nella facciata.

- Superficialità da barrino di sfigati nullafacenti.

- Bugie e falsità plateali.


Ma la parte sana del Paese (che esiste!), quando si risveglierà e ritroverà se stessa? uscirà dalla sonnolenza nella quale sembra precipitata? Si rende conto che si espone al rischio di proprie reazioni emotive ed irrazionali?


• Referendum sulla scelta del luogo per la costruzione di un Nuovo Ospedale a Livorno.



Quando si costruiscono momenti importanti - come quello di un referendum tutti hanno il dovere di fare in modo che questo importante atto di democrazia diretta non sia oggetto di sottovalutazione o, peggio, di svalutazione e strumentalizzazione. Non a caso siamo in presenza dell'unico caso istituzionale nel quale i tre momenti SI (favorevoli al quesito posto), NO (contrari), ASTENSIONE (rifiuto del quesito posto) sono da considerarsi legittimi. Confesso che nel corso di questi mesi ho avuto spesso netta l'impressione che non se ne tenesse conto. E la cosa non mi ha fatto per nulla piacere. Ma veniamo al risultato di questa prima esperienza comunale.
L'esito del Referendum sull'allocazione del Nuovo Ospedale di Livorno è stato chiaro.
1 - Chi ha rifiutato il quesito posto ha vinto su tutto il fronte (Il quorum non è stato infatti raggiunto. L'affluenza è stata infatti del solo 20%)
2- Chi ha espresso un parere attraverso il voto si è pronunciato decisamente per mantenere l'attuale localizzazione (20.000 cittadini)
• Prevedibilmente irrilevante è stato il tentativo strumentale dell'opposizione di destra di cavalcare 'come partito' questo strumento. In una occasione come questa sarebbe stato problematico per chiunque, specialmente quando il rapporto numerico maggioranza/minoranza gioca particolarmente a suo sfavore. Specialmente quando la 'sonnolenza' ambientale tutti travolge. Sonnolenza che la partecipazione al voto ha ancora una volta rilevato, anche tenendo conto di debolezze e limiti.
• C'è chi sostiene che il rifiuto di partecipazione al voto, unita ai voti favorevoli alla amministrazione cittadina, è una conferma della scelta istituzionale già da tempo effettuata e che il referendum aveva cercato di modificare. Ci andrei molto piano, anche se innegabilmente questa ne è la conseguenza sostanziale. Bastava andare in un qualsiasi bar o luogo di raduno e si avvertiva molto forte lo scetticismo e l'indifferenza; fortissimo emergeva il distacco tra rappresentanza istituzionale e cittadini. Ha ragione il sindaco Cosimi, al momento del commento del risultato, quando afferma che deve essere ripensato e modificato anche sul piano formale - il rapporto di partecipazione istituzioni/cittadini.
Aggiungo; anche per evitare 'giochetti' formali che annebbiano brutalmente il quadro (allargamento/non allargamento a ultra16enni e immigrati, con ricorso a vari gradi di giudizio formale - Tar e magistratura; tutto all'ultimo momento per cui in molti non sapevano se partecipare o meno al voto referendario del momento, se si trattava di un atto consultivo o di un atto abrogativo).

domenica 28 novembre 2010

• Complotto, sì. Complotto, no.


Le dinamiche finanziarie ‘globali’ scuotono l’Europa e sono lungi dal corrispondere ad interventi coordinati di difesa e controllo da parte di chi possiede gli strumenti di gestione politica. Dallo spavento degli anni scorsi - anziché con nuove regole di controllo finanziario concordate fra gli Stati per rendere gestibile sul piano socio-economico quanto accadeva - siamo momentaneamente usciti con un ulteriore arricchimento dei finanziari ed un impoverimento verticale delle popolazioni e dei loro nuclei comunitari. Nessuna delle potenze globali - come Stati Uniti e Cina - ha interesse ad indebolire l’Euro o a farlo franare fino a provocare forme di miope autarchia nei singoli Paesi che lo hanno adottato. Le valutazioni del prof. Romano Prodi sul MESSAGGERO di oggi [ “L’euro e la Germania. LA MAESTRA SEVERA CHE NON AIUTA L’EUROPA”] ne tracciano un quadro per l’immediato e, declinandone tutta la delicatezza, indicano come fondamentale il ruolo della gestione politica; un ruolo che a livello d’area deve essere unitario ed, oggi, non lo è. Il prof. Paolo Savona [nel programma “in mezz’ora” della Annunziata su RAI3] è arrivato a richiamare la saggezza della Chiesa cattolica quando, per giungere ad una decisione efficace ed efficiente per tutti ,riunì tutti i cardinali, li rinchiuse (com clave) e non fece aprire finché non ci fu la decisione unitaria. Da questo punto di vista, quindi, nessun complotto contro il nostro Paese ed i suoi governanti. Al contrario urgenza di una linea univoca e stabile da parte dei nostri governanti nelle relazioni con gli altri governi. Per quanto ci riguarda di assai problematica soluzione per gli sconquassi di gestione combinati - antichi e recenti - da parte del nostro attuale governo.

Ma allora perché gridare al complotto ed indicare come destabilizzanti situazioni che questo governo (con la sua maggioranza in pieno sbriciolamento) o suoi personaggi mostrano di non sapere o volere gestire? La corrispondenza delle ambasciate statunitensi che sta per essere immessa in Internet, con rivelazioni che possono fortemente imbarazzare quel governo o che pongono ancora una volta il nostro in difficoltà tali da provocare un ulteriore declassamento della nostra immagine internazionale? Anche in questo caso, comunque, il complotto non c’entra ma solo nostra incapacità da recuperare il più rapidamente possibile. Cioè ancora un problema nostro, solo nostro.

Ma comunicati e dichiarazioni insistono unendo con molti altri quei due gravi problemi. Un caro amico, Fabrizio Geloni, con ironia dichiarata ha scritto su Facebook a questo proposito: « Ancora il complotto! È dal 94 che (Berlusconi) dice che gli remano contro! Ci sono le forze oscure della reazione, che non lo fanno governare. Inventano i rifiuti a Napoli, il crollo di Pompei, i festini, la gaffes, l'aumento delle tasse, il crollo del PIL ... Tutte bugie. a me curiosamente viene in mente il potere sovietico che denunciava i nemici del popolo e della rivoluzione.» Qualche altro elenca ancor più ironicamente: «Come negare il successo con la Cancelliera tedesca, gli orsi della dacia di Putin, (l’ospitalità a) Gheddafi', le barzellette sugli ebrei, le corna, i cucù», «le ‘bimbe’ a pagamento o meno?»

Se complotto c’è, questo governo ce lo ha tirato addosso ed ha il dovere di porci rimedio efficace, subito. Se - come credo - complotto non c’è ed è evocato da questo governo per distrarre da ruzzoloni ed incapacità in atto, sarà bene passare rapidissimamente ad una gestione più decente quanto prima. La crisi globale in ripresa potenziale e l’immobilità interna non può aspettare che abbiamo risoti i nostri problemi interni. Sempre che noi tutti vogliamo uscirne con uno scatto d’orgoglio e dignità.

Credo molto saggia a questo proposito la dichiarazione del prof. Prodi, riferita dal Messaggero di oggi. «Conosco la difficoltà di governare e di farlo in Italia. Ma mi sono molto sorpreso, infatti, quando il governo Berlusconi diceva che era tutto facile, che tutto si faceva con la bacchetta magica. Invece non ne hanno indovinata una». Lo dice l’ex premier Romano Prodi a Sky Tg24. «Certo - osserva Prodi - con una maggioranza larga è più facile affrontare i problemi, ma loro non hanno voluto. Io ho voluto, però la mia maggioranza si è sciolta». Prodi ricorda anche di avere avuto «i media scatenati contro di me, ma non mi sono mai lamentato».

«I media - osserva Prodi - fanno il loro mestiere. Molto spesso per un politico è spiacevole e si passa la notte insonni ma la democrazia si regge sui media e sulla trasparenza dell’opinione pubblica. Per mesi la prima pagina dei giornali di proprietà di Berlusconi fu dedicata alle infamie su Telekom Serbia, su Mitrokhin. Poi, le persone che vennero usate per costruire questa infamia, sono state messe in galera perché avevano semplicemente mentito».


sabato 27 novembre 2010

• Manifestazione CGIL e comizio Camusso



Su RASSEGNA.IT di oggi leggo la cronaca di Paolo Andruccioli del primo comizio della nuova segretaria generale della CGIL, in piazza San Giovanni a Roma. Ne trascrivo l'incipit. Cgil in piazza, Camusso: "Vogliamo un paese civile" «Lotta alla precarietà del lavoro, battaglie concrete per le difesa di chi viene licenziato con le norme introdotte dal governo, unità tra giovani e anziani, rispetto delle regole e della democrazia, cittadinanza per gli immigrati, rispetto delle donne, tre priorità per affrontare l'emergenza Sud. E inoltre un attacco durissimo alla ministra Gelmini alla quale si chiede di ritirare la sua riforma dell'università. Sono stati questi i temi forti usati dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, al suo esordio dal palco di San Giovani.» La prima impressione. La Camusso cerca di raddrizzare il timone di questa importante parte di lavoratori e lavoratrici puntando ad uscire dall'angolo dell'isolamento nel quale la CGIL, degli ultimi anni, si è confinata - soprattutto con l'atteggiamento para-negoziale della Fiom, ma non solo. Ha cercato di fissare le 'cime' di salvataggio della CGIL su varie sponde - particolarmente sulle banchine delle altre due confederazioni Cisl e Uil. Ha richiamato i motivi della protesta profonda in emersione dal Paese per la grave crisi socio-economica, per la mancanza di risorse per la sopravvivenza ed il lavoro. Ha tentato - pur consapevole di limiti evidenti - di riallacciare un rapporto tra mondo del lavoro organizzato e mondo studentesco uno degli elementi-chiave della strategia delle organizzazioni di massa degli ultimi cinquant'anni. La spinta per un generale atto di orgoglio capace di aiutare chi sta cercando di avere come obiettivo il recupero della speranza; uno sfogo in positivo. Come dimostrano anche strategie ed obiettivi negoziali delle altre due confederazioni, di tavoli aperti o apribili con le controparti imprenditoriali ce ne sono diversi ed importanti. La manifestazione indetta dal settore delle costruzioni - lavoratori ed imprese - per il prossimo 1 dicembre lo conferma. Per tutti, di fatto manca un interlocutore: il governo nazionale. Diversi uomini di partito, più o meno importanti e determinanti, hanno aderito a questa manifestazione. Ancora una volta in cerca di non perdere contatto col mondo reale, che le tre confederazioni rappresentano - nonostante i cosiddetti opinionisti cerchino di rappresentarle con accenti che sfiorano il grottesco per sostenere le loro tesi o i loro richiami ideologici anciène régime.

lunedì 22 novembre 2010

• Vaiassa, Vajassa, Bagascia


In questi giorni, il linguaggio 'popolare' o 'popolano' dei politici si sta colorendo sempre di più e tende a recuperare vocaboli che dalla cosiddetta 'buona educazione' erano relegati nel sottofondo.

Uno di questi è la parola 'vajassa' che le onorevoli Mara Carfagna (pdl) e l'on. Alessandra Mussolini (pdl) si sono lanciate. Ma che vuol dire? È una offesa o un complimento?

La parola può essere valutata più o meno offensiva con riferimento alla qualità del contesto nel quale è stata pronunciata.


Vaiassa o Vajassa (area portuale campana) o bagascia (area portuale livornese) sono vocaboli discendenti dalla trascrizione parlata del termine arabo "bagasch". Nel significato originale di "donna addetta a lavori umili e disagiati tenuta alla esecuzione degli ordini di chi è investito da una autorità gerarchicamente riconosciuta come superiore". Nel tempo, nel linguaggio popolare - nelle sue varie gradazioni - ha assunto il significato di 'serva', 'donna sguaiata e volgare, usa al pettegolezzo ed alle scenate plateali'. Dal '900, soprattutto in area livornese ma non solo, è stata usata talvolta anche nel significato di ‘prostituta da pochi spiccioli’.

sabato 30 ottobre 2010

• 60° anniversario Cisl di Livorno


Oltre un centinaio di persone si sono incontrate alla Goldonetta a Livorno. Una scritta da sfondo al palco: 60° ANNIVERSARIO CISL LIVORNO.

Vecchi e nuovi volti si incontrano, imbarazzati come si può esserlo quando si rilegge un album di ricordi di azioni, polemiche e solidarietà di anni (molti per i più anziani). Lotte durissime degli anni ‘70, pulsioni rivendicative piccole e grandi, tensioni civili e sociali che riemergevano recenti e lontane. Qualcuno sta leggendo CONQUISTE online:”Crisi, peggiora la disoccupazione di Eurolandia: a settembre sale al 10,1%”; Emergenza rifiuti: Berlusconi ad Acerra promette soluzioni entro pochi giorni”. Qualcuno, sconsolato, mormora: «ai guai di Livorno si aggiungono quelli ‘globali’!» «Niente certezze, tanta propaganda!».

Ci si guarda intorno. Il sorriso torna sui volti. «Fa bene qualche volta guardare con attenzione all’indietro.». Rileggere per progettare, per alimentare la speranza. Vittorie ed errori. Volti e fatti. Conferme e spinta alla innovazione.

Sessant’anni di orgogliosa autonomia, in un territorio che ha sempre teso all’immobilità ed al culto di pregiudiziali primazie, che ostinatamente tende a confermare un tutt’uno partiti e sindacato (quindi decisamente ostile ad una Cisl che traeva la propria forza dal guardare progettualmente a solidarietà e previsione dei fenomeni futuri nel rifiuto di schematismi ed ideologie.

Lo schermo ridà volti ed atti, in sequenza da ieri l’altro ad oggi. Figli che riconoscono padri ed amici che li hanno preceduti. I più giovani che guardavano - un po’ scettici - i più anziani che confermavano d’aver mangiato tanti panini sotto stazione, d’aver sfruttato tante ferie e festività per gestire fatti, trattative (piccole e grandi). Qualcuno ricordava un sacerdote che, difronte all’impegno sindacale, - tanti anni fa - diceva: “La tua è una missione! di quelle vere, perché vissuta sulla pelle ed ogni giorno; con la quale dai agli altri, per come sai e puoi fare”. Molti (quelli che erano riusciti a liberarsi dai guai di ogni giorno) erano lì e lentamente si immergevano nel passato. “Amici e compagni di tante battaglie siamo ancora qua!”. Qualcuno un po’ malandato. Poche nostalgie. Voglia irrompente di guardare al futuro insieme a chi oggi è ancora in trincea, a chi non si sente ‘rottame’ ma parte di una costruzione che ha contribuito ad erigere.

Guardando indietro. Riandando agli anni ’50-’80. Quattro momenti hanno segnato la ‘livornesità’ cislina:

Il manifesto lanciato negli anni ’60 da Leonardo Romano:

- LA FIM SCHIAFFEGGIA LA FIOM. [Promosse fortemente l’azione unitaria di tutta l’area per la conversione innovativa e sostitutiva del Cantiere Navale Orlando: i cosiddetti accordi del 1962.]

- Il manifesto AI CRUMIRI del 1969 affisso dalla Filca [che invitava alla compattezza in funzione della conferma del “Risorgimento sociale” in atto ed al sostegno della contrattazione categoriale e confederale.], che accompagnava tentativi di promozione di nuove strumentazioni negoziali come il tentativo di «Cassa di Resistenza» per i lavoratori della Cementir, durata poi un paio d’anni.

- L’accordo della SOLVAY, [che affrontava il problema della garanzie occupazionali e che richiese l’intervento dello stesso ambasciatore belga, a Roma, per richiamare al tavolo della trattativa la multinazionale.]

- La manifestazione unitaria del 1978 in una piazza della Repubblica stracolma per lo sciopero generale nazionale, che vide l’ultimo comizio pubblico unitario di un grande leader della Cisl, Bruno Storti. (Una delle rare ‘piazzate’ storiche di Livorno).


Tanti volti non più attuali: Morellli, Maggini, Celli, Benedettini, Romano, Poggialini, Bettinetti (il mio!), Picchi, Grassi ....... Alcuni di loro significarono stagioni di speranze e di unità nell’autonomia per tutti i lavoratori e le lavoratrici livornesi. Ognuno di loro significò ‘non stare alla finestra’, permanente salvaguardia della centralità del lavoro, strenua difesa dell’autonomia del sindacato, visibilità ‘politica’ e ‘negoziale’ della Cisl anche a livello territoriale.

L'incontro alla Goldonetta: semplice ed efficace, in tutti i suoi risvolti. Scorrere rapido ed essenziale di immagini-emblema che ripercorrevano - attraverso le persone - tempi e modi di fare sindacato a Livorno, cercando di coglierne gli input progettuali per l’oggi. Talk show, condotto da David Evangelista e Sara Chiarei, che coinvolge due ex segretari generali e altri sei quadri delle varie epoche. La favolosa figura di Adriano Olivetti, che richiamava per i più anziani l’esperienza livornese dei Cristiano Sociali, alla quale era stato vicino. Intervista al sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, presentata dal segretario generale, Giovanni Pardini, e condotta da David. Scorrono sullo sfondo gli slogan che richiamano le politiche e gli impegni di oggi. Importanti ed incisivi gli interventi di chiusura del segretario generale di Livorno, Giovanni Pardini, e del segretario confederale, Maurizio Petriccioli. Essenziali e puntati sul domani della provincia e del nostro Paese, nel quadro globale. Ricorda Pardini. «Siamo un argine contro la crisi, anche locale, e ci battiamo perché i problemi della sopravvivenza e dell’occupazione, delle persone e delle famiglie siano affrontati non a parole e rimangano centrali con qualsiasi tipo di gestione del potere -locale e centrale - dovessimo confrontarci». Conferma Petriccioli. «Partecipazione alla formazione delle decisioni (nell’impresa e nella società).» «Responsabilità e rifiuto di ogni forma di isolamento.» «Consapevolezza che nessuno schematismo ideologico - ivi compreso ‘il capitalismo anonimo’ ed un ammorbante ‘mercato’ fine a se stesso.»


domenica 10 ottobre 2010

• Ricchi, quasi ricchi e poveri.


Il dramma degli immigrati (europei o extra-europei) ed il supersfruttamento al quale sono troppo spesso sottoposti non possono lasciarci indifferenti e silenziosi o arroccati su posizioni di presunta superiorità culturale o etnica.
È un dramma che trova un suo momento nella cacciata dalle baraccopoli ('abusive' o meno) delle famiglie nomadi (con incentivo o meno, con garbo opportunistico o meno, a livello di territorio o nazionale); senza prevedere per loro altra sistemazione abitativa civile (compatibile con la loro povertà ed emarginazione, spesso pluriennali) ed una qualsiasi chance di inserimento nel nostro contesto sociale. Obiezione frequente: prima dobbiamo pensare ai cittadini italiani ed alla nostra sicurezza (come se furti, molestie e simili fossero propri solo di nomadi ed immigrati!). È stupido e miope questo accanirsi, aggravando la destabilizzazione di questo gruppi di diseredati (che - anche se vogliono - non possono cercare un lavoro o un terreno nel quale insediarsi con le loro miserie.
Occorre una strategia contro la miseria che proviene dall'interno e dall'esterno dei nostri territori. Una strategia non la si improvvisa, ma la si cerca - con l'aiuto anche dei diseredati (dovunque siano originari e comunque siano costretti a sopravvivere). È urgente che - tutti - godano delle nostre elemosine. Ma è determinante che si affrontino le cause degli squilibri ricchi/quasi ricchi/poveri e se ne cerchi una progressiva eliminazione, senza dimenticare - mai - che i flussi delle persone hanno dinamiche globali e che nessuna barriera (meno che mai quella dei confini dello Stato nel quale si vive) è così forte da impedire che si producano effetti ovunque.

martedì 5 ottobre 2010

• Begm Shnez, lapidata. Nosheen, presa a sprangate

«Ci risiamo. Dopo il caso di Hina l’estate 2006 (uccisa a Brescia dal padre perché accusata di vivere troppo «all’occidentale») e quello di Saana l’anno scorso (accoltellata dal padre marocchino perché voleva vivere con il fidanzato italiano), un altro orribile fatto di sangue che ha coinvolto una famiglia di diversa cultura e tradizione (questa volta pakistano-musukmana) nel nostro Paese.

Nel Modenese un padre ha ammazzato la moglie per una lite sul matrimonio combinato della figlia, Nosheen, che avrebbe dovuto sposare un connazionale. La ragazza non voleva saperne, il fratello l’ha presa a sprangate e l’ha ridotta in fin di vita. La madre, che prendeva le difese della figlia, è stata lapidata dal marito.

Molta è la strada che - tutti insieme (schedati o no) - dobbiamo ancora fare. Gli innesti forzati e lasciati a se stessi procurano lacerazioni, disorientamenti e arroccamenti su antichi e consolidati modelli degli uni o degli altri.

Altre due persone massacrate. Le nostre leggi attuali, esasperate spesso da metodi e comportamenti locali. non solo non aiutano ma aumentano la solitudine di chi è in difficoltà ed ha accettato di procedere per il cambiamento imposto da una realtà diversa da quella delle sue origini.

Gli individualismi e gli egoismi, piccoli e grandi, di molti fanno il resto. Queste donne - e le molte ignorate o scarsamente considerate - sono delle vere e proprie martiri.

Sembrerebbero cronache d’altri tempi, e altri luoghi. Invece succede in Italia, nel 2010. Famiglie musulmane - pakistane, egiziane, marocchine, algerine - che pretendono di trapiantare in Italia costumi del loro Paese; simile pretesa anche a quella di nostri recenti antenati.

Cous cous, veli e servitù di genere e di stato: tracce emergenti e visibili.

Pagine da leggere per scrivere di un’integrazione, solo che se ne abbia volontà e cultura, da traguardare con tenace pazienza e soprattutto attraverso reciproca conoscenza ed accettazione.

lunedì 4 ottobre 2010

• La parola crisi: fotografa solo un cambiamento in atto


Si parla quotidianamente di crisi della politica, di crisi delle organizzazioni sindacali , di crisi culturale e morale. Parole che troppo spesso sono assunte genericamente ed a prescindere da cause ed effetti.

Se con la parola "crisi" si intende ‘cambiamento in divenire’, partendo da incertezza (anche analitica) del presente o del recente passato, è indubitabile che ne stiamo attraversando una robusta, conseguente alle frequenze imposte dalle nuove ideologie organizzative (di mercato) e dalla forzata integrazione tra sistemi socio-economici a livello globale, nonché dalla diversa capacità di cambiamento che ciascun soggetto è in grado di mettere in campo.

Crisi del sistema di gestione del ’sistema istituzioni’ ad ogni livello (e di conseguenza del ruolo di partiti e movimenti) e di cambiamento per tentativi e forzature finalizzate al consolidamento di poteri personali e di gruppo.

Crisi di spinta associativa per difesa e/o nuova progettualità da parte di gruppi come quello dei lavoratori dipendenti ed autonomi, nei quali allo stato si distinguono tre momenti: quello rappresentato dalle associazioni che precedentemente sentivano forte il richiamo alle ideologie degli anni ’50-’90 e tuttora sono rese incerte da ritardi di analisi del presente (la Cgil con alcune categorie in prima fila, come la Fiom); quello rappresentato da associazioni che hanno fin dalla nascita privilegiato il pragmatismo e l’autonomia di ruolo nel sistema istituzionale (nello specifico la Cisl); quello che, pur sensibile alle ideologie degli anni ’50-’90, ne ha acquisito la decadenza e cerca un nuovo volto operativo (la Uil). Le tre organizzazioni, nell’insieme, hanno sostanzialmente mantenuto le quantità associative; anche se hanno date risposte operative e progettuali assai diverse.

• Lavoratori: Urgenza di un progetto comune.



Si è rotto qualcosa che è molto difficile rimettere insieme". Tra Fim-cisl, Fiom-cgil, Uilm e Fismic la spaccatura è verticale dalla base al vertice. "Venduti", gridava il mini corteo della Fiom livornese. "Squadristi", rispondevano dalla Fim-cisl dopo i lanci di uova contro la sede. Dalla Fim nazionale annunciavano "la preparazione di un dossier su tutti gli attacchi e le violenze subite negli ultimi mesi"per confemare che il quadro si era deteriorato ben prima della difesa - anche negoziale - del lavoro a Pomigliano. Raffaele Bonanni, il segretario generale confederale della Cisl ribadiva: «È possibile muovere l'accusa di 'venduti' contro chi ha firmato un accordo che ottiene investimenti, salva posti di lavoro e garantisce più salario ai lavoratori a parità di diritti»? Scrive Paolo Griseri su Repubblica del 4 ottobre: «Quella che è cambiata è la mentalità di fondo, quell'idea che c'era un tempo quando pensavamo che puoi dividerti su tutto ma esiste una solidarietà tra chi fa sindacato, dedica la vita a difendere i diritti dei lavoratori. Una solidarietà decisiva anche nelle vertenze più difficili, anche quando si arriva ad accordi separati". Il ricordo è di Giorgio Benvenuto, leader carismatico dalla Uil negli ultimi decenni del Novecento. Parla sfogliando i ricordi di trent'anni fa, quando i sindacati erano unitari. Anche sui volantini Fim, Fiom e Uilm erano una sola sigla, l'Flm, e ai cancelli di Mirafiori persero insieme.» Potevano fare eco Pierre Carniti e Luigi Macario, grandi leader storici della FIM-cisl e della FLM costruita insieme a Luciano Lama, Bruno Trentin e Benvenuto.

L’attuale situazione di tensione e scontro spesso sfocia nella violenza (tra i metalmeccanici in particolare) e rischia di riflettersi pesantemente anche all'esterno dell'associazionismo sindacale: scaricandosi negativamente sul consenso ad alcuni partiti e sull'astensionismo elettorale. Non si tratta, infatti, soltanto di una situazione figlia di concorrenzialità spicciola in caccia di conferma di egemonie storiche; anche se tale può manifestarsi in aree periferiche del sistema (Livorno è una di queste).

Due linee politiche si stanno confrontando duramente tra i metalmeccanici: quella della FIOM-cgil (affiancata anche dai COBAS) che punta alla contestazione tout cour - spesso con debole proposta difensiva (solo di rado temperata nelle piccole aziende dalle costanza dei rapporti diretti tra lavoratore ed impresa), frutto anche dalla esasperazione e dalla mancanza di speranza per un recupero di tranquillità sociale; e quella della FIM-cisl che, rendendosi conto che 'da solo' nessun soggetto può farcela (specie in momenti di gravissima crisi di sistema come gli attuali), cerca nel negoziato interno all'impresa ed all'esterno spazi di riequilibrio e 'nuovi' strumenti di partecipazione che costituiscano le basi per una ripartenza. Su questa seconda linea si sono attestati anche FISMIC e UILM.

domenica 8 agosto 2010

• Realtà e speranze. Far politica oggi, in Italia.


«“Il bipolarismo in Italia non è mai nato.» «Che cosa hanno fatto gli eredi del Pci se non cercare per governare alleanze e unioni con qualche centro o con una certa sinistra, come dimostra l’esperienza, fallimentare, dell’Ulivo”?» «“Ho dato l’anima per costruire il partito democratico. Quindici anni. Ma ho di fronte agli occhi solo vecchi centri e vecchie sinistre.» «Mentre il mare è mosso, per il Pd sarebbe il momento di trarre qualche conclusione: che, ad esempio, esiste in Italia una forte tradizione socialista e socialdemocratica che potrebbe tranquillamente allearsi con espressioni di cultura cattolica e liberale, mentre è assurdo illudersi di trovare una sintesi tra storie tanto diverse.»
Lo ha detto Massimo Cacciari in un’intervista agostana all’Unità. Parole importanti, se esistessero, formalmente o meno, momenti culturali e forme organizzate che potessero davvero proporsi come eredi della socialdemocrazia di tipo europeo o dell’impegno socio-politico dei cattolici. Allo stato sono presenti pulsioni e tensioni - o poco più. Cercano in sollecitazioni elementari - individuali o di piccolo gruppo la spinta per una reciproca contaminazione in un mare agitato, ma privo (o quasi) di vita. Ci si rivolge più alla pancia che all'intelligenza, più all'immagine - più o meno imbellettata - che alla sostanza. Individualismo ed arrivismo prevalgono sulla ricerca del bene comune, provocando un mutamento dei valori prevalenti nei primi cinquant'anni di vita repubblicana. Col ‘berlusconismo’ ci spingiamo alla ricerca di un potere gestionale fine a se stesso con sbocchi spesso amorali, da 'decadenza ‘imperiale’.
Di tutto questo ben si rendeva conto Il cardinal Bagnasco quando affermava in giorni recenti che occorreva «una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni». Una speranza e la spinta ad un rinnovato processo di formazione? Voglia di alimentare la nascita delle tre «Reti» di ispirazione cristiana: Forum delle associazioni familiari, 'Scienza & Vita' e Retinopera. Ma queste «Reti» (soprattutto 'Scienza & Vita' e Retinopera) sembra che si siano accartocciate su un ‘privato’ solipsista, che propone obiettivi a fiato corto e tende ad assorbire una rinnovata dinamica progettuale.
Cacciari e Bagnasco: due espressioni in cerca di sollecitazione e di condivisione per poter costruire un progetto realistico che, salvaguardando la democrazia rappresentativa, recuperi certezze e progettualità al ‘sistema Italia’ in un momento delicatissimo soggetto a collassi e sconquassi sconvolgenti. Dobbiamo riprendere consapevolezza di essere Comunità e reagire tutti (laici cattolici, di altra confessione o tendenza) e giungere insieme ad una nuova sintesi per la convivenza. Urgono luoghi nei quali confrontarsi; sentirsi 'vivi' e capaci di scegliere e condividere consapevolmente, in modo da creare precondizioni progettuali. È questa un'operazione sempre più difficile per vecchi cascami riemergenti da culture e schematismi, vecchie ed obsolete.
Dobbiamo anche superare miopi comportamenti presenti nel sistema politico-partitico tripolare, nel quale di fatto operiamo nella Comunità attuale. Tensioni derivate dai tentativi di assorbimento del raggruppamento più piccolo o più debole da parte del più importante (in nome di una più efficace gestione del potere posseduto o che si ritiene di possedere): determinando immobilità, spinte centrifughe, ulteriore deficit di sintesi e capacità progettuale. È un fenomeno tanto più presente in persone che si arroccano sulla osservazione superficiale e tardano a rendersi conto del film in divenire.
Tenendo conto di tutto ciò, forte è la speranza nel dibattito che caratterizzerà la
Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si terrà a giorni a Reggio Calabria, anche se non si avvertono ‘grandi’ spinte preparatorie d’insieme della Chiesa italiana.

sabato 31 luglio 2010

• Fini: gioco ambiguo?


C'è chi sostiene che tutti hanno «capito che il gioco dell’on. Fini è ambiguo. È stato cacciato dal Pdl dopo essersi messo nella condizione di essere cacciato, Eppure resta lì. E' un trucco della destra che sta preparando un dopo Berlusconi che rappresenti una vera alternativa all'era Berlusconi. Non più monarchico, ma (forse fintamente) collegiale. La nuova Balena Bianca.» Qualche altro aggiunge: «Quello che vedo mi pare l'inizio di un'operazione di metamorfosi. Come fu fatta in Cina, dove sono stati tanto abili da conservare un regime, ma dando la percezione che l'era di Mao era finita e che ne era iniziata una completamente diversa.»

Sono convinto che da qualche anno sia stata proposta una rinnovata immagine di Fini e che è in corso di definizione a piccoli passi."Adelante, Pedro, con juicio", avrebbe detto il Manzoni. Tutti da scoprire i cambiamenti, se cambiamenti 'veri' ci sono stati. Tutto da scoprire l'avvicinamento effettivo alla destra europea, così spesso da Fini - ed i suoi amici - reclamato.

Certamente la Democrazia Cristiana ( la "balena bianca") era assai più trasparente e valutabile; sia nella sua veste socio-cristiana - o socialdemocratica europea come qualcuno ha scritto - sia nella sua sporadica dimensione 'moderata'. Non a caso Gelli attivò la melma piduista in modo da contrastare le tensioni democristiane per un moderna democrazia non autoritaria né populista. Non a caso osserviamo i cascami culturali piduisti anche ai nostri giorni.

Comunque l'immagine finiana, nella espressione odierna, è più abbordabile (almeno da uno come me, che la osserva con perplessità). In postazione per il dopo-Berlusconi (Se si porrà il problema a tempi ravvicinati!) ci sono diversi gruppi e gruppetti; anche quello degli estimatori di Fini.

• Occupazione, partecipazione e tutele

Leggo su Rassegna.it un commento alla vicenda FIAT, che non può che lasciare perplessi per il tono da lesa maestà, che lo caratterizza. Sembra quasi che l’estensore voglia affermare che se non è d’accordo il suo sindacato , la Fiom, nessuno può proseguire in negoziati e scelte. Il pezzo ha il titolo: «Fiat firmare sempre, firmare tutto» con l’occhiello: «Il Lingotto lo ha chiesto e ottenuto con il solo 'no' della Fiom. Ma potrebbe accadere in mille altre aziende, indebolendo le tutele garantite dal contratto nazionale di lavoro». Con riferimento anche all’accordo sindacale per la ripresa della occupazione di fabbrica ed indotto di Pomigliano (circa 15.000 persone, se ho ben capito) (non firmato dalla Fiom-cgil, come il contratto nazionale dei metalmeccanici), le conclusioni del pezzo dicono: Non c’era bisogno « di essere delle aquile per sapere che l’azione di Cisl e Uil, di Fim e Uilm, è tutta entro la filosofia assai pragmatica del sottoscrivere solo ciò che il Lingotto chiede.» E prosegue: « Firmare sempre, firmare tutto. Che poi questo possa essere il preludio di un salto delle fabbriche – non solo Fiat: l’intero universo della manifattura, anche qui non è necessaria grande perspicacia – verso una sorta di medioevo industriale, con il contratto ritagliato a misura del profitto dell'impresa, la negazione dei diritti di libertà del lavoro, l’accettazione di qualsiasi ricatto, la lotta di tutti contro tutti, beh, alla fin fine non è così importante. L’importante è stare al tavolo, no?»

'Non firmare niente' per cascare sempre in piedi difronte a critiche e scelte! L''interfaccia del 'firmare tutto', attribuito a Cisl, Uil e Fismic. Sono anni ormai che assistiamo a questo teatrino drammatico. Non possono esistere, non dovrebbero esistere e per qualcuno di essi così non è, sindacati del NO pregiudiziale e sindacati del SI pregiudiziale; ma sindacati che si pongono difronte ai problemi dei lavoratori (occupazione e di tutela solidale all’interno dei posti di lavoro, quando ci sono) per affrontarli e risolverli al meglio - in quel momento ed in quella situazione.

Mai come in questo momento Cgil, Cisl e Uil devono essere la sponda che guarda avanti per continuare ad affrontare - il più incisivamente possibile - il dramma della mancanza di occupazione e l'urgenza di guardare insieme al 'dopo' e, di conseguenza, adeguare le strumentazioni negoziali alla nuova organizzazione del lavoro che globalizzazione finanziaria e proposizione di antiche e nuove servitù impongono; pensando certamente ai lavoratori ed alle lavoratrici delle multinazionali dell'industria produttiva ma anche a coloro che possono aspirare solo a piccole isole professionali, che richiedono forti iniezioni di professionalità e che troppo spesso sono espressione non di un sistema flessibile (capace di stimolare e far crescere quelle professionalità, nuove e vecchie) ma di precariato permanente (comunque perdente su qualsiasi fronte nonché dannosissimo).