domenica 25 gennaio 2009

• Maggioranza ed opposizione, oggi in Italia.

Siamo in una fase nella quale ogni cambiamento ed aggiustamento è possibile, nella quale - mentre nella maggioranza di governo ci si barcamena tra la degenerazione della dittatura della democrazia e la voglia di presidenzialismo - nella opposizione il PD cerca di definire se stesso e la impostazione di una efficace relazione strategica con l'Unione di Centro o con la variegata Sinistra democratica.
Nella maggioranza.
Il Presidente del Consiglio fa del suo meglio per recuperare le forti smagliature interne alla sua coalizione, le frenate sul processo di integrazione fra FI e AN ed il recupero di un ruolo - finora negato - alla opposizione parlamentare. Provo a leggere i titoli del cahier de doleance :
La definizione di una legge elettorale decente, ma assai controversa tra i vari componenti della maggioranza, prima ancora che da parte della opposizione.
L’indecisione sul modo di relazionare col nuovo arrivato Obama - che non sembra filare nemmen per caso l’Italia.
L’approvazione in prima battuta al Senato e le incertezze sul cammino alla Camera della nuova spinta al federalismo.
La riscoperta dei processi di concertazione con ‘tavoli a tre’ per quanto riguarda relazioni industriali e strategie negoziali fra Stato, Imprenditori e Lavoratori.
La riforma del sistema ‘Giustizia’, tanto invocato da tutti ma che non trova, almeno per ora, una posizione unitaria all’interno della maggioranza.
La tanto decantata sicurezza dei cittadini e l’immigrazione che non possono essere gestite con la militarizzazione o con annunci privi di contenuto o colmi di violazioni di diritti dell’Uomo.
La rivisitazione della strategia economica abbozzata, in previsione del maremoto finanziario in arrivo, da Prodi e dai suoi ministri finanziari. (Lo ha riconosciuto, almeno in parte, l’attuale ministro Tremonti)
Nella opposizione.
L'Unione di Centro cerca di definire un equilibrio più coinvolgente tra la precedente UDC ed il gruppo Pezzotta-Tabacci.
La Sinistra Democratica non ha ancora superato la profonda crisi che la porta a frazionamenti e posizioni spesso velleitarie.
Il PD sta cercando di definire la propria identità per un verso tentando il confronto a 360° su proposte ed obiettivi , già facenti parte del proprio programma elettorale, per l’altro provando a ricomporre una fisionomia unitaria superando le spinte e le controspinte messe in corsa dalle varie fazioni (frutto di ansietà personali o cascami delle precedenti esperienze popolari e diessine). Non ultima la concordanza tra D’Alema ed Epifani nella vicenda dell’accordo quadro per le relazioni sociali, cioè di un fatto che ha una oggettiva «"valenza riformista"» di quelle che possono essere tali da contribuire a forgiare - in un senso o nell’altro - il profilo di un partito in costruzione. Concordo, infatti, con quanto ha scritto Federico Geremicca su La Stampa: « Per Enrico Letta, ministro-ombra del Welfare, Epifani ha sbagliato a tirarsi fuori da un’intesa che ha, potenzialmente, il profilo della svolta; per Massimo D’Alema, invece, il leader Cgil ha sbagliato così poco che è il caso di conoscere l’opinione dei lavoratori chiamandoli a referendum. Per Walter Veltroni, costretto nuovamente a fronteggiare posizioni assai diverse - Epifani forse ha sbagliato, ma ha sbagliato forse anche il governo a non tener conto delle obiezioni della Cgil. E comunque, per ora non pare affatto intenzionato a schierare il Pd nella "trincea referendaria" invocata da D’Alema.» « Guglielmo Epifani indica alla Cgil la via della massima "radicalità" possibile. E Massimo D’Alema fa subito sapere di esser d’accordo con lui.»

mercoledì 14 gennaio 2009

• PD: Rinnovamento possibile.


È in corso una generale riflessione sul ruolo dei poteri oggi presenti nella Comunità. Di conseguenza su quello dei partiti e gruppi, sulla loro possibile evoluzione, sulla rivisitazione ed il ringiovanimento 'culturale' dei gruppi dirigenti, sull'ineludibile cambiamento del fattore tempo che condiziona e rende complessa ogni progettualità. Daniele affronta un particolare 'spaccato' del quadro sul quale credo che dobbiamo, comunque, misurarci tutti. Lo richiamo esplicitamente attraverso il brano che ha posto nel blog CAMBIARE DAVVERO.

lunedì 12 gennaio 2009

• Musulmani in Italia. Manifestazioni e nuove moschee

In questi giorni, più ancora che in precedenza (ed i casi non mancano, anche nel nostro Paese), il problema delle diversità di culture e tradizioni doveva esplodere. È accaduto per Milano, con l’ipotesi di disponibilità di luoghi dignitosi (moschee) per riunirsi e pregare da parte dei fedeli musulmani ed in occasione dell’occupazione di piazza Duomo per una manifestazione politico-religiosa di preghiera pubblica. È accaduto per Firenze con la richiesta di costruzione di una moschea per raccogliere in preghiera i numerosi fedeli di religione musulmana. L’uno strilla contro - comunque!. L’altro cerca di capire e rendersi finalmente conto che stiamo diventando un paese multiculturale con pluralità religiosa. L’uno cerca di arroccarsi a difesa del non voler prendere atto del cambiamento globale in atto (che investe ogni aspetto delle nostre vite). L’altro - non comprendendo - affronta ideologicamente il problema e considera con apparente indifferenza quanto gli accade intorno ogni giorno. L’uno classifica spregiativamente come cattocomunista (termine abusato ed obsoleto, e tra l’altro del tutto inappropriato) il cardinale di Milano. L’altro che invoca il dialogo senz’altro contenuto se non quello di essere reciprocamente indifferenti (prima ancora che tolleranti) in caccia di affermazione di un laicismo antistorico che punta alla conservazione di privilegi ed individualismi.

Per sant’Ambrogio il cardinal Tettamanzi ha scritto: “«L’UOMO SAPIENTE E GIUSTO E’ L’UOMO DEL DIALOGO. Il dialogo non è uno tra i tanti atteggiamenti che l’uomo può assumere, ma è un tratto fondamentale, costitutivo, della sua umanità. Deve diventare un atteggiamento stabile, una virtù che l’uomo sapiente sa ricercare e coltivare, anche a prezzo di fatica. Così sant’Ambrogio scrive, commentando il versetto biblico “Lo stolto cambia come la luna”:«Il sapiente non è abbattuto dal timore, non è mutato dal potere, non è esaltato dalla prosperità, non è sommerso dalla sventura. Dove c’è la sapienza, c’è la virtù dell’animo, ci sono la costanza e la fermezza. Il sapiente, dunque, (…) rimane perfetto in Cristo, “fondato nella carità”, “radicato” nella fede…». Così, anche quest’anno, ci lasciamo guidare nelle nostre riflessioni dal paradigma ambrosiano dell’uomo sapiente, un uomo che in momenti a volte oscuri e critici resta immutabile nell’animo, non viene sballottato da ogni mutevole opinione, ma sa coltivare ideali forti, rimanendo radicato nella sua fede, nella sua carità e quindi nella sua apertura agli altri. Egli sa “distinguere”, capire il tempo, discernere ciò che è bene da ciò che è male, dare il vero peso alle realtà della vita, confrontarsi con gli altri. Intimamente collegata alla sapienza è la giustizia. “

Ne sono convinto, anche se per diversi aspetti io mi sento in evidente ritardo di impegno. Infatti la spinta a comprendere e ad essere coerente richiede che devo essere consapevole di approfondire e rinvigorire la mia fede e la mia formazione; in modo da far fronte a quegli atti di giustizia che la mia natura ‘sociale’ impone e porre in condizione di evitare umiliazioni ed ingiustizie a me stesso, a chi è come me ed a chi è diverso da me. Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere e non sentire; non possiamo essere persone che pretendono di impedire il cambiamento che coinvolge le persone in ogni punto del pianeta. Come non possiamo consentire a nessuno (interno od esterno al nostro sistema) di perseguire obiettivi eversivi o ademocratici, piccoli o grandi che siano.

Agli amici più giovani, che si volevano avvicinare all’impegno socio-politico ricordavamo spesso che la strada da percorrere è in salita e scivolosa; se ci fossimo fermati bloccati dalla paura del diverso, dall’incertezza o dal dubbio potevamo solo rotolare giù, regredire, dimenticare la nostra scelta di seguire Cristo. È il problema con cui siamo sempre stati costretti a fare i conti, specialmente in Italia. Ne abbiamo evidenti tracce anche nella realtà quotidiana, indipendentemente dai processi migratori di questi giorni tormentati. Livorno ne è una evidente vetrina. Molti degli usi e costumi mediterranei sono presenti o sono stati semplicemente rinfrescati di recente. Abbiamo notizia di una piccola moschea che nei secoli passati era il punto d’incontro dei ‘mori’. Chiese cristiane cattoliche e non cattoliche, ortodosse ed altre confessioni. Addirittura alcuni vocaboli del nostro ‘gergo’ derivano da lingue non latine, anche arabe.

In questi giorni, grandi discussioni sulle manifestazioni pubbliche. Ma ciò che ha generato maggiori reazioni emotive nelle manifestazioni dei fedeli musulmani a Milano è l’uscita allo scoperto. Tutti sapevano che in Italia le comunità di religione islamica sono numerose, ma non si aspettavano una così straordinaria occupazione dello spazio pubblico. Il termine «invasione» utilizzato da qualche fondamentalista di casa nostra per definire il caso Milano o gli ostacoli frapposti alla costruzione di moschee nel territorio nazionale segnala una percezione di provvisorietà nella presenza di chi è diverso e la volontà di non integrarlo nelle nostre realtà, nonostante che della sua presenza non si possa che prendere atto. «Sono troppi! Ci mancherebbe altro che li aiutassimo a rimanere.» Che altro significato ha la contestuale richiesta di pagamento di una tassa di soggiorno da parte degli immigrati; fortunatamente bloccata con un atto di rinsavimento (non dei promotori, ma dei loro alleati)?

Ha scritto qualcuno: «La reazione alle piazze colme di oranti è amplificata dal fatto che gli «invasori» non solo sono stranieri, ma appartengono a una religione decisamente minoritaria nella tradizione nazionale, e però assai robusta a livello internazionale. La scossa emotiva è acuita dal fatto che si tratta di una religione che, al di là dei suoi contenuti spirituali, si sta prestando a veicolare movimenti politici non democratici. È comprensibile quindi che anche in Italia si tema che la massa dei suoi credenti possa offrire l’acqua in cui pesci sovversivi possano nuotare.»[Giovanna Zincone , La Stampa 12/1/09] Concordo. Ma il tema vero col quale ci si sta confrontando è la relazione che può, o deve, intercorrere tra due ruoli (entrambi essenziali nella società) quello di chi gestisce o aspira a gestire il potere (istituzionale, in particolare) e quello religioso. Il mondo europeo ha spesso nuove sollecitazioni a rifiutare la reciproca autonomia di essi. Quello extra europeo non si è confrontato, se non marginalmente, con entrambi considerandoli un tutto unico, considerandoli tra loro avvolti come forma e sostanza.

È urgente che ci rimbocchiamo le maniche per far fronte intelligente al nuovo quadro relazionale col quale dobbiamo comunque misurarci, rifiutando superficiali manicheismi. Ci costerà fatica come ci è costata nei secoli passati. Ma non tutte le strade sono correttamente asfaltate.

mercoledì 7 gennaio 2009

• Il «Nonnino»: colonna del CLA - Comitato Livornese Assistenza


domenica 4 gennaio 2009

Pubblicato da Gianluca della Maggiore nel blog: i fili della memoria

«Senza mio padre non avremmo potuto fare per i ragazzi quello che abbiamo fatto».[don Roberto Angeli] C’è tanto, tantissimo di Emilio (nella foto in mezzo ai bimbi) nella grande opera assistenziale del Comitato Livornese Assistenza. L’eroico «nonnino» della Resistenza, umile operaio, antifascista della prima ora, coraggioso come può esserlo solo «un autentico militante cristiano». 

Emilio aveva avuto un ruolo chiave (mai abbastanza sottolineato) nella Resistenza toscana, e non solo. Era l’anello di congiunzione fra questa e coloro che dirigevano il movimento di resistenza militare a Roma. Aveva anche entratura in Vaticano attraverso dei rapporti col famoso monsignor Flaerty, il quale assisteva gli ex-prigionieri di guerra alleati. Di lui parlò anche Radio Londra.Catturato (e miracolosamente fuggito), fu interrogato dal famigerato colonello Kappler, che lo ritenne un generale. «Uno di quei generali a cui la tortura non riuscì a strappare nemmeno una parola».

«Gli maciullarono le piante dei piedi con un nerbo, gli gonfiarono il viso a pugni e calci, gli spezzarono i denti e le labbra: il ‘generale’ taceva e qualche volta sorrideva con una smorfia del viso tumefatto e sanguinante». Poi nel dopoguerra, il «sor Emilio» fu una delle anime del C.L.A. fino alla morte (1954). Infaticabile, si dette tutto per i bambini con «una letizia contagiosa che nelle difficoltà sembrava espandersi».

sabato 3 gennaio 2009

• Per un capitalismo giusto.


Sul TIRRENO di questa mattina è stata pubblicata una riflessione del prof. Massimo Paoli sulla ideologia liberista e delle consequenziali ha avuto di mercato e  consumo. 
La crisi finanziaria globale sta determinando pesanti ricadute sulla economia reale. Già si stanno manifestando anche nella nostra realtà territoriale sovrapponendosi a quelle derivanti dalla crisi locale, che da tempo ci assilla. 
Quella di Paoli è una riflessione in aperto contrasto - almeno a me così pare - con rigurgiti individualisti progressivamente negatori di ogni spirito comunitario e solidaristico, che vogliono accentuare le attuali servitù di sistema e fanno chiedere da certe aree ‘fondamentaliste’ l’abolizione della domenica, il mantenimento strutturale dell’attuale marginalizzazione della famiglia e l’allungamento dei tempi-lavoro a basso costo per il consumatore, offrendo elemosina e non solidarietà.
Il Tirreno - sabato 3 gennaio 2009
Le regole del mercato
Per un capitalismo giusto
di Massimo Paoli
Negli ultimi trent’anni la presa di possesso delle menti da parte dell'ideologia liberista in campo economico è stata tale da sembrare opera di un genio malefico.- poche ma pesantissime parole d’ordine, una potenza di fuoco mediatica impressionante, una ricerca spasmodica di convergenze d'interesse nell'inganno collettivo che ha coinvolto banche, agenzie di rating (stupefacente la 'Tripla A" assegnata a Lehman Brothers fino a pochi giorni* prima della deflagrazione), guru delle università (Alesina, Giavazzi & Co) e importanti opinion maker, e la robotizzazione dell'opinione pubblica è stata se non un “gioco da ragazzi” di certo rapida e completa.
D'altra parte, gli assunti del neo-liberismo sono tra i più fantasiosi e suadenti.
1) Il mercato è infallibile. Produrre denaro a mezzo di denaro come processo centrale del neo culto liberista ha il suo Olimpo nel mercato. E. si sa, dove operano gli dei non vi può essere fallibilità. Meno regole dunque, ma soprattutto meno controlli gli si applicano e meglio funzionerà (“meno Stato più mercato”). D'altronde se è infallibile, che sostituisca subito quel rottame chiamato presenza pubblica che lo rallenta e lo allontana dall'efficienza massima-ottima (qualunque cosa questo voglia dire).
2) L’unico Stato possibile, in questo quadro, è uno Stato minimo. Se è minimo lo Stato, possono essere minime anche le imposte, tanto i servizi pubblici rimangono tali a se sono offerti da privati (basterà pagarli, naturalmente).
3) Le imposte divengono così un male assoluto che permette allo Stato di controllare i cittadini, sottrargli e sperperarne i soldi consentendo alle classi politiche, sostanzialmente corrotte, di arricchirsi alle loro spalle. Finalmente non solo possono essere ridotte all'osso le tasse, ma salta anche la necessità di mantenere il presupposto progressivo dello imposte personali. È la fine della politica di redistribuzione dei redditi. L’idea inculcata è molto semplice: non ce n'è più bisogno.
4) Lo Stato minimo non fornisce che servizi pubblici essenziali, allora occorre privatizzare tutti gli altri. La convinzione che si prova a far passare ~ che un ambiente competitivo avrebbe assicurato ai servizi pubblici offerti dai privati un’efficacia superiore, e in ogni caso a costi inferiori a quelli offerti dallo Stato (e così anche questa idea deformata di sussidiarietà è entrata a far parte delI'anticristianissima iper-privatizzazione dei sistemi).
Per stare in piedi questo castello doveva far sì che il reddito disponibile pro capite e soprattutto pro famiglia aumentasse in linea con l’esponenziale crescita delle responsabilità e dei ruoli individuali e familiari, nonché con il costo dei servizi pubblici (che restano pubblici anche se erogati da privati). Scuola, università, sanità, pensioni, sicurezza e ammortizzatori sociali e così via, tutto nell'estremismo liberista avrebbe dovuto, e dovrebbe, essere pagato privatamente.
I ceti medi non ce l'hanno fatta e soprattutto non ce la faranno da qui in avanti. Occorre restituirgli reddito. Bisogna tornare ai modelli di capitalismo avanzato che abbiamo lasciato per inseguire la trogloditica follia liberista. Dobbiamo riprendere la traiettoria democratico-liberale per la quale giustizia sociale e libertà di mercato sono integrate nello stesso disegno. In un equilibrio organico che dia nuova centralità alla progressività dell'imposizione fiscale, al recupero dell'evasione, e alla redistribuzione dei redditi non come semplice po-litica economica, ma come essenza di un capitalismo ”giusto" possibile. Insomma, un mix del meglio delle esperienze americane (dal New deal ai Kennedy a Obama) e delle migliori esperienze europee (socialdemocratiche e non).
La visione democratica e liberale (non c'è giustizia senza libertà e non c'è libertà senza giustizia) non è stata battuta se non dalla stupidità. Penso che sarebbe bello tornare a quella visione, riscoprirla, rilanciarla ma con lo spirito evocato da un celebre aforisma di Friederich Nietzsche- «Per questo [nuovo] mondo volete un nome? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte?..»
Questo mondo è la volontà di potenza e nient'altro! E anche voi siete questa volontà di potenza e nient'altro!".