sabato 31 maggio 2008

• IMPEESA: La grande avventura di Baden-Powell


da http://www.tuttoscout.org/polis/

31 Mag, 2008  Libri e Film


Brochure Impeesa

A ormai un anno dall’uscita, mi sono resa conto che non avevo ancora comprato il fumetto Impeesa – la grande avventura di Baden Powell, pubblicato da Lizard in occasione del centenario dello scautismo. Sapevo solamente che il testo era stato approntato da Paolo Fizzarotti (direttore della nostra rivista) e che avevamo avuto la fortuna di incontrare il favore e la colloborazione del grandissimo disegnatore Ivo Milazzo.


Decido quindi di comprare il fumetto, alla Feltrinelli non c’è, ma me lo ordinano senza problemi e in 5 giorni è nelle mie mani. Devo ammettere che ad una prima occhiata, sono rimasta un po’ delusa dal formato (ma è semplicemente una questione di gusti), non mi sono scoraggiata e ho continuato la mia indagine esteriore e l’odore della carta non ha lasciato più spazio ad alcun dubbio: sarebbe stata una piacevole lettura.

In realtà non sono una divoratrice di fumetti, ho ‘assaggiato’ qualcosa, anche di generi piuttosto differenti, ma non è il tipo di lettura che preferisco; eppure ho apprezzato moltissimo Impeesa: saranno stati i disegni, così fini seppur ricchi di particolari perfettamente acquarellati; sarà stata la storia narrata (unico, piccolissimo, neo è forse la sceneggiatura, in alcuni momenti un po’ troppo ‘parlata’ che sembra quasi voler imporre una pausa all’incenssante scorrere delle immagini che in alcuni momenti sembrano vive), sarà la trasparenza delle intenzioni o l’intelligenza del progetto…

Lo spunto narrativo è il racconto del nostro fondatore ad un ignoto amico (alla fine si scopre chi è, ma non posso mica dirvi tutto io!) degli eventi che hanno contribuito a formare l’Idea che ha cambiato i destini di milioni di ragazzi e ragazze in tutto il mondo. Quindi non è semplicemente la ricostruzione della vita di Baden Powell prima del 1908, ma è un percorso alla ricerca di tracce che, insieme, costruiscono il lungo sentiero verso gli scout…

E così, attraverso la narrazione di vari aneddoti, veniamo a scoprire che molte delle noiosissime raccomandazioni fatte generalmente dai capi, provengono direttamente dalla mamma di BP, come, ad esempio, camminare con pochi abiti e avere la camicia a portata di mano in modo da metterla subito addosso per evitare che il sudore ci freddi addosso e ci faccia ammalare.

Seguendo le vicende di Sir Robert in giro per il mondo scopriamo alcuni dei valori più profondi dello scautismo, come l’importanza del dialogo e della collaborazione tra i popoli, la scelta dell’esempio con mezzo migliore per trasmettere conoscenza e meritare fiducia, la capacità di saper prendere l’iniziativa quando è necessario, senza dover necessariamente sempre attendere ordini.

Concludendo, mi è proprio piaciuto! Bello il risultato finale quanto lodevole l’iniziativa. Il centenario, circostanza ottimale per aprire gli scaut al mondo, per presentarci alla società e magari cogliere l’occasione per toglierci di dosse un po’ di luoghi comuni e barzellette. Sicuramente questo fumetto riuscirà a farlo, sempre che riesca ad essere letto anche da qualcuno che scout non è! Meriterebbe, infatti, molta più divulgazione all’esterno del movimento, a partire dai nostri fratelli dell’AGESCI: sono molti quelli con cui ho parlato che non avevano mai sentito niente a proposito di questo bellissimo fumetto.

Augurandovi di gustare molto presto questa piacevole lettura, vi saluto!

Buona Caccia,

Eleonora Lollini

Capo Gruppo Pisa 1 - CNGEI


Impeesa: Baden Powell, che avventura! (a fumetti)

Baden Powell un secolo fa ha fondato gli scout, e questo lo sanno più o meno tutti. Ma cosa conoscete della vera storia di BP prima che decidesse di abbandonare la carriera militare per dedicarsi solo allo scautismo? Forse immaginate che anche il nostro omino anziano con i baffi, che ci sorride da innumerevoli disegni e fotografie, è stato un tempo un giovane forte e vigoroso. Ma lo sapevate, per esempio, che ha fatto anche l’agente segreto? Che è stato lui ad aprire la strada nella giungla africana per sconfiggere gli Ashanti, una popolazione che faceva sacrifici umani? Che è stato l’ultimo inglese a lasciare Kandahar, in Afghanistan? (vabbè, poi ci sono ritornati). Che ha girato tutto il mondo tra missioni di spionaggio e campagne militari?

Lo sapevate che da ragazzo BP non si chiamava ancora Baden-Powell, ma solo Robert Smyth Powell, e che aveva un sacco di fratelli e sorelle? Il nostro B

P a scuola andava maluccio, ma sapeva sbrogliarsela in ogni situazione con l’inventiva e sempre con il sorriso sulle labbra. E quando quasi per caso fece il concorso per entrare nell’esercito come ufficiale, risultò così bravo che i vertici militari gli abbuonarono gli anni di addestramento e lo mandarono direttamente in India come sottotenente.

BP era bravissimo a disegnare, e sapeva dipingere un quadro contemporaneamente con le due mani.

Nessuno recitava come lui e sapeva travestirsi in pochi minuti in modo tale che nessuno poteva riconoscerlo. È stato lui ad inventare la polizia sudafricana, e ad insegnare all’esercito inglese come si fanno le ricognizioni e come si leggono le tracce. E sapete come ha fatto a conoscere Olave, la ragazza che poi sarebbe diventata sua moglie? BP ha avuto una vita tanto avventurosa da sembrare incredibile. Il Cngei, per celebrare il centenario mondiale dello scautismo, ha deciso di fare una cosa speciale: un libro a fumetti su BP.

Il volume, che si intitola Impeesa, è uscito alla fine di giugno del 2007. La sceneggiatura, e cioè la storia, è di Paolo Fizzarotti, il direttore di “Scautismo” (la rivista associativa del Cngei). I disegni sono invece di Ivo Milazzo, uno dei più grandi maestri mondiali del fumetto: è lui, tanto per fare un esempio, l’inventore di Ken Parker, uno dei personaggi western più amati in Italia.

Cosa significa “Impeesa”? Ma è facile: “L’animale che non dorme mai, ma si aggira nella notte”. Era il soprannome con cui gli zulù chiamavano Baden Powell. Quando? Per saperlo basta leggere il libro!

 

Dettagli della pubblicazione

Italiano: IMPEESA la grande avventura di Baden Powell

Formato: 23?30 72 pagine a colori

IBAN 978-88-6167-098-9 EAN 9 788861 670983

ISBN 88-6167-098-9


mercoledì 28 maggio 2008

• Rifondazione della politica


Nel nostro paese è iniziata coi moti del ‘68: È entrata in stallo col declino del ruolo dei cattolici in politica e con l’affermarsi di quelle tensioni che hanno trovato nelle pulsioni simil-P2 prima una destrutturazione dell’espressione democratica postbellica, poi una affermazione (spesso populistica, ma oggi in fase di rielaborazione) della centralità  di leadership più  o meno improvvisate. 


Cattolici, marxisti e laici

La parte dei cattolici (in gran parte di provenienza dalla FUCI) che puntava sulla ricerca di sistema per l’affermazione di un nuovo quadro istituzionale delineato dalla neonata Costituzione repubblicana, promosse l'incontro coi laici di origine mazziniana, socialdemocratica ed autonomista e trovò nel “sindacato nuovo” e nello staff culturale del Centro Studi della CISL una sponda determinante. Parte dei gruppi dirigenti che strutturarono il ‘miracolo economico’ italiano provenivano da lì. Fu lì che si cercò di approfondire e sperimentare sistemi di relazione di matrice nordico-tradunionista e soprattutto statunitense. Fu quello il momento di maggiore spinta per la ricerca che consentì l’approdo innovativo a forme, contenuti e ruoli mai veramente percorsi dal vetero-sindacalismo di matrice marxista né dal solidarismo cattolico di matrice europea (soprattutto francese e tedesco). Il richiamo a questo percorso, semplificato ma non semplicistico,  consente di dare la corretta dimensione di quanto è in corso di movimentazione nel quadro politico italiano attuale. 


Prodi, padre della rifondazione. 

Come per molti padri, ci si accorge 'dopo' della sua voglia di futuro e spinta a procedere con decisione e speranza. Nel richiamo alla cultura ed ai modi statunitensi trova da parte di Veltroni un primo approdo, ancora da progettare e scoprire. La fase di rifondazione della politica in Italia è decollata con la costituzione del PD, anche se ancora quasi del tutto figlia di una oligarchia. Al vertice, medio e alto, si è in cerca di forme e contenuti del nuovo. Alla base si avverte sempre più robusta la voglia di nuovo e di democraticamente praticabile, nel permanere dei valori civili maturati in sessant’anni nelle diverse esperienze culturali. Due momenti che devono trovare incontro e contaminazione, rifuggendo decisamente da forme di organizzazione che rendano impermeabili i reciproci ascolti.  

Sullo sfondo la generale consapevolezza che il mutamento di tempi e modi della comunicazione impongono una

nuova dimensione della partecipazione “democratica” alla formazione ed alla verifica delle decisioni; spingono al controllo della travolgente irruenza dei pochi (e potentissimi) tecnocrati che gestiscono i poteri finanziari e determinano (consapevoli o meno) le condizioni di abitabilità e sopravvivenza del genere umano. Ansie e speranze che avvolgono le religioni accentuandone l’impegno - spesso  facendo i conti interni con inaccettabili fondamentalismi - per mantenere le centralità dell’uomo e della vita come fattori condizionanti di ogni altro tipo di strumentalità.


Ma qui ed ora .....

Dobbiamo cercare di cambiare i termini del prodotto: il vertice (promotore e progettuale) deve relazionare con la base (alla quale al momento è richiesto solo di esprimere consenso o meno all'oligarchia di turno) in maniera credibile e permanente. Non si vive di solo antiberlusconismo o di veltronismo o di qualsiasi altro 'ismo'. La riscoperta del cosiddetto "centralismo" democratico, di origine organizzativa del PCI, non ha alcun senso e serve solo ai ruoli autoreferenziali delle oligarchie. Fa eco ad esso il richiamo ‘facilone’ al recupero ‘sia pure in termini nuovi e moderni’ del collateralismo delle parti socio-economiche coi partiti/movimento di oggi. (Dovrà comunque fare i conti con la cultura dell’autonomia dei ruoli, ormai affermata nonostante forme vetero-partitiche e reducismi figli di nostalgie di metodi che alcuni hanno abbandonato fin dagli anni '50, altri solo molto più recentemente ed altri accettati solo formalmente). Altrettanto non ce l’ha il suo opposto: l’assemblearismo movimentista; forse accettabile per realtà numericamente piccole ma non per chi voglia affermare, anche gestionalmente, un progetto 

di società. Il richiamo per legge o meno alle cosiddette ‘primarie’ (all’italiana o alla statunitense che si voglia) è un surrogato occasionale, figlio della ricerca di un errore antidemocratico fatto in Toscana, prima ed in Italia, poi, con leggi elettorali che facevano die partiti ‘aggregazioni di sudditi’ per il leader.

Altro cascame di imitazione acritica: la voglia di ricerca permanente del "comandante in capo", o con altro termine di "amministratore delegato". Non mi ha mai affascinato e continua a non affascinarmi. Il Presidenzialismo può, forse, essere accettato a livello di un piccolo comune; ma non può essere il modo per consentire la partecipazione alla formazione delle decisioni e dei progetti, alle permanenti verifiche che sostanziano la democrazia. 


Non è tempo di attese, anche a Livorno.

Non è tempo di attese, anche a Livorno. Troppo spesso si affrontano i problemi alla giornata o con programmazione di intervento troppo breve, con errori o imprecisioni conseguenti. Negli ultimi due anni anche in altre sedi, che vedevano presenti associazioni di imprenditori e organizzazioni dei lavoratori, si avvertiva con sempre maggiore urgenza la mancanza di un progetto condiviso per un arco non breve. L’affanno col quale ci si scambiavano pareri e valutazioni era evidente. Anche a Livorno erano evidenti, la lentezza con la quale si stava procedendo al recupero della deindustrializzazione dell’area del capoluogo o alla ricerca di una dimensione ottimale del Porto; l’annebbiamento in tutta l’area vasta di possibili sbocchi progettuali d’insieme; lo spreco delle risorse o l’utilizzo non strategico della formazione per accrescere la qualità dello stock professionale disponibile; l’affanno finanziario e progettuale in cui la Giunta Cosimi era costretta ad operare; la mancanza di una strategia per il rinnovo del quadro dirigente.


False speranze

Non offrono speranze né la sinistra cosiddetta 'radicale' né la 'vecchia' versione della destra (offerta dall'ammucchiata che ha nazionalmente prevalso, per esclusivo demerito del caos agestionale di chi si era associato a Prodi, convinto di essere il rappresentante del mondo). 

Cattolici e temi “eticamente sensibili”

Scrive Ruggero Orfei su EUROPA: «Esiste un elettorato di cattolici che sono attratti in varie direzioni – forse tutte – e che non si riconoscono più in una medesima cultura che un tempo si sarebbe detta cattolica democratica o conservatrice. Malgrado che sotto i recenti pontificati la dottrina sociale della Chiesa abbia dilatato il suo spazio di 

interesse e quindi, indirettamente, di espansione politica attraverso i cattolici laici espressamente invitati a farlo, il campo di attenzione sembra essersi ristretto invece che allargato. Sotto le macerie della Dc evidentemente sono finiti molti dati importanti ritenuti da tutti irrilevanti anche per un semplice movimento non partitico. Per fare un riferimento preciso, quando Giovanni Paolo II ha parlato di strutture sociali di peccato, è andato molto oltre certi limiti che oggi sembrano normali. I cattolici sono invitati adesso a occuparsi dei temi “eticamente sensibili”, con un confinamento di tutto il resto in qualcosa di facoltativo, dimenticando che l’insegnamento ufficiale del magistero ecclesiastico abbia canonizzato la questione della dottrina sociale della chiesa come una branca della teologia morale, e quindi impegnativa per tutti in ogni aspetto della vita pubblica.»


Avanti insieme, per ...

Ci stiamo avvitando sulle nostre debolezze. Dobbiamo, tutti insieme, assumere l’iniziativa di un reale rinnovamento, di una rifondazione. Non si tratta di portare a sintesi vecchi ricordi ma di avere il coraggio della conversione, di riconoscere che qualsiasi modello è solo uno strumento utilizzabile più o meno bene, di superare ogni forma di reducismo. Bisogna dire con chiarezza che un leader è importante ma non può essergli consentito di trasformare in sudditi, vassalli o valvassori chi lo ha riconosciuto come tale. Il tutto porterebbe inevitabilmente ad una involuzione antidemocratica in qualsiasi sistema organizzato. Sintomi di una deriva di questo genere li stiamo avvertendo nelle violenze di piccoli gruppi (più o meno connotati), nei modi di essere di personaggi in cerca di facilitazioni gestionali ma non di relazioni costruttive con chi ha consentito loro di essere formalmente riconosciuti come ”capi”.

martedì 27 maggio 2008

• ROMA. Riecco le violenze: con e senza maschera di fazione.

Vetrine rotte, immigrati e gay pestati.  Si legge sull’ANSA che «un gruppo di studenti antifascisti dell'Università 'La Sapienza' di Roma ha denunciato un'aggressione con "diversi feriti" da parte di "un gruppo di fascisti armati di mazze, tirapugni, bastoni"». Certi giornali, normalmente faziosi a destra, cercano di sminuire quanto sta accadendo a Roma. Come se la presenza di Alleanza Nazionale al governo della città avesse sdoganato (nonostante i reiterati appelli contrari) gli squadrismi fondamentalisti di Forza Nuova& c. ed 'eccitato' i contraltari di sinistra - estrema o meno.

Scrive EUROPA: “Una città dove si picchia il vicino diverso senza neanche fare il saluto romano, è peggio di una città divisa fra rossi e neri. È Roma che vent’anni dopo diventa la Brooklyn di Do the right thing di Spike Lee: odio etnico esploso per futili motivi fra vicini di casa, barista e avventore, fruttivendolo e cliente. Se la sinistra chiama tutti troppo facilmente nazisti, fascisti – come i criminali di Verona, i pirati della strada, ma anche i 

sindaci leghisti e i tycoon televisivi... – fa le cose più semplici, ma le sfugge una realtà magari peggiore. Se però voi, destra politica, giornalistica, televisiva, esorcizzate ogni volta le parole antipatiche, finirete travolti, ora che avete l’onere di garantire ordine, sicurezza, legalità.» Analogo appello - non certo per equilibrio ma perché la violenza non ha né può avere colore - sentiamo di doverlo fare ai più riottosi di sinistra o ai perbenisti in questi giorni scatenati un po' da tutte le parti.

Pensando alle conseguenze, anche nella Comunità, della violenza - comunque attivata e sempre imbecille - vengono a mente le parole di Bertold Brecht: «Prima di tutti vennero a prendere gli zingari /e fui contento perchè rubacchiavano. / Poi vennero a prendere gli ebrei /e stetti zitto perchè mi stavano antipatici. / Poi vennero a prendere i comunisti /ed io non dissi niente perchè non ero comunista. / Un giorno vennero a prendermi / e non c'era rimasto nessuno a protestare» Mai tanto citate nei vari Forum e Blog, come in questi giorni; mai tanto necessario che ne tengano conto tutti: a destra, al centro ed a sinistra. Altro che giustificazioni gratuite o manifestazioni!

domenica 25 maggio 2008

• Il ruolo dei cattolici va oltre l'«eticamente sensibile»

da EUROPA di sabato 24 maggio 2008, una riflessione di RUGGERO ORFEI

«Un tempo – moltissimi anni fa – si parlava della questione cattolica come di un argomento aperto che si sarebbe potuto e anche dovuto analizzare nel suo complesso e nei suoi dettagli. Oggi – forse – è soltanto un tema storico. Dal mondo cattolico inteso nella sua generalità, che non può essere sinonimo di chiesa e neppure di movimento cattolico organizzato, non emergono domande politiche identificabili in modi tali da poter prendere in considerazione eventuali risposte.

Esiste un elettorato di cattolici che sono attratti in varie direzioni – forse tutte – e che non si riconoscono più in una medesima cultura che un tempo si sarebbe detta cattolica democratica o conservatrice.

Malgrado che sotto i recenti pontificati la dottrina sociale della Chiesa abbia dilatato il suo spazio di interesse e quindi, indirettamente, di espansione politica attraverso i cattolici laici espressamente invitati a farlo, il campo

di attenzione sembra essersi ristretto invece che allargato. Sotto le macerie della Dc evidentemente sono finiti molti dati importanti ritenuti da tutti irrilevanti anche per un semplice movimento non partitico.

Per fare un riferimento preciso, quando Giovanni Paolo II ha parlato di strutture sociali di peccato, è andato molto oltre certi limiti che oggi sembrano normali.

I cattolici sono invitati adesso a occuparsi dei temi “eticamente sensibili”, con uno confinamento di tutto il resto in qualcosa di facoltativo, dimenticando che l’insegnamento ufficiale del magistero ecclesiastico abbia canonizzato la questione della dottrina sociale della chiesa come una branca della teologia morale, e quindi impegnativa per tutti in ogni aspetto della vita pubblica.

L’induzione concettuale e formativa della più recente insistenza sui temi eticamente sensibili, che sarebbero poi solo l’aborto e l’embriologia, il divorzio e la famiglia, lascia sullo sfondo altre questioni, compresa la giustizia sociale che viene come scorporata dalla politica, anche se le precisazioni ufficiali hanno ripetuto che la politica è una delle forme più impegnative della carità. Sul piano concettuale e formativo finisce per diventare normale che tutte le 

questioni politiche siano – tranne quelle ricordate – non eticamente sensibili. In tal modo, si potrebbe o si vorrebbe stimolare ancora un movimento cattolico in qualche maniera unitario, ma solo connesso con i temi “sensibili” detti.

L’idea che l’azione politica investa oggetti eticamente sempre sensibili sembra diventare evanescente e anche priva di significato. Giorgio La Pira in un discorso del lontano 1951 ebbe a precisare: «La carità non è la carità

delle dieci lire. E inoltre il pensiero moderno cristiano accentua il giudizio cristiano sulla parabola dei talenti, sull’intervento.

Prendo un bilancio familiare: 1) vitto: ebbi fame e mi avete nutrito; 2) alloggio: ero pellegrino e mi avete ospitato; 3) vestiario: ero nudo e mi avete vestito; 4) salute: ero malato e mi avete visitato».

Sono solo aspetti di possibili deduzioni indirette dal Vangelo (alimentazione, casa, abiti, sanità) dove non c’è certamente una politica, ma qualcosa che spinge verso di essa. Con altre questioni, a partire dal tema della guerra, o quello delle elaborazioni di strutture a servizio dei cittadini, che sono tutte eticamente sensibili. Questa potrebbe essere una base di discussione non per una elaborazione partitica ma “di parte” all’interno del Partito democratico. Magari con un po’ di organizzazione.

Notare che non ci sono “cattolici” nell’attuale governo è pura vanità: è importante sapere perché debbano esserci. »

venerdì 23 maggio 2008

• Incapienti ma informati. CAAF Cisl e Caritas, progetto contro la povertà.

CONQUISTE DEL LAVORO - venerdì 23 maggio 2008


Da questo mese è operativo il progetto sperimentale “Incapienti ma informati”, realizzato in collaborazione da Caaf Cisl, Caritas Italiana e fio.Psd. Il bonus incapienti nasce, nella Finanziaria 2008, con la finalità dichiarata di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà, ma spesso le persone in stato di grave emarginazione hanno enormi difficoltà burocratiche nell’accedere a misure come questa. L'obiettivo del progetto è rendere disponibile il bonus incapienti (150 euro ed eventualmente ulteriori 150 per ogni familiare a carico) anche alle persone che, a causa della situazione di grave emarginazione in cui vivono, difficilmente sarebbero in grado di usufruire della misura prevista. Una volta trasmessa l’istanza di rimborso all’Agenzia dell’Entrate, i promotori chiedono che l’erogazione, considerata la condizione di bisogno dei soggetti interessati, possa avvenire in tempi rapidi. L'iniziativa,

coinvolge nove città (Bari, Bergamo, Bologna, Catania, Genova, Messina, Milano, Padova, Vicenza), prevede la sperimentazione di buone pratiche di accompagnamento dei soggetti beneficiari del bonus più svantaggiati, da estendere in un secondo momento a livello nazionale e ad una gamma più ampia di soggetti, servizi e prestazioni sociali. E’ un’iniziativa altamente innovativa - spiegano le tre organizzazioni - che vede interagire in maniera nuova strutture con diversa finalità e missione, ma tutte molto diffuse sul territorio nazionale e mosse da una convinzione comune: ”per raggiungere maggiore equità e giustizia sociale occorre rendere effettivi e concreti i percorsi di accesso ai diritti, soprattutto alle persone più svantaggiate, povere ed escluse”. A sostegno dell’iniziativa i promotori hanno attivato il sito www. incapienti.

it, in cui saranno inseriti i materiali informativi che Caaf Cisl, Caritas Italiana e fio.Psd mettono a disposizione dei soggetti attivi nella sperimentazione e di quanti vorranno conoscere di più al riguardo. Le tre organizzazioni, comunque, pur apprezzando l’idea che sta dietro al bonus, reputano la misura insufficiente ed inadeguata e rimangono in attesa di politiche organiche e strutturali di contrasto alla povertà e alla grave emarginazione. I proponenti chiedono in particolare che il Parlamento ed il Governo appena insediati prendano in seria considerazione i contenuti della dichiarazione “ending street homelessness” approvata il 10 aprile scorso dal Parlamento Europeo e si impegnino ad approvare entro il primo periodo di legislatura, il disegno di legge sulla istituzione di un fondo nazionale contro la povertà, decaduto nella legislatura precedente a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.

giovedì 22 maggio 2008

• Don Angeli. A trent'anni dalla morte

Si conclude il lungo percorso di celebrazione per il trentennale della morte di Don Roberto Angeli: figura essenziale per comprendere il ruolo die cattolici nella Resistenza toscana, per la testimonianza di cristiani  perseguitati da nazisti e fascisti (cioè dagli esponenti delle dittature che avevano fatto della gestione del potere un feticcio al quale immolare, per quanto donato alla diocesi livornese attraverso i ‘suoi’ giovani e gli amici che lo avevano accompagnato. Ho conosciuto alcuni di essi ed ho potuto assaggiarne tempra e tensioni, religiose e civiche; in particolare Luciano Merlini ed il carissimo Aroldo Figara, per non parlare di Gianfranco Merli. Attraverso di essi ho compreso e sentito fortissimo il legame con la loro esperienza; la loro fedeltà. Le ho rivissute nella tesi del dott. Gianluca Della Maggiore: "Don Roberto Angeli, interprete ardito del pensiero sociale cristiano. Un prete livornese fra Resistenza e Ricostruzione." Intorno al 25 aprile scorso la diocesi ha consegnato agli allievi delle ultime due classi delle scuole superiori una brochure particolare: “Testimoni del Vangelo, ribelli per amore" per fare porre loro attenzione al grande apporto dato alla Liberazione del Paese nel 1945 ed al contributo importantissimo dato - attraverso la loro esperienza -alla definizione della Costituzione repubblicana. Don Angeli, suo padre ‘il nonnino’, Anna Maria Enriques Agnoletti e tutti coloro che furono loro vicini (da vescovo Piccioni agli universitari cattolici) avevano combattuto “in difesa della causa giusta, la causa della dignità dell’uomo”, come ricorderà nel 1985 papa Giovanni Paolo II. Iniziativa che troverà un momento conclusivo nella premiazione del concorso: "Don Angeli: un testimone per l'oggi" (al quale hanno partecipato le scuole superiori livornesi) e con un incontro di riflessione attraverso la lettura recitata di brani tratti dalle sue opere.

Chiuderà questo itinerario il viaggio-pellegrinaggio del prossimo luglio a Monaco, Mauthausen, Dachau - luoghi che videro internato anche Don Roberto. Mario Razzauti, padre dell’attuale Vicario generale diocesano, allora aveva 33 anni ed era stato tra i cattolici in prima linea nella resistenza livornese racconta a Gianluca Della Maggiore: «Nel 1942 proveniente dall’Azione Cattolica, entrai a far parte del Movimento dei Cristiano-sociali fondato in quell’anno da don Roberto Angeli». Don Angeli fu la guida illuminata, infaticabile e arditissima della resistenza cattolica livornese: «Con lui – dice con orgoglio e commozione Razzauti – vivere il Vangelo fino in fondo era scontato. La sua fede incondizionata si tramutava in un coraggio senza limiti, una volontà tenace di agire contro il regime oppressore». Il sacerdote livornese fu catturato dai nazisti due mesi primi della liberazione, il 17 maggio del 1944: da lì iniziò il suo viaggio nei campi dell’orrore: prima Fossoli, poi Mauthausen infine Dachau

da dove riuscì miracolosamente ad uscire vivo nell’aprile del 1945 all’arrivo degli americani. Un anno terribile che rese ancor più forte la sua fede, plasmata nel crogiuolo del dolore. 


«La domanda che ci dobbiamo porre quando si pensa a don Angeli - spiega il vescovo di Livorno Mons. Giusti - è: quale sarebbe la Resistenza per la quale oggi lui si sarebbe battuto? Molte cose in questa realtà non vanno. Non ci stiamo accorgendo che si sta insinuando un nuovo razzismo su chi è piccolo e indifeso, cioè contro chi non ha peso politico né economico?».


Il vescovo Giusti si pone giustamente una domanda che tende a sottolineare l’urgenza di uscire dalla osservazione statica di quanto accaduto nel passato, anche di quanto ha testimoniato sulla propria pelle il prete don Angeli e le persone, laici e preti, coi quali ha lavorato. Don Angeli si è impegnato sul solco culturale consegnato a lui ed alla diocesi livornese da Piccioni, da Gronchi e da Toniolo. Il vescovo Giusti propone un blog. È un'idea! Potrebbe essere sostenuta da un progetto che ci facesse porre tutti in ascolto delle condizioni socio-economiche e di partecipazione alla vita della nostra realtà. In tal modo potremmo, poi, attivare tutte quelle iniziative che fossero capaci di aggredire - per quanto possibile e nel rispetto dei ruoli di ciascuno - le cause che hanno determinato la gravissima deriva - alla quale assistiamo, localmente e nella società. 

Troppo spesso, infatti, 'ascoltiamo' poco e superficialmente: forse alla ricerca del solo consenso di ciò che

riteniamo vero e reale, e non di una verifica o di un collaborazione. Parlo, naturalmente, per me e cerco di non dimenticare mai che essere 'umili' significa voler diventare ed essere "humus. terra ricca di sostanza" nella quale si può coltivare e far crescere. Chi è passato dai miei 'corsetti' di formazione, sa quante volte richiamo, ed ho richiamato, questo concetto. Sono convinto che noi che vogliamo essere  (e diventare ogni giorno di più) cristiani dobbiamo esserne gli alfieri.

Come ben si comprende, perciò, sono molto lieto della dichiarazione del vescovo. Non ho dubbi, infatti,  che sarà trovato uno spazio 'alto' e 'penetrante' di intervento per progetti formativi all'impegno socio-politico e  per proseguire nel dialogo tra le persone impegnate nei partiti e nelle istituzioni.


martedì 20 maggio 2008

• La mappa del voto e il ruolo del sindacato

CONQUISTE DEL LAVORO - martedì 20 maggio 2008

Firenze (dal nostro inviato). ”Un conto è votare, un altro è fare sindacato”. Lo tsunami elettorale che ha cambiato la faccia al Parlamento italiano investe anche i temi cari al mondo della rappresentanza e delle tutele di lavoratori e pensionati ma con ”i dovuti distinguo”. L’Italia è un paese profondamente ”ferito” dall’aumento del costo della vita, dai salari bloccati e da un clima di insicurezza che è ormai trasversale alla maggior parte della società. Dalle urne è uscito un responso netto: oltre 3 milioni di voti sono stati persi dal centrosinistra, l’operato del Governo Prodi è stato rimosso e il centrodestra ha guadagnato su tutto il territorio grazie alla staffetta

della Lega al nord e del Pdl e dell’Mpa al sud.

Un risultato storico per il Pdl. Una fotografia netta che ha cambiato la geografia del Paese e che interessa un grande sindacato come la Cisl sia in termini di prospettive sia di risposte al disagio e al malessere che impiegati, operai, lavoratori autonomi, artigiani e imprenditori hanno espresso. Se ne è parlato nella prima giornata dell’Esecutivo ospitato dal Centro studi in occasione della presentazione di una ricerca sui flussi elettorali realizzata dal professor Paolo Feltrin. ”Quello che è successo non è di poco conto, un simile risultato si ebbe solo nel passaggio elettorale del dopoguerra e nella seconda metà degli anni Settanta: 4,5 milioni

 di voti è stata la differenza tra Pdl e Pd e se pensate che, nel 2006, Prodi vinse solo per 25 mila voti le conclusioni sono chiarissime”.

Diversi i nodi che hanno fatto la differenza per il governo del centrosinistra:

lo scarto minimo di voti, l’indulto e le misure delle leggi finanziarie. Il primo, ad esempio, è la risposta al quesito su quale ministro, nei due diversi governi di centrodestra e centrosinistra, fosse stato il migliore. Ebbene, all’Interno, solo Amato bene come Pisanu; alle Infrastrutture, solo Di Pietro meglio di Lunardi. ”Se a questa opinione aggiungete il fatto fondamentale

che hanno vinto le elezioni coloro che hanno saputo dare migliori speranze ai temi legati alla sicurezza e all’immigrazione, all’aumento del costo della vita, a quello della benzina, all’emergenza rifiuti e all’indignazione per i costi della politica, il risultato si spiega da solo”, ha aggiunto Feltrin.

Dalla ricerca emergono con chiarezza anche altri aspetti. Innanzitutto che la Sinistra Arcobaleno perde di colpo 2,8 milioni di voti: una parte sono andati in soccorso al Pd ma il resto è dato da astensionismo e fiducia alla Lega. Il Pd si consolida dove era forte il Pci ed è soprattutto nel Lazio, Campania, Sardegna, Puglia e Calabria che Berlusconi ha vinto le elezioni. Ma in tutta questa rivoluzione politica come ha votato il popolo dei lavoratori dipendenti iscritti alla Cisl? ”Innanzitutto - spiega Feltrin - non è vero che c’è una novità del voto operaio e impiegatizio alla Lega. C’è un aumento, ma è dal ’93 che questi elettori votano per Lega”. Assomiglia molto

alla Dc il partito di Bossi: ”Contiene le differenze, è eterogeneo, rappresentativo del territorio, risponde a esigenze concrete, alle nuove paure in modo trasversale”. Questo il sindacato lo deve considerare attentamente: i risultati elettorali non sono consolidati, ma l’80 per cento del voto è dovuto all’insicurezza sociale, al peggioramento delle condizioni economiche, alle oscillazioni dei mutui, al carovita e al fatto che nessun aumento contrattuale recupera quello della benzina. Gli iscritti alla Cisl hanno votato Udc (tra il 4 e l’8%), Lega (8% dato medio nazionale) e Pdl più che Pd. ”Mentre gli iscritti alla Cgil si confermano fortemente radicati in un’area politica, - dice Feltrin - quelli della Cisl sono più rappresentativi dell’elettorato italiano, è un elettorato più ampio e trasversale. E questo è un vantaggio in termini di proselitismo e rappresentanza, ma proprio per questo dovrà essere maggiore lo sforzo per dare risposte adeguate alle aspettative”.

Andrea Benvenuti

• Pechino 2008 - Olimpiadi in libertà, o no?

Eurosport - mar, 20 mag 12:25:00 2008

Il CIO ha scritto ai Comitati Olimpici Nazionali comunicando che a Pechino gli atleti dovranno rinunciare ad esporsi politicamente contro il governo cinese, mentre i responsabili della trasmissione televisiva dei Giochi assicurano che nessuna azione di protesta verrà messa in onda

Con la fiaccola ormai giunta sul territorio cinese, i manifestanti "Free Tibet" di tutto il mondo hanno perso la loro visibilità mediatica, tanto che sembra quasi stia crescendo una sorta di rassegnazione nell'opinione pubblica: le Olimpiadi si faranno a Pechino, gli atleti non boicotteranno e i politici hanno già dimostrato di essere singolarmente impotenti.

Questo sentimento di assuefazione crescente di fronte a palesi violazioni delle libertà fondamentali ha spinto il Comitato Olimpico Internazionale a schierarsi al fianco del governo cinese anche nella lotta contro le possibili proteste degli atleti durante i Giochi.

Il CIO ha scritto a tutti i comitati nazionali comunicando che gli atleti durante il loro soggiorno a Pechino dovranno evitare di esprimersi politicamente. "I Giochi riguardano lo sport - si legge nella lettera - e non sono il palcoscenico per delle dispute politiche". E in questo senso arriva anche la chiusura del sipario televisivo: la società responsabile del broadcasting olimpico ha annunciato infatti che nessuna protesta verrà trasmessa in diretta.

L'eccessiva politicizzazione delle prossime Olimpiadi rischia effettivamente di spostare l'attenzione lontano dai risultati delle gare, ma il CIO non può permettersi di svendere valori fondamentali come la libertà d'espressione, ed ecco perché ci fa piacere che il Comitato Olimpico Italiano abbia deciso di tirarsi fuori dalla questione lasciando ai singoli atleti qualsiasi scelta a proposito. Ognuno si comporti come vuole, nel limite del rispetto altrui: quelle di Pechino devono essere le Olimpiadi dell'apertura, non le Olimpiadi del partito unico.

Luca Stacul / Eurosport

lunedì 19 maggio 2008

• Prima gli zingari

Prima di tutti vennero a prendere gli zingari 

e fui contento perchè rubacchiavano. 


Poi vennero a prendere gli ebrei 

e stetti zitto perchè mi stavano antipatici. 


Poi vennero a prendere i comunisti 

ed io non dissi niente perchè non ero comunista. 


Un giorno vennero a prendermi 

e non c'era rimasto nessuno a protestare


• È una poesia attribuita al pastore protestante Martin Niemöller (1892–1984) [oppositore del nazismo, deportato a Dachau] sull'inattività degli intellettuali tedeschi in seguito all'ascesa al potere dei Nazisti e delle purghe dei loro obiettivi scelti, gruppo dopo gruppo. 

La versione sopra citata è attribuita  erroneamente, nei paesi di lingua spagnola, a Bertold Brecht. L'origine esatta della poesia non è chiara, e almeno uno storico ha suggerito che la poesia sia diventata famosa dopo la scomparsa di Martin Niemöller . Ciò non è corretto, poiché la poesia era propagandata ampiamente da attivisti sociali negli Stati Uniti almeno dagli anni 60 per sensibilizzare al supporto per i diritti civili ed all'opposizione alla Guerra del Vietnam. Ricerche più recenti hanno fatto risalire i sentimenti espressi nella poesia a discorsi tenuti da Niemöller nel 1946. In ogni caso, il testo della poesia rimane controverso, sia in termini di provenienza, che nella sostanza e nell'ordine delle organizzazioni menzionati nel testo.

• La versione indicata più avanti è quella riportata nel Monumento all'Olocausto del New England a Boston, Massachusetts che recita come segue:


- Originale:

They came first for the Communists,

and I didn't speak up because I wasn't a Communist.


Then they came for the Jews,

and I didn't speak up because I wasn't a Jew.


Then they came for the trade unionists,

and I didn't speak up because I wasn't a trade unionist.


Then they came for the Catholics,

and I didn't speak up because I was a Protestant.


Then they came for me,

and by that time no one was left to speak up


- Traduzione:

Vennero per i comunisti

e io non parlai perché non ero un comunista.


Quindi vennero per gli Ebrei,

e io non parlai perché non ero un Ebreo.


Quindi vennero per i sindacalisti

e io non parlai perché non ero un sindacalista.


Quindi vennero per i cattolici,

ed io non parlai perché ero un protestante.


Quindi vennero per me

e a quel punto non rimaneva nessuno che potesse alzare la voce

• Governo-Parti sociali: concertazione al via.

Si avrà prestissimo il primo round di concertazione tra il nuovo Governo e le parti sociali. Per il ministro del Welfare Sacconi ”sarà solo l’inizio di un percorso, con l’ambizione di condividere un tragitto di crescita della nostra economia, avviando un clima di dialogo con tutte le organizzazioni sindacali, Cgil compresa”. Una prima presa di contatto con i sindacati compatti nel rilanciare le emergenze salari, pensioni e prezzi; e Confindustria (che sarà guidata per la prima volta da Emma Marcegaglia) a puntare tutto sulla crescita. 

Nonostante quello che accadde nel precedente governo di centrodestra (il metodo concertativo era stato sostituito esplicitamente da quello consultivo), questa volta si intende proseguire sulla strada già indicata dai sindacati ed accettata dal governo Prodi. Concertare significa individuare  obiettivi e percorsi condivisi che vedano una spinta corale in tempi dati; fermo il libero esercizio delle autonomie di ruolo di ciascuno, parti sociali e istituzioni, senza reciproche invasioni di campo.

Come non condividere (in questa dimensione) il giudizio di Bonanni, quando torna a commentare 

le dichiarazioni del ministro della Funzione pubblica Brunetta sugli statali fannulloni e sulla necessità di una riforma della pubblica amministrazione entro due anni. ”Il problema vero è dirigere il pubblico impiego: o lo fanno o lo facciamo noi. Certo che il ministro ha ragione a licenziare, ma non ha ragione se si presta a un gioco mediatico che più che risolvere problemi li complica ancora di più, perché quando si fa di tutta un’erba un fascio non si trova mai la malerba nel fascio”. Insomma, ”o Brunetta prepara un piano industriale, oppure il piano lo presentiamo noi, così come abbiamo fatto con il rinnovo del modello contrattuale”. 

La proposta di due diversi metodi di lavoro e di relazione? Forse solo un diverso modo di far politica tra un tecnico, Brunetta, ed un professionista della politica, Sacconi. Entrambi affondano la loro nella cultura socialista nella quale sono cresciuti, ideologicamente. È essenziale mantenere la guardia alta.

• "Dagli all'immigrato ed allo zingaro! Ti levano il pane di bocca e fanno i delinquenti! "

«Il problema immigrazione è ormai sul tavolo della politica e ciò è contemporaneamente un passo avanti e un grosso rischio. Il passo avanti è senz’altro il fatto che si sia raggiunto un largo consenso sulla non rinviabilità di provvedimenti che si misurino con questa autentica emergenza. Il rischio è che si formi una miscela esplosiva di populismo e di pressappochismo legislativo nell’illusione che l’importante sia cominciare a fare un po’ di chiasso.», dice Pombeni sul Messaggero del 17 maggio.

Scrive il Corriere in un suo reportage a proposito di quanto sta accadendo a Napoli: « All’inizio è soltanto una colonna di fumo, un segnale che nessuno collega allo sciame di motorini che attraversano sparati l’incrocio di via Argine, due ragazzi in sella a ogni scooter.

L’esplosione arriva qualche attimo dopo, sono le bombole del gas custodite in una baracca avvolta dal fuoco. Le fiamme arrivano fino all’estremità dei pali della luce, il fumo diventa una nuvola nera e tossica, gonfia com’è di rifiuti e plastica che stanno bruciando. Le baracche dei Rom di via Malibrand sono un enorme rogo.

Ponticelli, ore 13.30, la resa dei conti con gli «zingari» è definitiva, senza pietà. Il traffico che impazzisce, il suono delle sirene, i camion dei pompieri, carta annerita che volteggia nell’aria, i poliziotti di guardia all’accampamento che si guardano in faccia, perplessi. Loro stavano davanti, quelli con il motorino sono arrivati da dietro. Allargano le braccia, succede, non è poi così grave, tanto i rom se n’erano andati nella notte. «Meglio se c’erano», si rammarica un signore in tuta nera dell’Adidas. «Quelli dovrebbero ammazzarli tutti». Parla dall’abitacolo della

 sua Punto, in bella evidenza sul cruscotto c’è un santino, «Santa Maria dell’Arco, proteggimi».» 

Mai, come in questo caso , è importante l’ascolto. Mai, come questa volta, il rischio evidenziato da Pombeni è concreto e immediato. 

Se ascoltiamo quanto molta gente comune dice (in autobus al mattino mentre si va a fare la spesa) non ci si può meravigliare di quanto è accaduto a Napoli, compreso l’intervento organizzato dai lacchè di qualche boss. Troppo spesso in certi quartieri si avverte la reazione degli 'stanziali' alla caccia per il pane quotidiano, in atto ogni giorno. Troppo spesso, nei quartieri che meno avvertono questo dramma, si è pronti all'elemosina occasionale ma si guarda con ostilità o anche indifferenza alla necessità ed alla urgenza della carità. Intanto apprendiamo dai giornali di stamani che sul piano europeo ed internazionale stiamo facendo la figura dei 'pellegrini' e del 'razzisti' a proposito dei ventilati provvedimenti per la 'sicurezza'; tanto che siamo costretti a rivedere addirittura alcuni di essi perché incompatibili coi trattati sottoscritti da tempo. 

Esiste il problema 'sicurezza', con tutta la gravità emotiva che avvertiamo? la clandestinità ne è una condizione di origine? Gli immigrati sono il problema principe delle nostre insicurezze ed incapacità di governo dei fenomeni sociali? Sento sempre più odore di medioevo (quello almeno che ci hanno raccontato a scuola!). La caccia alle streghe sembra solo all'inizio. Con un po' di più di intelligenza e sensibilità, il peggio può ancora essere evitato. 

Scrive ancora il Corriere: «Sotto al cavalcavia della Napoli-Salerno ci sono gli ultimi tre campi Rom ancora abitati. Dai lastroni di cemento dell’autostrada cadono fiotti di acqua marrone sulle baracche, recintate da una serie di pannelli in legno. Un gruppo di donne e ragazzi che abita nelle case più fatiscenti, quelle in via delle Madonnelle, attraversa la piazza e si fa avanti. «Venite fuori che vi ammazziamo», «Abbiamo pronti i bastoni». La polizia si mette in mezzo, un ispettore cerca di far ragionare queste donne furenti. Siete brava gente, dice, la domenica andate in chiesa, e adesso volete buttare per strada dei poveri bambini? «Sììììì» è il coro di risposta.

Dai pannelli divelti si affaccia una ragazza, il capo coperto da un foulard fradicio di pioggia. Trema, di freddo e paura. Quasi per proteggersi, tiene al seno una bambina di pochi mesi. Saluta una delle donne più esagitate, una signora in carne, che indossa un giubbino di pelo grigio. La conosce. «Stanotte partiamo. Per favore, non fateci del male ». La signora ascolta in silenzio.

 Poi muove un passo verso la rom, e sputa. Sbaglia bersaglio, colpisce in faccia la bambina. L’ispettore, che stava sulla traiettoria dello sputo, incenerisce con lo sguardo la donna. Tutti gli altri applaudono. «Brava, bravissima». Avanti verso il Medioevo, ognuno con il suo passo.»

Un fatto è certo, comunque, «Chiudere semplicemente le nostre frontiere è una illusione: non solo è tecnicamente impossibile, sia per fattori geografici (i 

nostri chilometri di coste), sia per fattori socio-economici più generali (siamo un Paese di grandi flussi turistici e un territorio di transito per persone e merci dirette in ogni parte d’Europa), ma sarebbe anche dannoso, perché della manodopera immigrata il Paese ha grande bisogno se vuole continuare a crescere.» 

È necessario affrontare il problema ponendosi tre obiettivi: non dimenticare mai che oggetto del dramma, interno ed esterno al nostro Paese, sono uomini e donne, soprattutto persone che sono al limite della sopravvivenza; mantenere l’equilibrio fra le possibilità di vita civile che possiamo offrire a chi arriva qui e il numero delle persone per cui esse possono essere rese disponibili; mantenere il controllo reale sulle deviazioni che, a qualunque titolo, mettono in discussione questi equilibri, si tratti di deviazioni commesse da immigrati o da cittadini italiani (perché non mancano anche questi ultimi nello sfruttamento del degrado).

• Il mondo ha fame. L'ONU tace.

da LA STAMPA - lunedì 19 maggio 2008


di MIKHAIL GORBACIOV



La crisi mondiale del cibo sembra aver colto i leader politici, ma anche gli esperti, alla sprovvista. Inizialmente definita «tsunami silenzioso», ora non è più silenziosa. In molti Paesi, compresi 


alcuni cruciali per la stabilità regionale e globale, ci sono già state sommosse per il pane. Alcune delle cause di questa crisi sono evidenti: crescenti consumi di cibo nella Cina e nell’India che vivono uno sviluppo tumultuoso; accresciuta domanda di biocombustibili come l’etanolo, che deriva dal granoturco; cambiamenti delle condizioni atmosferiche causate dal riscaldamento globale e dalla scarsità d’acqua. Il primo punto è un trend inevitabile, e dobbiamo rallegrarci che centinaia di milioni di persone si stiano tirando fuori dalla povertà e possano permettersi un’alimentazione corretta. Il nostro pianeta è perfettamente in grado di nutrirli: secondo gli esperti, con le attuale tecnologie agricole, la produzione basterebbe per otto miliardi di bocche. Le principali ragioni dell’improvvisa crisi sono tutte umane e sono il prodotto dell’azione - o meglio: dell’inazione - dei politici. 


Non erano forse stati messi in guardia sul riscaldamento globale e sulla necessità di contromisure? La produzione di etanolo era stata presentata come un modo ambientalmente vantaggioso per ridurre la dipendenza dal petrolio. Ma non si erano presi in considerazione tutti gli aspetti, e il risultato è stato paradossale: in molti Paesi i contribuenti sovvenzionano la trasformazione dei cereali in etanolo, e così riducono le risorse di cibo. Il che crea un circolo vizioso, che ancora una volta dimostra come non esistano soluzioni semplici né parole magiche. 

Nelle scorse settimane il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, ha giustamente sottolineato come la crisi sia maturata nel corso di decenni e sia il risultato di «vent'anni di politiche sbagliate». Mentre gli aiuti all'agricoltura nei Paesi in via di sviluppo sono stati dimezzati tra il 1990 e il 2000, ai suoi contadini il mondo industrializzato ha continuato a erogare generosi sussidi. Come a dire: lasciamo che «quelli» affoghino o nuotino sulle onde del libero mercato, mentre «i nostri» verranno soccorsi. Ora che la crisi del cibo è anche tra noi - e con ogni verosimiglianza ci resterà - sono due le cose da fare. La prima è prendere misure di emergenza. La seconda è capire la lezione e utilizzarla per un’azione a lungo termine. Con l’evolvere della situazione, le nazioni seguiranno il principio dell’«ognuno per sè» o mostreranno finalmente la forza e la capacità di lavorare insieme e agire in modo efficace? La risposta non è ancora chiara. Alcuni Paesi produttori di cibo hanno già imposto limiti alle esportazioni per tenere bassi i prezzi ed evitare la rabbia popolare. Questa è una reazione comprensibile, ma a lungo termine non funzionerà. Occorrono soluzioni a livello internazionale. Il segretario generale dell’Onu ha convocato di recente un incontro dei vertici di 27 organizzazioni internazionali per coordinare la risposta della comunità mondiale. 


E’ stata creata una forza speciale d’intervento, il che è un ottimo primo passo. I Paesi ricchi hanno dato mezzo miliardo di dollari per aiuti alimentari urgenti - una somma non enorme, ma pur sempre un buon inizio. L’agenda del G8 che si terrà in Giappone all’inizio di luglio è stata modificata: il primo ministro giapponese ha proposto di discutere «la minaccia della fame e della malnutrizione» nel mondo». Anche la società globale civile si è data da fare, e molte ong hanno offerto il loro aiuto. Tutto questo è buono e giusto, ma io continuo a chiedermi che cosa faccia il Consiglio di Sicurezza, che, secondo la Carta dell’Onu, «porta la responsabilità 

primaria di mantenere la pace e la sicurezza internazionale». Che dalle finestre del Palazzo di Vetro non si veda la minaccia alla pace e alla sicurezza? «Sono sorpreso - ha detto Diouf - di non essere stato convocato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu», per riferire con urgenza sulla situazione. I diplomatici delle Nazioni Unite sembrano troppo abituati a lavorare come una squadradi vigili del fuoco che risponde alle crisi quando già sono degenerate in ostilità. 


Ovviamente quello è un lavoro necessario, ma sviluppare misure preventive è ancor più importante. Com’è possibile che, mentre i parlamenti nazionali dedicano sessioni particolari ai problemi urgenti, mobilitando tutti gli esperti disponibili e trovando gradualmente le soluzioni, lo stesso non accada a livello internazionale? Il Consiglio di Sicurezza non è ancora diventato un centro decisionale che potrebbe far convergere le menti dei leader mondiali sui problemi reali - le vere priorità, non quelle distorte che vediamo oggi sul tappeto. E’ imperativo cominciare ora, senza aspettare la riforma dell’Onu, che ovviamente è necessaria. Se è vero che l’esclusione di Paesi come l’India, il Brasile, il Giappone, la Germania e il Sudafrica dal gruppo dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza è sbagliata e va corretta e che la sua sfera d’influenza dovrebbe includere la sicurezza economica e ambientale, perché non cambiare l’agenda e cominciare a coinvolgere, subito, questi Paesi nella discussione? Il problema è l’inerzia. Ma la crisi del cibo ci ha ricordato una volta di più che l’inerzia uccide.

domenica 18 maggio 2008

• Gli scout davanti al coraggio

Da IL TIRRENO - domenica 18 maggio 2008


Da Zanardi a don Ciotti: gli esempi

Il coraggio non è frutto della follia del singolo, il vero coraggio è un atto di normalità e nasce davanti alla pazzia dei molti che credono sia normale accettare il male e che nulla si può contro l’odio, il dolore e la disperazione. Testimoni del "Coraggio" questi sono stati i 1500 ragazzi scout tra i 17 e i 20 anni venuti da tutta la Toscana, che nella due giorni di Loppiano (vicino a Firenze) hanno presentato il loro percorso ed hanno incontrato chi fa della propria vita una testimonianza di coraggio.

Nel giorno di Pentecoste, ospite della comunità dei Focolarini, l’Agesci Toscana ha organizzato l’evento conclusivo di un cammino partito a novembre. Il primo giorno ha visto protagonisti i ragazzi, le loro storie ed esperienze. Divisi in sottocampi i gr

uppi . hanno presentato il proprio percorso, la propria visione del coraggio: canzoni, letture e rappresentazioni hanno accompagnato la sera fino alla notte, dove dinanzi al fuoco i clan hanno vegliato in

preghiera.

La domenica un altro fuoco ha accompagnato i ragazzi: il coraggio dei testimoni, oltre 40 ospiti 

che in altrettanti dibattiti hanno raccontato la loro esperienza e si sono confrontati con i ragazzi su emigrazione, famiglia, povertà, malattia ed emarginazione. Persone significative che vivono sulla propria pelle la fatica e la gioia di portare avanti fino in fondo le scelte assunte a servizio del prossimo.

La mattina è proseguita con la tavola rotonda dove Rita Borsellino, Alex Zanardi, Giovanni Bachelet e Don Luigi Ciotti hanno parlato della loro vita, del momento in cui hanno deciso di sporcarsi le mani perché quella era per loro l’unica scelta possibile, le altre non-scelte, ma compromessi e sconfitte. Accettare questa sfida non è stata per loro una prova di coraggio ma la normale risposta alla follia e al dramma della realtà. Non si

 sente un eroe Alex Zanardi, il coraggio di ripartire dopo l’incidente del 2001 è per lui meno significativo di quello di altri che come lui hanno affrontato, o affrontano da soli, la stessa sfida. Ora, senza volerlo, è diventato un modello di rinascita per tanti giovani: accettare questo ruolo è per lui l’impegno più grande.

Giovanni Bachelet invece ha parlato del padre ucciso dalle BR nel 1980, di ciò che gli ha insegnato: "Sia per te la politica un servizio e non un mestiere". E così gli scout, gli anni da ricercatore in America e in Italia, con la consapevolezza, tramandatagli dal padre, che il primo dovere di un buon cittadino è fare bene il proprio mestiere. E poi la decisione di entrare in politica non come professionista della politica, ma come professionista al servizio della politica.

Poi il coraggio di lottare

contro la Mafia. Si chiede cosa ha fatto, Rita Borsellino, prima della morte del fratello. Da quel 19 luglio del '92 è rinata in lei e grazie a lei la voglia di lottare contro il Male della Sicilia. Parlare, coinvolgere i giovani, smuovere le istituzioni e la politica per dare una scossa al torpore e all'omertà. Non è questione di coraggio, la paura resta sempre, ma è il bisogno di giustizia e verità che ti apre gli occhi e ti fa fare cose che per altri sono coraggiose, ma per te la semplice quotidianità di chi è rinato una seconda volta.

Il coraggio di aiutare il prossimo sempre e comunque, di vedere dove sta il male e non distogliere lo sguardo ma darsi da fare Don Ciotti con il gruppo Abele e Libera risponde così a droga e criminalità. Rivolto ai giovani chiede loro di schierarsi sempre, di scegliere da che parte stare, dalla parte del debole, dell'emarginato, dell'indifeso perché questa è lunica via del coraggio, la strada che deve intraprendere ogni buon cittadino e con ancora più decisione ogni cristiano benedetto dal fuoco dello Spirito Santo.

Sono queste solo alcune delle numerose fiamme di coraggio che i 1500 scout hanno portato a casa. Ora riparte il cammino per diventare adulti consapevoli, capaci di servire, di scegliere con coraggio.

Leonardo Rina

(Capo Clan scout Livorno) 

sabato 17 maggio 2008

• 7 giugno - In marcia per il clima

Il clima sulla terra sta cambiando, ma tardano decisioni condivise ed efficaci della politica per contrastare questa emergenza planetaria. Spetta dunque a noi sollecitarle e soprattutto operare una conversione di civiltà che fermi la febbre del Pianeta. Possiamo farlo ripensando il modo di produrre energia, di consumarla per muoverci, abitare, lavorare senza dilapidare le risorse comuni quali l’acqua, l’aria, la vita sulla Terra.

Ci mettiamo in “Marcia per il Clima” organizzando a Milano il 7 giugno una grande manifestazione nazionale promossa da un’ampia alleanza delle associazioni italiane. La direttiva europea così detta del 20-20-20 (20% riduzione di emissioni di CO2, 20% incremento efficienza energetica, 20% incremento utilizzo fonti rinnovabili), insieme alle multe per i ritardi su Kyoto, disegna uno scenario che pone l’Italia di fronte ad una grande scelta, dello stesso spessore di quella che più di 10 anni fa fu fatta entrando nella moneta unica europea.

Oggi l’Italia rischia di essere collocata dagli stessi partner europei in una situazione marginale per quanto riguarda i processi di innovazione di processo e di prodotto, imposti dalla crisi energetica e dalla necessità di ridurre le emissioni di CO2. La marginalizzazione dell’Italia, se dovesse avvenire, metterebbe in moto effetti economici, sociali e culturali che non possiamo sottovalutare e che hanno a che fare direttamente con la coesione sociale del Paese e con le prospettive del suo sviluppo. A perdere non sarebbe solo la qualità ambientale ma tutto il sistema Paese.

Al mattino Piazze tematiche, spettacoli, mostre, concerti, incontri pubblici per fermare tutti insieme la febbre del pianeta. Dalle ore 15 corteo.

Appuntamento alle ore 10,00 ai Giardini di Porta Venezia.

Dalle 15,00 Corteo da piazza San Babila.


Per adesioni e informazioni:

06/86268304, marcia.clima@legambiente.eu

venerdì 16 maggio 2008

• Adolf Hitler? Lo compri sul web

Luca Possati scrive su L’OSSERVATORE ROMANO di oggi: «Un boom inatteso, un successo travolgente, che sta pericolosamente dilagando in tutta Europa. È quello degli acquisti on line di film nazisti e antisemiti, tra cui il famigerato "Jud Süss" ("Süss l'ebreo") del regista Veit Harlan, che fanno furore in particolare tra i giovani tedeschi e che spesso vengono mascherati come semplice materiale di documentazione storica. A lanciare l'allarme è il quotidiano tedesco "Die Welt", che punta il dito contro il noto colosso statunitense delle vendite in rete Amazon.»

Quello che sorprende è la sorpresa che ciò accada.

Il problema è solo apparentemente l'antisemitismo; o , almeno, ne è un momento occasionale. Basta guardare a quanto accade a Napoli (camorra o no!) nei confronti dei ROM, quanto perbenismi ed assenze pluriennali richiedono a Milano, Firenze, Roma ed altrove (al Nord come al Sud) e la sostanziale 'osservazione' dell'intolleranza verso i diversi che viene sparsa a macchia d'olio; comunque si chiamino o si colorino. 

Fenomeno antico, già storicamente visto, che ha indotto aberrazioni come il fascismo, il nazismo o il franchismo. Sposato da forme autoritarie come il comunismo europeo, in particolare. 

Prima di tutto credo che dobbiamo ringraziare chi, in nome di un anticomunismo viscerale (lontano dalla comprensione del suo crollo, non solo ideologico), ha sdoganato i fascismi di varia natura. Anche questa volta mascherandoli dietro istanze sociali inespresse o cattive gestioni (quasi suicide!) del potere istituzionale. 

Il liderismo è figlio dei totalitarismi e della concentrazione del potere di gestione in pochissime mani - fossero esse di imprenditori, finanzieri o di 'manager' partitici di varia estrazione. È l'espressione 'buona' di quel fenomeno (in atto quotidianamente) - soprattutto mediatica - del confondere volutamente gestione con partecipazione  e condivisione; consultazione con concertazione e negozialità. 

Qualcuno, in questi giorni, a proposito di atti autoritari tornava a ribadire (ma guarda un po'!) che l'obbedienza doveva essere recuperata e rinfrescata. Sono ancora dell'opinione che l'obbedienza non è una virtù e che comunque (quando è finalizzata alla partecipazione, al solidarismo ed al sostegno della liberazione dalle sudditanze acritiche) è sempre meglio dell'accettazione dell'individualismo, dell'oligarchia come struttura fuori dal controllo reale da parte della comunità. 

La miopia di molte frange dei partiti italiani e di gruppi incapaci di guardare lontano dal proprio naso ha indotto all'attuale situazione - pericolosissima - del nostro Paese. Il nostro Paese e l'Europa si stanno incamminando, sempre più rapidamente, verso la sudditanza, accettandola strutturalmente ed abbandonando gradualmente il sentiero - irto di ostacoli - che conduce alla cittadinanza. 

I vecchi ed i giovani, che sono già consapevoli di tutto questo, non possono rimanere sull'albero a guardare o bofonchiare nei corridoi. Nel rifiuto radicale delle forme di estremismi suicidi (che stanno dando ... buona prova di sé, formale e sostanziale, anche in Italia), che siano urlati o in giacca e cravatta, dobbiamo riprendere diritti e doveri della cittadinanza, farne bandiera e rinnovata battaglia culturale. Sono convinto che siamo ancora in tempo per fermare questa regressione democratica e riprendere il cammino interrotto vent'anni fa. Occorre una nuova classe dirigente 'democratica'? Ne sono convinto. Cerchiamo di fermare le degenerazioni e contribuiamo a costruirla.