giovedì 30 dicembre 2010

• Fiat - Pomigliano. Nuovo contratto.


Come da impegno si è giunti al l'accordo per il contratto di FIAT/POMIGLIANO. Durissime reazioni reciproche (spesso scomposte) fra il fronte del NO e quello del confronto tra lavoratori e impresa. Dal fronte del NO offese gratuite, istigazione ad attaccare i segretari generali di Cisl e Uil, colpi di coda all’impazzata che cercano di preparare un clima da ultima spiaggia per il referendum annunciato sull’accordo di Mirafiori. Un contratto decisamente innovativo che, coerentemente con quanto già concordato e confermato dal referendum coi lavoratori. ne trae le conseguenze organizzative, salariali e di ruolo.

Quando si affrontano i problemi di ruolo delle parti sociali è inevitabile che i toni si infuochino, specialmente quando non ci si voglia rendere conto dei limiti della forza contrattuale disponibile. Quei problemi, infatti, investono direttamente egemonie e culture maturate in decenni con riferimento ad assetti organizzativi e politici dentro e fuori gli ambienti di lavoro. Saltano alcune certezze per gli uni e per gli altri, per i lavoratori organizzati e non e per l'impresa (in questo caso la 'grande' e 'globale')

Nel caso Fiat si pone in ballo anche un altro fattore assai importante: le relazioni industriali (e le capacità di 'partecipazione' e di reciproco 'condizionamento' che sottendono) entro quali limiti possono essere lasciate al confronto negoziale? le eventuali norme di legge fino a che punto possono renderle statiche, cioè ritardate, rispetto al fattore tempo - ormai elemento ineludibile?

Tutti i sindacati, ad esclusione della Fiom-cgil, si rendono conto che è essenziale che la ricerca di un nuovo equilibrio tra i due momenti consenta un respiro globale; se si vuole avviare una inversione di tendenza oltre che alla Fiat all’insieme del comparto produttivo italiano. È negativo che la Fiom continui a sottrarsi a tale sfida e proceda con la testa all'indietro.

«È significativo in proposito l’atteggiamento da maggioranza silenziosa dei torinesi: come rileva Tom De Alessandri a proposito di Mirafiori, tutti nella città hanno capito che senza firma dell’accordo “addio investimenti”» [La Repubblica 27/12]. Quanto sottoscritto per Pomigliano non esce dal quadro del contratto nazionale.

A differenza di quanto esternato da Cremaschi - anche se ne corriamo ogni giorno il rischio - non siamo ancora orientati ad un approdo tale da potersi parlare di 'regime autoritario'. Una affermazione come quella di Cremaschi cerca solo di recuperare spazi emotivi e propagandistici, che nel sindacato in passato sono già stati vissuti e superati; spazi che cercano di evitare l'isolamento nel quale la Fiom e quel gruppo dirigente si sono cacciati; spazi che non rivelano altra progettualità di fatto se non quella di lasciare - più o meno - tutto com'è, supposto che l'attuale organizzazione del lavoro sia compatibile 'globalmente' con quantità e qualità produttive.

La Fiom, non firmando l’accordo si pone fuori dalle regole della rappresentanza sindacale in forza dello Statuto dei Lavoratori. Sul tale tema - delicatissimo - è intervenuto il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni: "Il pluralismo va bene se si fonda sulla regola che una volta discusso, accertata un'opinione a maggioranza, anche chi dissente a quel punto la sostiene e la riconosce". Proprio alle parole di Bonanni fa riferimento Cesare Damiano, (ex ministro del Lavoro, ora parlamentare del Pd), che chiede di ripartire dal documento unitario firmato nel 2008 da tutti i sindacati, chiedendo a Confindustria "di battere un colpo".

Ma qualcuno vuol procedere per offese gratuite e continue provocazioni, che non possono che portare a divisione ed indebolimento (come l'esperienza del passato dovrebbe far ricordare); essere tali da impedire una sintesi unitaria credibile e da spazzare via gli ultimi cascami di egemonie (oggi più di sempre) improponibili.

A meno che non si voglia esasperare - anche più del ragionevole e lecito - il quadro sindacale Fiat per spingere a ricadute nel «sistema partito» superstite, in modo da ricompattare nel PD una vetero-sinistra allo sbando. A mio parere, miopia pura. Angelo Panebianco, (sul Corriere della sera del 29/12) osserva: «Non è facile ricostruire le cause del conservatorismo della sinistra. Forse, una delle più importanti, è l'evidente nostalgia per la cosiddetta Prima Repubblica, che poi altro non è se non nostalgia per i tempi in cui la sinistra era rappresentata da un grande partito il Pci, rispettato e temuto da tutti, capace, pur dalla opposizione, di influenzare potentemente la vita pubblica e i costumi collettivi. Non avendo mai fatto davvero i conti con la storia comunista, la sinistra italiana, o ciò che ne resta, non ha saputo nemmeno fare i conti con tutto ciò che non andava nella Prima Repubblica. Ha finito per idealizzarla. Solo così si spiega il fatto che la sua opposizione alla destra sia sempre stata improntata al seguente ritornello: sono arrivati i barbari, i quali stanno distruggendo tutto ciò che di buono avevamo. Ma davvero era così buono ciò che avevamo? No, non lo era.»

Credo che in quanto sta ccadendo ci sia molto di tutto questo. Il gruppo dirigente della Fiom, a mio parere, se ne sta facendo carico.

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