venerdì 28 novembre 2008

• È arrivato il momento di reagire


Su EUROPA  di questa mattina, PierPaolo Baretta (ex segretario confederale della CISL) affronta il problema del rinnovamento reale di metodi, comportamenti e contenuti di partiti italiani ed europei - ora presenti. Naturalmente mette in primo piano quelli del Partito Democratico - al quale ha aderito. Richiama all'urgenza di superare i cascami di vecchie ideologie e di vecchi percorsi della organizzazione del consenso, che sollecitano ancora molti. Chiede che ci si confronti con realtà diverse che hanno già sperimentato certi percorsi e  che, pur nelle loro esasperazioni, si stanno confrontando con le mutazioni in atto a livello locale e globale.
« In effetti, è arrivato il momento di reagire. Anche il loggione deve fare la sua parte per impedire che la storia del Pd si riduca a uno spettacolo sbiadito e senza regia.
Certo i giornali esagerano; c'è un tiro al piccione esasperante e ingiusto che diventa, oggettivamente, un attacco al Partito democratico in sé, più che alle sue politiche. Inoltre, Berlusconi si concede nei confronti del Pd e di chi lo dirige performance indecenti... Ma, anche tra di noi c'è chi ci mette del suo, e non è solo Villari. Parafrasando Trilussa («un lupo disse a Gi
ove: qualche pecora dice che rubo troppo; ci vuole un freno per impedire che inventino queste chiacchiere. E Giove gli rispose: ruba meno!»), anche noi dovremo mettere un freno all'autolesionismo.
A cominciare dal distinguere tra libertà di parola e parola in libertà. Non si tratta di rinunciare al dibattito, ma di passare dal gossip politico ai contenuti. Se esistono diverse linee è bene che lo si dica esplicitamente senza affidarsi ai commentatori, magari dello "schieramento a noi avverso".Se si pensa che bisogna cambiare il segretario, non criticarlo che è normale ma proprio sostituirlo con un altro, lo si dica chiaro e si agisca di conseguenza. Se non è così, come mi auguro per un elementare benessere mentale e fisico del nostro partito, si dia un taglio e si faccia quadrato. Assicuro i protagonisti che la distinzione tra il dibattito sul merito e quello sugli organigrammi si capisce bene e che questa distinzione è condizione decisiva (i "vecchi" dovrebbero saperlo bene) per chiedere al vertice di modificare questo o quell'atteggiamento politico.
La collocazione internazionale può essere uno di questi punti di differenza? Bene, lo si affronti in una discussione 
vera, negli organismi.
Io penso che la coerenza vorrebbe che si avesse il coraggio di andare oltre e di proporre un nuovo gruppo europeo democratico. Ho letto che nella nuova formazione di centrodestra si sostiene che l'appartenenza al gruppo popolare europeo è ragione di identità. È un'affermazione datata e non corrispondente alla natura stessa della operazione politica che Berlusconi e Fini insieme stanno facendo.
Personalmente penso che anche la socialdemocrazia europea debba evolvere oltre se stessa. Vale, ovviamente, anche per il popolarismo.
Faccio, a questo proposito, un esempio che mi consente, anche, di enunciare quella che ritengo la priorità politica di questa fase storica.
La centralità della questione sociale e dello sviluppo sostenibile in una economia di mercato globale devono 
rappresentare il cuore dell'identità democratica post Ds e post Margherita.
Questa strategia si definisce su parametri ben diversi da quelli in uso negli schieramenti attualmente consolidati in Europa,ancora intrisi di ideologia. Basta pensare allo Stato-nazione, alle crisi strutturale delle sue prerogative (al di là dei momentanei ritorni di fiamma, come in questo momento) anche a fronte dell'incombenza del territorio come identità, in rapporto all'Unità europea e all'Europa dei popoli.
La crisi accentua tutto ciò. La sua dimensione, la profondità degli effetti, anche istituzionali, chiamano in gioco non solo le regole economiche, ma anche la natura e le forme di un'incompiuta democrazia globale. Tutto ciò ci colloca in uno scenario che di certo rilancia nell'attualità i valori di fondo tipici del cattolicesimo democratico e del socialismo riformista (la giustizia sociale, la centralità della persona, la solidarietà e la sussidiarietà...).
Ma è del tutto evidente la necessità di dar vita a una cultura e a delle risposte totalmente inedite e proiettate decisamente verso il secolo ancora nascente. Questo è il senso vero dell'esperienza americana.
Quando si pensa a Obama (anche ai Clinton e, a ben vedere, ai Kennedy) non viene in mente la parola "sinistra", né "cristiano sociale".
Viene in mente "politica" nella sua più piena, autonoma e moderna visione. Eppure, quando pensiamo a Obama, non ci sentiamo orfani di quelle culture, ma ne vediamo, al contrario, le possibili applicazioni politiche.
Suscitare le speranze di un mondo migliore è il compito che il Partito democratico si è assunto con la sua nascita, e la campagna elettorale ne è stata il primo segno tangibile. Errori ce ne sono stati, ci mancherebbe, ma è stata un buona campagna elettorale, convincente anche se non vincente. Penso che bisogna ripartire da lì. Con quello spirito e quella volontà.
La sconfitta è stata seria, ma non è una condanna storica. Non è dunque saggio dimenticare la mobilitazione di popolo e di idee che hanno mobilitato la prima campagna di massa del nuovo partito. Che senso ha ripartire ogni giorno da zero o avvitarsi in estenuanti esami di coscienza, soprattutto perché nessuno li fa alla propria, come prescrive la regola, ma ciascuno li fa alla coscienza dell'altro? Infine, mi chiedo: cosa possiamo fare noi, parlamentari, per contribuire all'uscita dal tunnel? Può il gruppo parlamentare, pur nel rispetto delle appartenenze soggettive a questa o quella espressione... di pensiero, farsi "luogo" di incontro, ricerca e proposta davvero trasversale e unitario? Se ci crediamo possiamo riuscirci e sarebbe un passo avanti, anche per dare al lavoro parlamentare uno sbocco esterno che raggiunga le nostre periferie, i circoli, i militanti. Azzardo a dire che molti colleghi sarebbero ben contenti che questo avvenisse...»


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