lunedì 22 dicembre 2008

• Elettori in ritirata

Luca Ricolfi, su LA STAMPA di questa mattina in un articolo intitolato "Elettori in ritirata", afferma che «Ormai la tendenza degli italiani è piuttosto chiara: se domani si tornasse a votare, l'unico partito che potrebbe sfidare il Popolo della Libertà di Berlusconi è il partito del non voto. È già oggi così in Piemonte, dove un recente sondaggio di «Contacta» per La Stampa ha rivelato che astensionisti e indecisi sono più numerosi di quanti intendono votare Pdl. E' già così in Abruzzo dove le elezioni regionali hanno consegnato poco meno di 300 mila voti al candidato del centrodestra, mentre gli astensionisti sono stati quasi 600 mila. Se queste tendenze dell'opinione pubblica dovessero consolidarsi, e l'offerta politica dovesse restare quella di oggi, nel giro di breve tempo potremmo assistere a uno scenario surreale: un partito maggioritario ma privo di rappresentanza parlamentare, costituito dagli italiani che non scelgono alcun partito».
Sviluppa questo discorso ed una analisi, come di consueto, puntuale. Concordo in gran parte con l'analisi della fotografia elettoral-partecipativa che fa Ricolfi. Nel tono, però, risente pesantemente del robusto pessimismo che troppo spesso lo travolge. In questo caso mentre mi sembra evidente che i due punti di riferimento PD e Berlusconi (più che Pdl) si stiano rendendo conto e reagiscano come possono e sanno (compatibilmente con la cultura, individuale e di gruppo che li caratterizza).
Il PD ha fissato le coordinate della reazione nel suo direttivo nazionale del 19 u.s., guardando a soluzioni organizzative sperimentate (funzionali alla organizzazione del consenso, interno ed esterno) ed a proposte di decisa correzione dell'attuale quadro delineato dall'avversario politico. Berlusconi nella conferenza stampa di fine anno, soprattutto lanciando proposte che nell'intenzione cercano di rendere permanente il prevalere della gestione del potere e della sua conservazione. L'impressione è che non ci si voglia rendere conto, in entrambi i casi, che le persone e le loro aggregazioni di base (come le famiglie o i circoli rilassanti) hanno bisogno di certezze e queste non le si possono avere con una proposta che offra due sole possibilità di concorso al sistema di potere: PD e Pdl.
La complessità, con la quale si devono fare i conti, richiede una sfaccettatura di posizioni non facilmente riconducibile ad esse attraverso forzature di vario tipo o sorrisi accattivanti; progetti ed obiettivi che abbiano una qualità ed una credibilità superiore alle banalizzazioni offerte con linguaggi da barrino dello sport (in cui tutti si atteggiano ad allenatori e esprimono giudizi quasi sempre improvvisati e non riflettuti su giocatori ed allenatori); pulizia moralizzante che non faccia troppo pensare ed approfondire (giustizialismo e perdonismo che altro sono?).
A quella complessità, in ogni caso, viene richiesta risposta per mantenere o conquistare certezze gratificanti nell'immediato, soluzioni tutte e subito anche quando non è realisticamente possibile.
Un dato è certo il partito degli astenuti e dei non partecipanti alla formazione delle decisioni per il bene comune è da un po' di tempo quasi maggioritario; un po' nello stile consolidato dal sistema statunitense, che tuttavia a differenza nostra ha previsto dei contrappesi normativo/operativi di correzione. Si può anche acquisire la gestione del potere sulla base di quantità relative, ma nei momenti più sensibili e meno addormentati coi sistemi mediatici o quant'altro non possono che esplodere reazioni dure e istituzionalmente pericolose.
Un ultima notazione a proposito di questione morale ed astensioni. Ci si è resi conto o no - tutti quanti attardati sulle speculazioni mediatiche di turno - che per tangentopoli a spingere per la corruzione (piccola o grande che fosse; di basso o alto profilo) erano prevalentemente i gruppi politici - di varia colorazione e dimensione; al contrario il caso Campania sta dimostrando che è stato sostituito da spinte corruttive provenienti prevalentemente dal sistema impresa? Ci si è resi conto, o no, che è quanto di più pericoloso e stimolante alla non partecipazione il sistema della 'pressione porta a porta' (la raccomandazione), anche quando priva di contropartita, se ignora o non prevede regole trasparenti e pubblicamente vincolanti? Altrettanto lo è la negozialità individuale sottesa dai sistemi di liberalizzazione del mercato e dalla valutazione meritocratica più spinta.

1 commento:

Ettore ha detto...

LA STAMPA - 23 dicembre 2008
Parlar d'altro
LUIGI LA SPINA
Non c’è davvero da meravigliarsi se, come ha ricordato ieri sulla Stampa Luca Ricolfi, tutti i più recenti sondaggi confermano, anche in sede nazionale, lo straordinario aumento delle astensioni che si è manifestato nell’ultimo voto, quello in Abruzzo. Un fenomeno che colpisce sia i simpatizzanti dell’opposizione sia quelli della maggioranza. Se si riguardano i titoli dei giornali in queste ultime settimane dell’anno, infatti, l’impressione di un clamoroso scollamento tra gli interessi degli italiani e gli argomenti su cui dibatte la classe politica è subito evidente.

Ma come? Ancora ieri l’Istat segnalava in modo molto significativo le difficoltà economiche della grande maggioranza delle famiglie nel nostro paese e la discussione pubblica si concentrava prima sulla divisione delle carriere per i magistrati, poi sulla trasformazione federalista dello Stato e, ora, dulcis in fundo, addirittura sull’elezione diretta del capo dello Stato.

In tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Francia, ma anche dalle potenze petrolifere del Medio Oriente alla star dell’ultimo miracolo economico internazionale, la Cina, i governanti, senza distinzioni di ruolo rispetto al potere, si affannano e si dividono solo sulle misure più opportune per alleviare i disagi e le paure dei loro governati. Da noi, tv e giornali sono costretti ogni giorno ad ospitare annunci, dispute, sconfessioni e retromarce su ipotetiche riforme che o soddisfano solo interessi di parte o riguardano tempi lontani o, e questo è il caso peggiore, servono a creare polveroni per distogliere l’attenzione dai problemi più gravi e urgenti.

Ad un ipotetico ospite straniero, il calendario della nostra politica potrebbe apparire davvero surreale. Cominciamo dal federalismo. Sia i fautori di tale assetto dello Stato sia gli oppositori, quando non sono costretti dal gioco delle reciproche parti, convengono su un punto: è possibile che, se ben costruita, la riforma regionalista possa, in futuro, ridurre le spese del bilancio pubblico; ma è sicuro che, per i primi tempi, i costi dell’operazione siano molto forti. Ora, proprio in un periodo di crisi finanziaria ed economica che, purtroppo, si prevede piuttosto lungo, pensiamo di varare un provvedimento del genere? Solo per permettere alla Lega di sventolare la bandiera del successo e per non infliggere a Bossi un’umiliazione che potrebbe mettere a rischio la tenuta del governo e della sua maggioranza.

Passiamo alla riforma della giustizia. Tutti gli italiani sanno che i mali più gravi riguardano la lentezza dei processi, specie quelli civili, la garanzia di un ugual trattamento davanti alla legge, la certezza di dover scontare la pena, quando arriva finalmente la sentenza definitiva. Invece si discute di separazione delle carriere, della ripartizione dei compiti, nelle inchieste, tra polizia e magistratura e di vietare le intercettazioni, se non in caso di mafia o terrorismo. Su quest’ultima proposta, poi, si abbatte anche la beffa di una coincidenza temporale che rende la situazione ancor più paradossale. Tutti gli scandali che riguardano il malcostume di assessori comunali e regionali sono fondati su questo strumento di indagine. Come evitare che questa intenzione alimenti, tra i governati, il sospetto di un interesse di categoria, quella dei loro governanti, compresi quelli dell’opposizione?

L’ultima bizzarria dell’agenda politica riguarda il presidenzialismo. Anche qui, non si tratta di discutere sul merito del progetto. Ci sono fior di democrazie che prevedono l’elezione popolare del capo dello Stato e ci sono tanti dittatori eletti, invece, dai Parlamenti. Ma la meraviglia riguarda l’opportunità, il significato di una tale discussione, oggi. Quando una tale riforma costituzionale richiederebbe un impossibile grande accordo tra la quasi unanimità delle forze politiche. Quando se ne potrebbe parlare solo tra quattro anni, alla fine della legislatura e alla scadenza dell’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Quando questo problema, soprattutto, è nascosto, se c’è, proprio al fondo dei cuori e delle menti degli italiani, in tutt’altre faccende affaccendati.

L’assoluta virtualità di un dibattito politico sempre più estraneo alla vita concreta dei cittadini produce, infine, conseguenze molto negative anche sulla stessa classe politica. La crisi economica, in tutto il mondo, costringe i governanti a unirsi nello sforzo di fronteggiarla. Persino i due attuali presidenti degli Stati Uniti, quello in carica e quello che entrerà alla Casa Bianca tra pochi giorni, due leader assolutamente agli antipodi come Bush e Obama, sembrano essere riusciti a concordare una strategia anticiclica. In Italia tutte le riforme allo studio hanno un effetto comune, di questi tempi, assai pernicioso: quello di dividere invece di unire. Insomma, a parlar d’altro non solo si spreca il fiato, ma ci si fa del male.