venerdì 12 dicembre 2008

• Non è un paese per giovani

Concordo pienamente con la riflessione del prof. Pietro Garibaldi su LA STAMPA di questa mattina, giorno dello sciopero generale 'retró' indetto dalla Cgil. Il 'vecchio' anni '70 vide certamente il prevalere mediaticamente e partiticamente (tutti i partiti, nessuno escluso!) il tipo di mentalità e di volontà operativa richiamato, ma aveva già fortemente presente quello che lui chiama il 'nuovo'. Anche se quasi esclusivamente nella Cisl. Molte delle valutazioni che, a latere del Centro Studi, ci riproponeva quasi con timidezza il prof. Costantini, cos'altro era?. Certe critiche, argomentate, al fondamentalismo populista di certe aree sindacali (cosiddette 'operaiste') cos'altro erano? È comunque importante che si cominci a riflettere, anche in questa direzione, filmando l'oggi; anziché attardarsi culturalmente (spesso con sufficienza mal riposta!) su linguaggi e contenuti del passato, ripresi da altri columnist che vanno per la maggiore. Il prof. Garibaldi (con una titolazione che ben testimonia il suo - e mio - pensiero: NON È UN PAESE PER GIOVANI) afferma, infatti: "Lo sciopero generale indetto oggi dalla Cgil riflette un'immagine vecchia del Paese. Sia ben chiaro, lo sciopero è e deve rimanere uno dei diritti fondamentali dei lavoratori, tutelato dalla stessa Carta Costituzionale. Ma le manifestazioni di stamani per rivendicare maggiori risorse ai pensionati, una nuova politica dei redditi e più infrastrutture daranno un'immagine del Paese da Anni Settanta. Serve di più al Paese uno sciopero generale indetto da uno solo dei sindacati o una grande iniziativa congiunta per risolvere davvero il problema del precariato? Io non ho dubbi. Invece di uno sciopero vecchio vorrei vedere una durissima, ma nuova, mobilitazione del Paese per dare davvero un ammortizzatore sociale a tutti i lavoratori precari e al tempo stesso introdurre un nuovo contratto di lavoro a tutela crescente. Le soluzioni tecniche ci sono e i sindacati lo sanno benissimo, ma evidentemente preferiscono utilizzare la logica del «più» e «subito»."
Afferma, inoltre, che
"La mancanza di una mentalità da giovane la si trova non solo tra i sindacati, ma anche in alcune scelte governative. Imporre limiti più elevati e rigorosi alle emissioni inquinanti avrà certamente dei costi nel breve periodo. Questi costi saranno più alti per Italia e Germania, due Paesi con una quota di industrie inquinanti superiore alla media europea. Ma i benefici nel lungo periodo saranno
certi. Si avrà un'aria più pulita e si potrà anche sprigionare la corsa a investire risorse e talenti in nuovi settori emergenti, quali quelli della diffusione delle fonti rinnovabili. La minaccia del governo italiano di porre il veto al vertice europeo sulle emissioni inquinanti riflette la paura e la mancanza di voglia di investire nel futuro." Aggiungo non il desiderio, ma la volontà di investire sul futuro.
"Anche nella stessa università, il luogo dove si formano i giovani e i cervelli di domani, sembra prevalere troppo spesso la mentalità dei meno giovani. Distribuire le risorse statali tra le università in base alla q
ualità della ricerca, invece che soltanto in base al numero degli studenti come avviene oggi, richiederebbe per molti atenei dei costi nel breve periodo. Tuttavia i benefici nel lungo periodo per il Paese, in termini di aumento della ricerca prodotta dalle nostre università, dovrebbero essere chiari a tutti. Eppure fino ad ora questa riforma non è stata fatta, anche se a parole sembrano tutti favorevoli.
Il Paese è ormai in una vera e propria recessione. I dati diffusi ieri dall'Istat ci hanno confermato che nel terzo trimestre dell'anno la produzione in Italia si è ridotta dell'uno per cento. La recessione può anche essere
il momento delle grandi ristrutturazioni, come ci ha insegnato Schumpeter. L'Italia ha spesso dimostrato che nei momenti peggiori riesce a fare le cose più impensabili." Sperarci non è utopia, ma azioni para-sindacali come questa della CGIL, non aiutano. Al di là del successo quantitativo e psicologico che avranno, fanno annotare una cultura altrettanto vecchia quanto quella di chi in questa fase è stato posto elettoralmente alla guida del Paese.


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