venerdì 7 agosto 2009

• "E ora?” Cosa faccio? Cosa porto a casa?

Di vicende di perdita di occupazione e di prospettive occupazionali e professionali (come sta accadendo alla Manuli di Ascoli Piceno o alla Innse di Milano - di cui tanto si parla in questi giorni) a Livorno ne abbiamo vissute di pesanti negli anni recenti. La Delphi (fabbrica USA con produzione sospesa da tre anni) ne è una drammatica conferma. Qualche volta siamo riusciti a mettere dei tamponi momentanei; qualche altra siamo rimasti, immobili, increduli, prima, e poi neri di rabbia repressa mentre affannosamente cercavamo di alzare barriere di difesa e ricercavamo nuovi obiettivi e prospettive.

Un fondamentale diritto umano, quello al lavoro, chiaramente violato; e con esso quello alla vita di persone e famiglie. Si colpiva il lavoratore dipendente. Si colpiva quello autonomo, che spesso vede i suoi sforzi ed impegni pluriennali vanificati da vicende e fenomeni sui quali non può in alcun modo incidere. Si colpiva chi lavorava saltuariamente ed era costretto allo stress dell’incertezza di trovare una soluzione sostitutiva di quello che in quel momento stava facendo. Coloro che sono costretti «a tale esperienza» sono «colti anzitutto dall'angoscia per l'immediato futuro.» *

«Come farò, si chiede, a pagare le rate del mutuo e dell'auto, le cure odontoiatriche per i figli più piccoli, il costo della scuola superiore o dell'università per i più grandi. In secondo luogo la stessa persona si sente vittima di una grave ingiustizia, di un inganno che qualcuno ha ordito alle sue spalle e che improvvisamente si rivela come tale.» * Quando si costringe qualcuno ad adattarsi alla cultura dell’incertezza (conclamata come il toccasana dell’attuale organizzazione della società), dobbiamo essere consapevoli che ogni stormir di fronde è avvertito come pericolo da tutto l’ambiente, nel quale vive ed opera. La mancanza di speranza da personale (ed è già un momento terribile!) diviene problema dell’ambiente; si allarga a macchia d’olio; nonostante l’atteggiamento consolatorio o falsamente ottimistico che qualcuno ‘che conta’ scodella con sorrisi o con pacche sulla spalla.

Deve essere recuperata, rapidamente, una strategia ed una politica della ‘certezza’ per evitare il ripetersi di drammi familiari, personali ed ambientali ; una politica che non faccia ritenere inutile ed insignificante la propria professionalità; che faccia sentire di essere parte non passiva di una Comunità solidale, di essere uguali nelle opportunità. Una cultura della vita che non ritiene fatale quello che accade, ma che vede responsabilità definite con nomi e cognomi.

Per chi è cristiano, una cultura dell’amore rinnovata e consolidata - anche se questo significa essere 'eversori' dell’attuale organizzazione del lavoro e della società che ci vengono proposte dai Centri di potere, dovunque essi si siano formati e stabiliti. La Centesimus annus e Caritate in veritate indicano percorsi sui quali lavorare e proporre progetti praticabili rivolti a tutti.

«Il punto critico non è quindi se i lavoratori della Innse abbiano esagerato o no nel salire su una gru per impedire lo smantellamento dei macchinari da parte del nuovo proprietario»*, quelli francesi nel sequestrare i loro dirigenti e capoccia, o altri nel cercare nella fuga dalla realtà e nel suicidio pace e sicurezza. Il punto è se possiamo permetterci una cultura dell’assenza e del sorriso (funzionale al nasconderla). mentre si affonda e non siamo in grado di proporci scenari positivi (per demerito nostro o per quello di chi abbiamo delegato ad impegnarsi nelle istituzioni) o ci si aggrappa a quel che capita (in difesa della propria sicurezza o per affermare la propria arroganza o la propria ansia di sentirsi ‘il primo’) ignorando la priorità delle priorità: la Comunità nel suo insieme.

Le politiche del lavoro degli ultimi 15-20 anni, in particolare, hanno trasferito sul piano finanziario gli errori che hanno determinato crisi di sistema come quella che interessò i flussi della produzioni nel ’29. Come allora stanno scaricando sui punti più deboli del sistema i danni da espansione e sviluppo ‘drogati’. Il recupero ed il riassestamento (le “sicurezze”) saranno più difficili e complessi perché a differenza di allora non ci saranno insiemi di aree in grado di attutire colpi e contraccolpi. Le superficialità ‘culturali’ che venivano dette nei corsi di orientamento al lavoro sulla moltiplicazione infinita delle occupazioni flessibili e sulla conseguente brevità dei tempi di ricerca della occupazione successiva alla presente hanno cozzato con la cruda realtà di questi mesi.

« Al presente il problema, se possibile, si è ulteriormente complicato. Non soltanto l'economia crea nuovi posti di lavoro a un ritmo molto basso, ma è possibile che per un lungo periodo ne crei assai meno di quanti se ne stanno perdendo. E per accrescere la sicurezza dei milioni di individui che l'hanno già persa, o che temono di perderla tra breve, non basteranno né la ripresa - posto che questa arrivi nel 2010, o nel 2011, o ancora dopo - né un potenziamento dei cosiddetti ammortizzatori sociali. Sarebbero assolutamente necessarie politiche industriali realmente innovative rispetto ai modelli precedenti, che in altri paesi a partire dagli Stati Uniti, si cominciano a intravedere.

Ci vorrebbero inoltre interventi radicali di sostegno al reddito, quale sarebbe ad esempio un reddito di base o reddito di cittadinanza che sia, nonché una redistribuzione del lavoro disponibile che non abbia paura di quello che fu in passato uno slogan - lavorare meno per lavorare tutti - ma che potrebbe rivelarsi come una ricetta indispensabile per il prossimo futuro.»*

Ribadisce il presidente della Repubblica emerito, C.A. Ciampi:« Occupiamoci, per favore, del pane. Rendiamoci conto che la garanzia che l’autunno sarà meglio non ce la può dare nessuno, evitiamo di confondere la mente delle persone con problemi che non esistono. Gli italiani hanno bisogno di certezze sulla loro situazione economica personale, devono riprendere ad avere fiducia nel loro futuro, chiedono maggiori sicurezze. La realtà è che dubitano del fatto che non si può che andare meglio: si è data l’illusione che il punto di minima fosse stato toccato e si stesse rimbalzando verso il meglio, invece il dato della produzione industriale di giugno smentisce tutto ciò.»** « La dimensione e la durezza della crisi impongono al Paese unità e serietà, non consentono di abbassare più o meno furbescamente la qualità dei problemi di cui è fatta la vita e che ci immiseriscono. Ora, più che mai.»**


* Luciano Gallino su REPUBBLICA del 6 agosto 2009

** Carlo Azeglio Ciampi su IL MESSAGGERO del 7 agosto 2009

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