mercoledì 19 agosto 2009

• Immigrati: una risorsa per il paese.


Sono cresciuti di dieci volte in 17 anni, ma non hanno rubato il lavoro a nessuno. Sono i 3 milioni e 400 mila stranieri presenti in Italia così come vengono fotografati da uno studio della Banca d’Italia. Sono una risorsa. Il rapporto Bankitalia evidenzia che gli stranieri con un impiego sono molto più giovani degli italiani, hanno meno istruzione e più difficoltà di apprendimento degli italiani, soprattutto nel Sud, ma aiutano a mantenere giovane la forza lavoro del Paese. Rappresentano la nuova classe operaia, dice la Banca d’Italia, e, al contrario di quanto si possa credere, «all’incremento del numero degli stranieri non si è associato un peggioramento delle opportunità occupazionali degli italiani.»

Nelle regioni centro-settentrionali tre-quarti degli immigrati sono stati impiegati come operai, una percentuale doppia rispetto a quella degli italiani. Nel Mezzogiorno, invece, sono più diffusi i piccoli imprenditori stranieri. I dipendenti, invece, nel Sud sono soprattutto nell’agricoltura, nel turismo e nei servizi alla persona.

Lo studio dimostra che gli immigrati fanno lavori che gli italiani non fanno, condizione che non molti decenni or sono era dei nostri emigrati un po’ in ogni parte del mondo. In più assistono anziani, bambini e malati, sussidiari dello stato sociale. Alcuni diventano imprenditori. Bankitalia ci ricorda in pratica che, come in tutti i paesi avanzati, l’immigrazione è una ricchezza per tutti, che gli immigrati guadagnano meno di noi ma che, grazie a colf e badanti, le donne italiane possono dedicare più tempo ed energie al lavoro.

La velocità d'ingresso in dieci anni è stata alta e l'integrazione riguarda, parzialmente la prima generazione ma soprattutto la seconda generazione, i figli degli immigrati. C'è pressione, ai confini e manca del tutto una politica consapevole (e una cultura) dell'integrazione, che non sia solo quella dell'emergenza.

La cultura del consumo (coi relativi cascami ideologici), nonostante le sollecitazioni derivanti dalla crisi del sistema finanziario in atto, mantiene alta l’accelerazione dei vari processi, in particolare di quelli delle imprese dell’energia e della trasformazione. Il dopo crisi è appena adombrato e non si sono ancora 'mosse' una cultura ed una organizzazione dei tempi diverse da quelle oggi richieste (che per quanto riguarda Italia ed Europa non sono neppure accettabili per il 'prima della crisi').

Dobbiamo velocissimamente ripensare progetti e ricalibrare strumenti ed obiettivi, altrimenti l'osmosi in atto vedrà processi di integrazione 'forzosa' e culturalmente improvvisata, come di fatto sta accadendo.

Possiamo e dobbiamo farcela! Possiamo e dobbiamo limitare poteri fuori controllo democratico affermati da 'lider maximi' e centri di potere di varia natura.

Il sindacato, come nel passato della nostra repubblica, può essere uno strumento determinante. Certamente il sistema impresa deve interagire con esso. Per tutti la ‘partecipazione’, verifiche e controlli democratici devono essere un punto di riferimento determinante. Da ciò l’importanza determinante di una strategia politica che non è facile intravedere in questo tempo, tante sono le contraddizioni propagandistiche che si intrecciano nella maggioranza di governo con peccati e peccatucci, micro-ideologie ed opportunismi, mentre il maggiore partito di opposizione sta definendo congressualmente progetti ed obiettivi.


NB - Le affermazioni ed i rilievi emergenti dalla ricerca della Banca d’Italia sono state tratte dalla stampa quotidiana in articoli finalizzati.

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