
“Bella mi’ DC”, mi strilla spesso negli orecchi un caro amico. Se penso anche a questo aspetto della nostra società (quello della comunicazione e della partecipazione democratica, in particolare), anch’io sono propenso a concordare che il problema era all'epoca - tutto sommato - non grave come lo è oggi. Almeno finché i cattolici del dopo Resistenza impegnati in politica non hanno perso il controllo di quel loro strumento e non sono sopravvenuti populismi, arrivismi, affarismi e terrorismi rossi e neri - di vario genere e dimensione.
Il quadro è ricomponibile in termini democratici? Penso di sì. Ma a condizione di smettere di lamentarsi di questo o di quello e di ricominciare a dare battaglia per il mantenimento e rinnovamento degli strumenti di democrazia e di partecipazione come la comunicazione, nel suo insieme strumentale: dai quotidiani, alle riviste, ai libri a internet, ai social network, al sistema TV.
È comunque essenziale aver chiaro che controllo e gestione non possono essere concentrati nelle stesse mani e che lo Stato non può stare a guardare quello che fanno e decidono dei soggetti privati per i loro interessi esclusivi e le loro finalità edonistiche. Comunicazione significa anche formazione permanente. Il pluralismo è essenziale per il mantenimento del sistema democratico e del sistema parlamentare. La formazione (e l'innovazione tecnologica) non può essere lasciata solo in mano ai privati, che agiscono esclusivamente nel loro interesse immediato. Non può essere di conseguenza garantita da privati, per quanto illuminati possano essere.
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