domenica 13 aprile 2008

• Dopovoto. Obiettivi prioritari.


Piedi per terra. Guardiamo a quello che dobbiamo fare domattina. L'azione del prossimo governo - chiunque abbia vinto - deve essere su scelte di cose da fare non in relazione a promesse - alle quali nessuno più crede - o ad interessi particolari di questo o di quello (singolo o gruppo oligarchico).
• La questione salariale non può essere risolta con interventi legislativi sulla contrattazione o sulla rappresentanza sindacale. La contrattazione deve restare libera e le dinamiche dei salari (sulle quali parametrare anche l'adeguamento delle pensioni) devono restare governate dalle parti. Il che non vuol dire negare alla legge qualsiasi ruolo; che va invece riconosciuto per le esigenze di tutela attraverso la fissazione di standard minimi (ad esempio a fini contributivi).
• Una cosa da chiedere a tutte le istituzioni di governo dell'economia è un'azione contro la formazione dei cartelli, di quelle combinazioni forti che si coalizzano per garantirsi a spese di chi lavora e dei cittadini tutti. In questi anni sono cresciuti e si sono estesi i cartelli dalle banche e le assicurazioni fino al petrolio, e non è escludere una dinamica altrettanto forte nel settore della alimentazione.
• Altro tassello-chiave è il sostegno alla famiglia sia sul versante del reddito sia su quello della possibilità di riorganizzazione di ruoli e tempi al suo interno. Questo vuol dire politiche fiscali nuove, ma vuol dire anche metter fine allo scandalo di servizi erogati con forme e metodi tali da avere come conseguenza che i figli dei lavoratori possono accedere con grande difficoltà alla scuola ed alla formazione. Troppo spesso si tratta - di fatto - di una selezione per censo e per qualità/quantità di informazioni e conoscenze nell'unità familiare.
• Infine è urgente la radicale modificazione dell'attuale sistema elettorale (con la relativa attenzione agli equilibri istituzionali ed alla qualità e possibilità di partecipazione da parte dei cittadini alla formazione delle decisioni per il bene comune) limitando decisamente il potere delle oligarchie che si sono incollate ai partiti. Un'oligarchia difficilmente accetta un ricambio del quadro dirigente che comporti il rischio della propria eliminazione o ridimensionamento. L'emergenza democratica è evidente. (A cominciare dal sindacato, che chiede di poter avere nei governi e nelle istituzioni degli interlocutori capaci di rispondere alle domande che pone con risposte vere, e non con promesse sempre meno belle e sempre meno nuove.)

2 commenti:

marco bennici ha detto...

Elezioni politiche 2008. L’Italia di una campagna elettorale non sparata

La campagna elettorale che ha portato alle elezioni di oggi è stata tutto sommato sottotono. La sensazione diffusa è che sia stata condotta senza essere ‘sparata’. Pur nella sua lunghezza, quasi due mesi, non sembra aver lasciato negli elettori, principali destinatari di tutte le iniziative ad essa correlate, alcuna sensazione di toni forti. Non che ne avessimo bisogno, ma alla fin fine il risultato è stato quello di non far percepire quale fosse il mordente. Le regioni di questa sorta di atterraggio morbido sono molteplici. Sicuramente incide il disincanto per una politica che in Italia si strascina da quasi trent’anni alla stessa maniera. Non è una questione di facce o di etichette politiche. Un parziale rinnovo in questo senso negli ultimi quindici anni c’è stato. Abbiamo vissuto la stagione dei referendum del 1993, di Forza Italia, dell’Ulivo e adesso del Partito Democratico. Il Pdl può essere considerato nuovo solo in parte. Da semplice cartello di alleanza elettorale, c’è da vedere quale forma prenderà nei prossimi mesi. Il fatto che maggiormente incide sul fronte dell’astensione è quella sensazione troppe volte sentita di un paese che fa fatica a superare alcuni suoi vizi capitali. Si chiamino frazionamento, particolarismi, lotte di potere clandestino, lottizzazioni o come altro dir si voglia, siamo sempre lì. Siamo sempre al punto in cui ci eravamo lasciati qualche decennio di anni fa, con l’economia al palo, l’inflazione ed il carovita al galoppo e il sistema formativo che langue steso da una parte. Ieri alcuni commentavano che la vera novità di questa campagna elettorale è che, vada come vada, dalle urne usciranno due schieramenti fortemente rappresentativi del popolo italiano. Una sterzata decisa verso un sistema maggioritario, in cui il governo è frutto delle decisioni di una maggioranza e di una opposizione in forte contrapposizione dialettica tra loro. Questo almeno secondo i migliori auspici teorici. Tra la dialettica inventata a tavolino e la realtà della vita politica di un paese in perenne transizione ce ne corre però. Questa forte tendenza maggioritaria potrebbe essere indebolita e non poco nel caso di maggioranze rosicchiate al Senato. C’è poi un mito sempre vivo. Quello del ‘nuovo’. In quanto nuovo fa paura ed attira allo stesso tempo. Ma dietro questo questa parola si nasconde una tentazione sottile ed impercettibile. Rincorrere le dinamiche ben note del mercato dei prodotti, un contesto in cui novità significa strategia. Questa è una tentazione che si addice solo in parte all’asse della politica. Il governo del popolo per sua natura è fatto di idee e di progetti. Di soluzioni a lunga scadenza, i cui effetti saranno visibili soli tra almeno un paio di anni. Non conta tanto che siano i partiti a rinnovarsi, quanto le idee e le menti di coloro che li animano. I simboli vengono di conseguenza. L’Italia in questo momento ha bisogno di un forte carico di assunzione di responsabilità non solo da parte di chi vincerà queste elezioni, ma anche dell’opposizione e delle opposizioni che si formeranno. Ha bisogno di una nuova dialettica di potere fatta di misure anche severe che abbiano un orizzonte almeno quinquennale. Ha bisogno di decisioni importanti che possano stare in piedi una volta prese nonostante eventuali alternanze di schieramento. Ha bisogno di passione e di gente di passione che ci creda giorno per giorno nella strada che c’è ancora da fare. Domani in nottata sapremo come è andata. Il governo che verrà sarà un governo nazionale a cui ciascuno di noi dovrà provare a dare fiducia, ben sapendo che la strada da fare è veramente ancora lunga.

Ettore ha detto...

Sono molto d'accordo con quasi tutte le tue considerazioni. In questo momento sto leggendo le percentuali di partecipazioni al voto del primo giorno. Penso che il deficit rimanga più o meno quello di oggi. Abbassamento inevitabile, specie per la Toscana. Inevitabile quando si sostituisce strutturalmente alla partecipazione alla formazione delle decisioni d aparte dei cittadini, la ricerca del consenso sulle nostre idee e proposte . Le primarie hanno rilevato tutti i loro limiti. In ogni caso la democrazia non è una verifica in tempi più o meno lunghi. Se poi si aggiunge che Livorno è stata spinta (dall'interno e dagli altri livelli istituzionali) ai margini della Toscana - non solo perché non siamo considerati più di un quartiere grande e di cui non si può fare a meno ma anche per il progressivo decadimento della qualità dirigente locale. Dovremo riprendere tutti insieme questa riflesisone. Intanto aspettiamo il risultato definitivo!