lunedì 28 aprile 2008

• «Per An questa è una vittoria storica» ! dice La Russa

«È un Fini raggiante quello che lascia la sede di An per recarsi al quartier generale del comitato di Gianni Alemanno. La vittoria di Gianni Alemanno a Roma «è una gioia enorme - commenta Fini mimando con le mani un enorme sorriso sul volto - È una delle pagine più belle in assoluto per il centro destra e per Alleanza Nazionale». Accompagnato da Ignazio La Russa e Andrea Ronchi, il presidente della Camera in pectore si lascia andare ad un’ultima considerazione: «Per An questa è una vittoria storica». (la Stampa - 28 aprile 2008, ore 18,40). 

Alle amministrative come alle politiche i vincitori, per il cosiddetto popolo della libertà, sono da un lato Bossi per la Lega e Lombardo per l’MPA oltre ad Alleanza Nazionale. Può dirsi che è caduta la maschera (direbbe un mio vecchio amico) l’ammucchiata di destra è allo scoperto e per la seconda volta col beneplacito di ciò che rappresenta Berlusconi ed i trasmigrati dal gruppo di Publitalia (accompagnati  da ex PSI e qualche ex democristiano). Un volto, quello di Veltroni, che non è stato lasciato solo, ed è stato sufficientemente sostenuto dalle tecniche di immagine. Un altro, quello di Prodi nascosto nell’ombra, logorato dai cosiddetti alleati della sinistra radicale. Un altro ancora, quello di Rutelli, nell'insieme scarsamente sostenuto ed al quale sembra proprio che sia stata fatta pagare la stanchezza dei cittadini romani per 15 anni di lavoro intenso e strategico, ma certamente debole per le risposte ai problemi più ravvicinati di ogni giorno; ma anche per la miopia con la quale, secondo me, parte degli elettori espressione del PD e della sinistra si sono avvicinati al ballottaggio delle comunali, con ciò confermando, insieme a cascami di vecchie ruggini ideologiche, diffidenza ed ostilità per chi aveva distinto la propria parte dai gruppi più velleitari ed autoreferenziali, avevano costantemente logorato dall'interno l'esperienza di governo dell'Ulivo ed avevano accettato per compagni di strada personaggi come Di Pietro o i sempre più vecchi radicali. A tutti ricordo che De Gasperi disse NO alla Curia romana che voleva l’ingresso degli uomini di destra al Campidoglio. Sono cessati i motivi degasperiani di allora oppure si è solo più lontani nel tempo dal ventennio fascista e dal doppio petto di Michelini? Si deve rinverdire il credito al doppiopetto, dimenticando la camicia nera; così come in molti abbiamo fatto con le ormai marginalissime pezzoline rosse (soprattutto dopo il '989)? Nei prossimi giorni dovremo approfondire, in ogni caso, l’analisi anche di questo voto, per il bene di tutti: vincitori e vinti.


1 commento:

Ettore ha detto...

EUROPA - martedì 29 aprile 2008

Fine di un mondo, non fine del mondo
di STEFANO MENICHINI

Non è la fine del mondo. Però è la fine di un mondo. Di un mondo che è stato anche il nostro, e che ieri spariva come in un’eclissi, oscurato da migliaia di voti popolari del centro e delle periferie romane, travolto dal corteo dei tassisti urlanti, ricoperto delle bandiere della destra più aggressiva d’Italia, infine vittoriosa a pieno titolo.
Cambia il segno del risultato del 14 aprile, questo è chiaro. E c’è da dire e da fare molto, in proposito. Prima però occorre guardare fino in fondo negli occhi la sconfitta nella città simbolo del Partito democratico, le sue ragioni e le sue conseguenze, intanto sulla città medesima.
Per la prima volta nella sua storia, la Capitale avrà un sindaco proveniente dalla giovane destra postfascista, un uomo cresciuto nelle strade e nelle sezioni missine.
Un uomo che però è stato preferito, e votato anche da elettori progressisti, senza che il suo passato rappresentasse il minimo handicap.
Pare perfino che aver scelto questo tasto nel ballottaggio, per il centrosinistra, si sia rivelato controproducente: si cercava di richiamare al voto la sinistra radicale, evidentemente un numero molto maggiore di elettori ha avvertito una nota stonata, diversa da quelle che il Pd ha suonato negli ultimi mesi.
C’è una richiesta di discontinuità, a Roma, molto forte. Discontinuità rispetto al passato recente dell’amministrazione, ma più in generale rispetto a un sistema di potere diffuso che, dopo aver garantito onestà, cambiamenti e buongoverno per quindici anni, ha finito per rappresentare un blocco, o comunque per essere vissuto come tale. Non solo dagli avversari politici che lo denunciavano (ansiosi di sostituirlo con un altro, vedremo se simile a quello edificato da Storace alla Regione Lazio), ma da interi pezzi di città.
Paura e sicurezza sono stati i temi-chiave.
Ora toccherà alla destra, dopo averlo promesso, mostrare come si usano le maniere forti in una metropoli moderna e multiculturale.
Rutelli è sicuramente lo sconfitto di ieri, anche personalmente, ma sul tema è nel centrosinistra il politico che ha lavorato di più, nell’ascolto e nella proposta: non è bastato. Il centrosinistra deve superare un gap di credibilità molto più grande.
La sconfitta è di Rutelli, ed è del Pd. Se ne diranno tante, anche sulle responsabilità di Veltroni e sui suoi destini. Una cosa è certa: la reazione democratica alla sconfitta del 14 aprile è stata, e sembra tuttora essere, molto al di sotto dell’urgenza. Troppe analisi consolatorie, troppe decisioni di routine – come di partito ripiegato in difesa, non si sa bene di cosa – compresa quella sui capigruppo parlamentari.  Il vertice del Pd sbaglierebbe gravemente se desse l’impressione di voler solo “tenere botta”, magari addirittura ridimensionando il significato del voto di Roma a dato fisiologico, locale, magari personale.
O tutte le sconfitte recano solo un nome e un cognome, oppure sono patrimonio e insegnamento per una collettività solidale. Ieri Rutelli, sindaco per sette anni, ha ricevuto uno schiaffo in pieno volto, e glielo hanno dato i suoi concittadini, non altri. Può darsi che a posteriori si possa dire che non era la persona giusta (anche se pareva l’unica possibile) e che ha sbagliato a caricarsi di un onere che doveva essere affidato ad altri.
Magari personaggi nuovi sulla scena, come è stato, con successo, Nicola Zingaretti.
Non è più solo una questione di persone però. Non lo era per Veltroni quindici giorni fa, non lo è ora per Rutelli. Le dimensioni della sconfitta non si spiegano così.
È molto più importante, per esempio, che nel Pd si chiarisca un punto di strategia, del tutto evidente dopo Roma: la sua espansione a sinistra, cominciata e consumata il 14 aprile, è già finita. Da quella parte, ormai, il Pd è come appoggiato a un muro.
Fine della strada. Quel che ha raccolto dalla crisi dei rossoverdi, farà bene a coltivarlo senza diventarne vittima. Quel che può tenere affianco come alleanze (Rifondazione a Roma è stata leale con Rutelli, anche se con esito deludente), lo tenga se può.
Ma tutto questo, messo insieme all’eterno 30 per cento della sinistra riformista data, non gli basterà mai più per tornare a vincere, né a livello nazionale né in grandi elezioni amministrative.
L’Italia è altrove, l’Italia è altro.