venerdì 20 giugno 2008

• Con chi stai? Allora ti considero!

Sul Corriere della sera di martedì, Ernesto Galli Della Loggia ricorda che   nessuno sembra occuparsi di Jolanda Occhipinti, Giuliano Paganini o Abdirahaman Yussuf Harale, rapiti da oltre un mese in Somalia.

Si pone alcune domande: «Perché le cose vanno così, mentre invece di altri nostri connazionali spariti in circostanze analoghe abbiamo sentito ripetere i nomi in continuazione, nelle aule delle Camere, nei consigli comunali, nei cortei, in decine di trasmissioni radio-televisive, li abbiamo visti stampati sulle prime pagine dei giornali, ripetuti nei tanti manifesti che ne effigiavano anche i volti? Cos’è che innesca il meccanismo del rapito di serie A e del rapito di serie B, dell’ «unità di crisi» sì e dell’ «unità di crisi» no, dei due pesi e due misure tra gli ostaggi? Cosa bisogna fare, insomma, per meritarsi il trattamento mediatico- istituzionale “due Simone”, se così posso chiamarlo?»

Nel mondo dei giornalisti si dice il silenzio è figlio della distrazione della opinione pubblica per degli sconosciuti e della assenza di interesse della politica italiana per la Somalia.

Galli Della Loggia si da come risposta: «in Italia continua a esserci poca nazione, e il vuoto di questa è riempito da troppa politica. È la politica—la feroce, pervasiva, politicizzazione di questo Paese o, almeno, della sua parte che conta — a spiegare il vasto silenzio in cui è precipitata la sorte dei due cooperanti italiani e del loro collaboratore somalo di cui non si sa più nulla. Non appartenevano ad alcun movimento politico, con la loro opera in Africa non intendevano rappresentare alcuna posizione politica, insomma non interessavano politicamente a nessuno.»

Per l’ennesima volta, allora, dobbiamo ribadire che l’opinione pubblica a mala pena può essere letta dai sondaggi (supposto che le domande a cui si chiede risposta siano corrette e l’intervistato sia onesto). Il giornalista può rilevarne alcune letture ed esserne mediatore. Possono coincidere con la sua lettura o meno (dato e non concesso che il ‘pezzo’ offerto al lettore corrisponda al suo pensiero e non a quello richiesto dal suo superiore o dal suo editore). Ma la sua lettura comunque influenza il lettore, che sarà parte dell’insieme - di lettori ed ascoltatori occasionali. Troppo spesso non è messo in condizione di esprimersi autonomamente. La libertà di stampa non coincide con la libertà del giornalista ed ancor meno con quella del lettore. Trovare un punto di equilibrio fra questi vari momenti informativo/formativi è essenziale in democrazia; ed ancor più lo è se la si vuole - come chiede la nostra Costituzione attuale - ‘partecipata’.

La mia è una valutazione troppo facile e scontata? Può darsi.

Non ho proposte da offrire. Ma è per me importante iniziare finalmente a riprendere il discorso che feci  (ahimè tanti anni fa!) come segretario della Cisl livornese durante una assemblea aperta in municipio durante l’occupazione dell’attuale TIRRENO, che si voleva chiudere da parte della proprietà. È essenziale, intanto, aver chiaro che parlare con tanta frequenza di essere portavoce o rilevatori dell’opinione pubblica è sempre azzardato; per quanto il fondista o il giornalista che abbiamo di fronte possa essere bravo ed onesto.

È il problema di sempre. Ma volgiamo cominciare?

Il comportamento di giornalisti e opinionisti sul delitto Calipari, che in questi giorni è tornato alla ribalta, ne dimostra l’urgenza. Ne è una dimostrazione evidente.

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