lunedì 9 giugno 2008

• ”Non siamo marginali” . I cattolici alla ricerca di nuovi spazi

Colgo nella cronaca di CONQUISTE DEL LAVORO di domenica 8 giugno 2008 altri approfondimenti sul ruolo dei cattolici nel PD. Essenziali per comprendere il prossimo cammino dle PD, che non può essere quello della ‘quarta fase’ della evoluzione del PCI o un ulteriore inserimento - più o meno leggero - della cosiddetta sinistra DC. Il partito socialista europeo, per esempio, non può essere in questo orizzonte, né culturalmente né politicamente. «Superato l’inevitabile choc post elettorale, Teodem, Popolari, Cristiano sociali sono alla ricerca di nuovi spazi per affermare una presenza che - a sentire i loro critici - è stata fin qui sbiadita.»  La riunione convocata da Mimmo Lucà ha fatto da prologo all’incontro convocato dall’associazione Quarta Fase: un seminario a porte chiuse alla Pontificia Università Gregoriana. Di nuovo per riflettere sul voto dei cattolici, anche se nessuno nasconde che alla Gregoriana si gettano anche le basi di un percorso che dovrebbe portare i Popolari a rafforzarsi sul territorio e nel partito. «Non per costruire una ”nicchia confessionale” - ha spiegato Giorgio Merlo - anche se c’è il progetto dichiarato di raccogliere tutte le componenti cattoliche del Pd

 attorno all’associazione: l’obiettivo - sostiene Roberto DiGiovan Paolo, che di Quarta fase dirige la rivista - è favorire l’aggregazione delle diverse culture presenti nel nuovo partito.» L’analisi presentata dal sociologo Paolo Sagatti sembra suggerire che certe contrapposizioni  appartengono ormai più ai riti della politica che alla sensibilità degli elettori. Tradotto: la ”questione cattolica” è tramontata. Lo dimostrano i flussi di voto, lo certifica - per fare un esempio - il risultato dell’Udc. «E’ vero - ha notato Sagatti sulla scia di altri analisti - che la tornata politica del 2008 ha confermato il progressivo spostamento sul versante del centrodestra del ”cattolico massa”.Ma è anche vero - ed forse ciò che più conta - che non esiste una frattura tra il comportamento alle

urne dei cattolici e quello degli altri cittadini; tant’è che lo scarto tra Pd e Pdl rimane p

ressoché invariato nell’un caso e nell’altro.»  Riassume Marco Politi: ”I cattolici votano sulla base di considerazioni mondane”, ovvero fuori dalle cose della fede seguono

 la propria coscienza e la visione di società che ritengono più disponibile ad accogliere

valori e contenuti della linea che scaturisce dalla dottrina sociale della Chiesa. È urgente riscoprire la vocazione sociale di una tradizione che dentro il Pd può trovare spazi importanti. Un ritorno alle radici, in un certo senso, che si contrappone ”a una legislatura, quella passata, in cui c’è stata un’identificazione tra i cattolici e i valori non negoziabili". Secondo Paola Binetti all'aggettivo "non negoziabili è stata appiccicata un’etichetta impropria, ”oggettivamente clericale”. «Io invece lo intendo nel senso che gli dà Benedetto XVI: come dotato, cioè, di una intrinseca razionalità e per questo in grado di convincere». Certo forse c’è stato un errore nel calcare tanto l’accento sui valori non negoziabili e nel lasciare da parte altri lati del patrimonio culturale e politico cattolico. « L’errore però - fa notare - è stato indotto da quanti nel Pd hanno usato ”come un corpo contundente” i temi etici e ”strumentalizzato l’opinione pubblica”: atteggiamenti che i cattolici non hanno visto di buon occhio.»  A dire come si svilupperà questa riflesione saranno altre ”tappe” .  In questi giorni intanto c’è un’iniziativa dell’ex ministro della Famiglia Rosy Bindi.


2 commenti:

Ettore ha detto...

da EUROPA di giovedì 12 giugno 2008

I conti con la Chiesa
di PIERLUIGI CASTAGNETTI
Non ci sono dubbi che il dibattito che si è aperto sulla questione del voto dei cattolici sia tanto interessante quanto inatteso. L’analisi di Stefano Menichini pubblicata su Europa di ieri, in particolare, mi è sembrata intrigante e mi stimola a intervenire. Comincerò col riferire un episodio accaduto a un collega parlamentare milanese che può servire, più di molti ragionamenti, a cogliere la complessità di questa questione. Mi diceva infatti di avere ricevuto una telefonata particolarmente accalorata da un sacerdote salesiano impegnatissimo nella pastorale giovanile, che rimproverava lui e il Pd di non fare nulla per impedire la pericolosa deriva xenofoba in atto. Alla contestazione del parlamentare, «ma perché ti rivolgi a me, visto che mi hai confidato di avere votato per il Pdl?», rispondeva: «Ma cosa conta, con quelli lì non si possono porre problemi seri come questo». In questa evidente contraddizione è contenuta la spiegazione della complessità, e anche di una certa ambiguità, del rapporto almeno di parte dei cattolici con la politica. La destra è vissuta come la difesa della tradizione e la sinistra come luogo in cui si possono tematizzare le questioni. E le domande rivolte ai cattolici impegnati nell’uno e nell’altro schieramento vengono conseguentemente diversificate.
Le analisi dei flussi elettorali che i professori Segatti e Natale ci hanno illustrato nei giorni scorsi confermano il dato di un posizionamento elettorale dei cattolici sui due poli in modo pressoché proporzionale al loro consenso. Contemporaneamente però segnalano una novità su cui non è possibile sorvolare: quando si va oltre la connotazione del cattolico praticante domenicale e si cerca di individuare i cattolici più impegnati nella vita ecclesiale (dunque anche i sacerdoti e i monaci), o in quella associativa o del volontariato, si registra l’inversione di un dato rispetto a quanto era possibile registrare fino al 2001: tra costoro i votanti Pd risultano oggi al 24% e quelli Pdl il 46%. Si tratta dei cattolici, ripeto, non solo praticanti ma che per varie ragioni fanno opinione, cioè nel loro lavoro quotidiano finiscono per indurre ed educare a una certa lettura della realtà, anche politica.
Dov’è la spiegazione di questa “inversione”, rispetto solo a pochi anni fa? In parte nell’ingresso dei radicali nel Pd che, per quanto nei fatti si traduca in un falso problema come diceva ieri in una interessante intervista a Repubblica il direttore di Avvenire Dino Boffo, a livello di percezione di una certa presunta “arrendevolezza” alle posizioni culturali più lontane dal mondo cattolico ha avuto un effetto sicuramente negativo.
Ma penso che un’altra spiegazione sia da trovare nel fatto, che trascende il ruolo dei cattolici democratici all’interno del Pd, e riguarda l’immagine complessiva che lo stesso Pd trasmette di sé nell’opinione pubblica.
Ci può aiutare a questo riguardo la schematizzazione che Pietro Scoppola ha fatto sul tema della laicità nel suo ultimo libro (Un cattolico a modo suo, Ed. Morcelliana).
A suo avviso infatti ci sono due modelli di laicità, quello francese, che lui chiama “ideologico”, e quello anglosassone, che lui chiama “di riconoscimento di incompetenza”, secondo il quale lo stato riconosce alle proprie prerogative in talune materie etiche un limite da non travalicare. A me pare che il Pd sia percepito come un partito che ha fatto sul tema della laicità un investimento di tipo ideologico, mentre il centrodestra, che sui temi etici si è autodefinito “anarchico”, è percepito come uno schieramento che, pur riservando per sé l’assoluta libertà di comportamento sia sul piano privato che su quello pubblico, riconosce alla Chiesa una specifica competenza a pronunciarsi sulle tematiche antropologiche: qualcosa di più del mero diritto di parola.
Questa la vera ragione di comportamenti che sul piano elettorale vanno ridefinendosi da parte dei cattolici. Con in più la particolarità che non solo la Chiesa sta riarticolando la sua organizzazione, riconoscendo uno spazio crescente a movimenti più o meno carismatici e comunque capaci di esercitare forti suggestioni collettive fra i propri aderenti, dentro la Chiesa stessa, ma registra altresì un crescente protagonismo nella vita ecclesiale e sociale delle giovani coppie che rappresentano oggi la componente più vivace della categoria dei cosiddetti praticanti domenicali. Si tratta di giovani trenta-quarantenni, più o meno in carriera, élite professionali, che stanno elaborando sul tema del riconoscimento del ruolo della famiglia da parte dello stato un pensiero politico più largo e inevitabilmente sempre più incisivo nella comunità dei credenti. Come si vede, si tratta di dati di una sociologia religiosa che va modificandosi e che in parte sfugge alla lente degli analisti ma con la quale un partito moderno non può non fare i conti.
Diciamo allora che, se vogliamo reimpostare, anzi per il Pd si tratta di impostare, in termini seri la questione, dobbiamo saper operare una serie di distinzioni fra: a) il ruolo fra il Pd e la Chiesa istituzione, tema particolarmente ineludibile nel nostro paese per le ragioni storiche che spesso ci siamo ripetuti; b) il rapporto fra i cittadini credenti e il Pd; c) il ruolo che, nella situazione nuova e all’interno del Pd, debbono pensare per sé i cosiddetti cattolici democratici.
È infatti troppo strumentale e troppo banale un giudizio liquidatorio sul cattolicesimo democratico.
Che nella stagione post democristiana, connotata da una crescente sporgenza della Chiesa sul piano pubblico, il cattolicesimo democratico non abbia più titoli di rappresentanza (che per la verità formalmente non ha mai avuto), è del tutto evidente, così come lo è l’esigenza di ripensare una modalità di esercitare la classica funzione di mediazione politica in una realtà ormai compiutamente secolarizzata e all’interno di un partito pluralista e post ideologico. Ma di questo avremo modo di riparlare anche su Europa.
Menichini però ha sollevato anche un’altra questione che riguarda direttamente la Chiesa italiana, accusata, in qualche modo, di portare una parte della responsabilità per il degrado civile in cui si trova oggi il paese, avendo essa da tempo introdotto una strategia eccessivamente difensiva e conservatrice dei valori della tradizione. Il giudizio impietoso non è privo di qualche fondamento, se è vero che da tutte le analisi sociologiche non emerge nei comportamenti pubblici dei credenti la “differenza” di cui pure dovrebbero essere testimoni. Ma da un punto di vista politico dico a Menichini che se il Pd ritiene di dover fare i conti con questa Italia così impaurita e conservatrice, non vedo perché non si dovrebbe ugualmente, senza scandalo per alcuno, fare i conti con questa realtà ecclesiale che è andata modificandosi, non già per correggerla o “rieducarla”, ma semplicemente perché esiste e il dato di realtà è imprescindibile per la politica. Vorrei però aggiungere, riassumendo quanto ho scritto una settimana fa in un articolo su l’Unità, che quando si giudica il peso della Chiesa nelle dinamiche sociali non ci si può limitare a valutare i pronunciamenti della gerarchia o le adesioni partitiche dei credenti, ma occorre non dimenticare mai che ogni domenica (per la verità ogni giorno) la Chiesa si ritrae per dare la parola – e questa è Parola veramente contraddittoria con il pensiero mondano – a quel Vangelo che le è stato affidato in consegna. E questa Parola alla fine ha una potenzialità educatrice delle coscienze che si sottrae a ogni valutazione contingente, come inevitabilmente sono tutte le valutazioni di natura elettorale. Se riusciremo a essere consapevoli di questa potenzialità, saremo all’altezza anche di capire che il peso di quanti credono in questa Parola, all’interno della vita politica non potrà essere valutato solo con i numeri delle tessere o delle elezioni.

Ettore ha detto...

dal gruppo Yahoo "Pax Christi"
Sinistra cristiana
Inviato da: "Enrico Peyretti", Dom 15 Giu 2008 10:39 am
08 07 SOTTO IL VOTO CATTOLICO NIENTE
di Raniero La Valle

Articolo della rubrica "Resistenza e pace" in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca@cittadella.org )

Circolano degli studi, condotti con encomiabile rapidità dai professori Paolo Segatti e Paolo Natale, sulla dislocazione del voto cattolico nelle recenti elezioni politiche che hanno dato il trionfo alla destra. Su tali studi, nel giro di pochi giorni, ci sono stati due convegni a Roma, uno all'università Gregoriana organizzato da Dario Franceschini e dalla sua rivista "Questa fase", l'altro nei pressi di Montecitorio organizzato dai cristiano-sociali del Partito democratico.

Da questi studi, e dai relativi convegni, è risultata una singolare verità: sotto il voto cattolico, niente. È la prima volta che ciò accade da quando, attraverso la DC, il voto cattolico era determinante per qualsiasi risultato elettorale. Questa volta viene fuori che il voto dei cattolici si è spalmato tra i partiti, più o meno nelle stesse proporzioni in cui si è distribuito l'elettorato in generale. Naturalmente ci sarebbe da discutere chi siano, veramente, i cattolici. Secondo i parametri dei sociologi sono quelli che con maggiore o minore frequenza vanno a messa (con un declino del 6 per cento negli ultimi dodici anni), dichiarano la loro appartenenza alla Chiesa e mantengono qualche pratica di usanze cristiane; si tratta di circa un terzo dell'elettorato. Così identificati, essi per il 42 per cento hanno votato a favore del Popolo della libertà di Berlusconi, per il 36 per cento a favore del Partito democratico di Veltroni, mentre per il 4 per cento hanno votato a favore dell'Unione di centro di Casini. Si sono fatte anche analisi più dettagliate, ma il risultato complessivo non cambia, ciò che fa dire a quanti hanno commentato questi studi che "è finita la questione democristiana", "è finito il cattolicesimo democratico" o addirittura "è finita la questione cattolica".

In un senso più profondo, e meno elettoralistico, le analisi dicono che si sarebbe creato una specie di amalgama in cui non c'è più una distanza culturale tra cattolici e "laici", tutti rientrando in una grande area multiforme di secolarizzazione di massa, in cui prevale una linea "neolibertaria tecnocratica e neoscientista", le cui caratteristiche salienti sarebbero il primato della soggettività, un individualismo anomico (per sé) e un desiderio normativo (per gli altri), la perdita della socialità e una mancanza di reattività (anche da parte della stessa gerarchia cattolica) alla "deriva neopagana" della Lega.

Se così stanno le cose, in questa cultura gelatinosa un Berlusconi che produce una legislazione penale e civile ormai ignara di ogni memoria di solidarismo e di mansuetudine cristiani, e nello stesso tempo si proclama "anarchico nell'etica", va benissimo.

Così, al culmine del processo volto a creare un'Italia apolitica e a bipartitismo perfetto, la qualità cristiana di una parte consistente dell'elettorato è pervenuta alla perfetta irrilevanza, sicché i partiti residui rimasti sulla scena la possono tranquillamente ignorare. Non che ci sia una irrilevanza della Chiesa come istituzione, a cui infatti sono molto attenti atei devoti e laici bigotti; ma secondo le statistiche riferite in questi studi il 74 per cento dei praticanti "ascolta la Chiesa e poi decide in base alla propria coscienza".

In effetti dopo tanti conflitti al calor bianco tra Chiesa e società politica sulla difesa della vita "dal concepimento alla morte naturale", sulle coppie non sposate e sulla fecondazione assistita, in cui ai cattolici sono stati chiesti soprattutto comportamenti oppositivi o astensionistici, anche dal voto, un'era di glaciazione sembra essere scesa tra Chiesa e società italiana. Alle generazioni dei cattolici della speranza succede ora una generazione di cattolici tristi. Sembra che non ci sia più niente da osare, la vita di trincea è una vita di cupa tristezza, e nei rifugi si asfissia. La realtà che si offre al nostro sguardo è avara di segni dei tempi. Non molti decenni fa si potevano scrutare dei segni che annunciavano un mondo più umano, dove la guerra era fuori della ragione. Oggi per avere un'idea del futuro che ci attende dobbiamo scrutare con quanta cupidigia Berlusconi afferra il braccio e bacia la mano del Papa.

La cosa non riguarda solo i cattolici. Come la questione cattolica è stata all'origine della democrazia italiana, così la fine della questione cattolica potrebbe anche segnare la fine della questione democratica in Italia. Per questo ci chiedevamo nel numero scorso se, venuta meno come è giusto la funzione politica dei cattolici presi tutti insieme come categoria politica indifferenziata, non si debba richiamare in vita dalla nostra tradizione l'esperienza di quei cristiani che seppero essere parte, e che a nostro avviso, da Romolo Murri a Luigi Sturzo alle Fiamme Verdi, a Franco Salvi e alla Resistenza, alla Costituente e a Moro, seppero stare dalla parte giusta: l'esperienza che sotto diversi nomi è stata quella di una "sinistra cristiana"; per non restare indifferenti alla cacciata e alla morte dei poveri.

Raniero La Valle