sabato 12 luglio 2008

• La banalità del male. Federica, l'orrore che non può capitare.

Omicidio, tentata violenza sessuale, occultamento di cadavere: sono le accuse formalizzate dal giudice spagnolo Maria Teresa Ferrer Costa a Victor, l'uruguaiano reo confesso dell'omicidio, ma non della violenza, di Federica Squarise, uccisa a Lloret de Mar (Spagna) dove era in vacanza.


da IL MESSAGGERO di  sabato 12 luglio 2008

di PAOLO GRALDI

PARLA come mangia, come beve e come si droga quel “gordo”. Un prototipo di ragazzone con il passato attraversato dalla assoluta mancanza di idee e con il futuro, sperabilmente, segnato da una condanna che gli dia tutta la vita per ripensarsi e per ripensarci.

Dunque, segnalato dagli amici ai quali chiedeva una impossibile complicità Victor il barista uruguayano che ha soffocato Federica ha raccontato com’è andata quella maledetta notte di sballo e di morte. «Insomma, può capitare, no?», ha raccontato con quel suo sguardo liquido, la testa appena rasata a zero per sfuggire agli inseguitori che lo seguivano dappresso, appoggiata a quel braccio devastato dal segno del suo orgoglio macho, un tatuaggio che sembra una piovra pronta a divorarne l’enorme stupidità.

Serata al bar nel frastuono condito dai cocktail. Rhum e zucchero, roba che entra in corpo come una endovena. Di giorno in spiaggia, di notte a ballare, a frastornarsi, a macinare sound e tequila. Con qualche pillola misteriosa dall’effetto sicuro. Si chiama sballo e produce uno stacco improvviso, come un colpo d’accetta, dalla realtà. «Può capitare, no?», continua a raccontare quell’atticciato giovanotto agitando quella manona destra, infarcita di un anello con pietra nera. Alla moda dei pirati, degli uomini duri che giocano duro perché sanno vivere pericolosamente e non gliene importa niente se esagerano nelle effusioni. Tutto sembra sottinteso. La serata ha i suoi riti e i suoi tempi. Si riempie come il buio gonfia la notte, in fretta e insieme lentamente. Nel senso che il senso del tempo si perde perché si ha tempo da perdere. Federica è una ragazza sorridente, carina, fragile, sembra disinibita. Insomma, ci sta, pensa il grosso ragazzone che le si appiccica e stringendola addosso abbrancandola la stringe a sé per mostrarle l’unica cosa che possiede davvero, i muscoli. La sequenza è già vista, mille volte, come un disco rotto che ripropone sempre le stesse immagini allucinate sicché sembrano sempre diverse. E qui quel cocktail di veleni entra nel corpo del barista e si mischia a qualcosa ch’egli sa nascondere forse persino a se stesso: la belva della violenza che è in lui è in agguato, e presto sarà più grande di lui. «Può capitare, no?». Eccome no. Che c’è di male nel corteggiare una ragazza allegra e spensierata, che è venuta fin lì con un’amica per divertirsi. Il fatto che sia lì, proprio in quel posto, sembra autorizzare l’abbattimento di qualsiasi barriera. Qui, si sa, è permesso tutto dentro la movida che macina incontri casuali come se venissero da lontano, come se poggiassero sulle colonne della fiducia ben riposta, della conoscenza di lunga data, fortificate dalla medesima cultura. La cultura che conosce il gioco, anche il gioco della seduzione e perfino quello erotico e però conosce anche i suoi limiti e sa farli valere. Questo pensa Federica di Victor: quando gli dirò basta sarà basta, non si dovrà andare oltre. Lui è di diverso parere. Quella italiana è arrivata fin lì per una notte brava, indimenticabile nella trasgressione e dunque ha 

trovato quel che cerca. «Può capitare, no?». Certo che può capitare. E poi la notte è ancora giovane, si può allungarla staccandosi dal gruppo, cercare un angolino, ascoltare la musica in lontananza e ballare lontani dalla folla. Più sentimentale, ci può stare. Il barista è conosciuto da tutti, lo sanno tutti che fa il macho ma in fondo è un bravo ragazzo, sbruffone e però innocuo. La miscela di veleni entra in corpo, profondamente, lo invade e lo pervade, se lo prende. «Ero strafatto di droga e alcol. Non capivo più niente. Può capitare, no?», confessa Victor ai poliziotti che gli chiedono di ricostruire quella notte in cui Federica se ne è andata con la sua ingenuità, fidandosi di quell’energumeno che stava trasformandosi in gorilla assassino. Victor va oltre, al di là della volontà di Federica. Non basta più dirgli di lasciarla in pace, non serve gridare aiuto, non conta graffiarlo sulle mani per divincolarsi dalla sua stretta. «Così, per farla tacere ho preso la maglietta, gliela ho stretta sulla bocca finché non ha smesso di urlare». Ecco: non può capitare, mai, per nessuna ragione, in nessuna circostanza.  Quella ferocia che si nutre della baldanza machista è sempre in agguato e a Victor sembra una meravigliosa, decisiva attenuante, scusarsi per l’accaduto, per lo spiacevole incidente, invocando droga e alcol, pillole e avances. Gli sembra naturale perché questo gli dice la sua testa, questo gli suggerisce quella che lui vorrebbe chiamare «la mia cultura di vita». 

Furbo, scaltro, sciacallo anche di fronte alla morte che ha provocato, Victor dimentica di aver ritrovato improvvisamente lucidità e di aver organizzato, per una settimana, l’occultamento del cadavere di Federica e rimesso piede sulla scena della movida.

Federica è scomparsa, se ne è andata, magari ha incontrato qualcuno che le piaceva: «può capitare, no?», ha pensato nella sua piccola mente il barista assassino. Magari sorridendo avrà pensato che tutti avrebbero creduto a questa storiella. Ingenuo e stupido, feroce e vigliacco, Victor il gordo si è assolto in fretta, aveva fretta di tornare alla movida, pronto ad altre conquiste. Chi piange Federica pensa a un fiore calpestato e chiede il tallone della legge per chi ha compiuto quel gesto che ora ha il sapore del supremo sacrilegio.

Lo stesso devono aver pensato i ragazzi di Perugia, accusati oggi dell’assassino di Meredith: eravamo strafatti, non ricordiamo niente, non siamo stati noi. Poi però sono andati a comprare i detersivi per ripulire la scena della loro furia erotica e omicida. 

L’idea che ci sia in giro gente come Victor che pensa «che può capitare» fa inorridire, segnala la caduta se non l’assenza di valori. Qui non c’entra la fatalità. Qui il protagonista è un nemico cangiante e temibilissimo: il senso che la vita non vale niente, soprattutto se è quella degli altri, e se gliela si porta via tutti capiscono «che può capitare». Non so quanto la giustizia chiederà a Victor di pagare, è sperabile che gli facciano scrivere milioni di volte in carcere: è vero, può capitare di farlo per tutta la vita.

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