lunedì 7 luglio 2008

• Impronte bimbi ROM


Sono, e siamo, convinti (specialmente Sarah Barbieri e Paolo Fenzi che sono stati i promotori della riflessione pubblica «NON POSSIAMO TACERE» sulle impronte ai bimbi ROM, o comunque ai ‘diversi’) che viviamo in periodi nei quali l’autoreferenzialità e l’individualismo stanno divorando e deformando valori comunitari che stanno alla base della nostra convivenza; che minano la nostra spinta all’amore, al progetto che il Signore ci ha consegnato perché lo gestissimo, in libertà ma anche in fedeltà. Ciascuno di noi è consapevole di essere molto fragile. Accoglie con maggiore facilità la ‘cultura dell’incertezza’ anziché quella delle ‘certezze’ a noi affidate perché le collocassimo nel tempo e nello spazio, le misurassimo con le persone (le vicine e le lontane) con le quali in ogni giorno ed in ogni momento camminiamo. Esalta le paure (figlie delle proprie incertezze, della propria incapacità a discernere e delle proprie lentezze e limiti di conoscenza). Si abbarbica alle certezze che ritiene di avere (spesso conquistate e proclamate solo formalmente).

Tutti noi (ci piaccia o meno) siamo schedati e ‘rilevati’ dall’anagrafe alla sanità, alle banche, nell’uso degli strumenti di comunicazione (privati e pubblici) ed a quanto investe non solo i momenti ‘pubblici’ di ciascuno ma anche i ‘privati’. Si pone - da almeno un ventennio (con il progressivo avanzamento della informatizzazione dei sistemi amministrativi) il problema dei limiti di interferenza e d’ingerenza da parte di tecnocrazie pubbliche e private sulle nostre libertà e sulle nostre scelte, individuali e di gruppo. Di questo si cerca di non parlare troppo spesso. Tutto questo fa comodo a chiunque si sia appropriato di un qualsiasi punto di gestione dello strumento ‘potere’ per poter disporre - senza un limite e controllo trasparente. Il nostro modesto ‘foglietto’ richiama un momento: prendere le impronte a bambini che vivono in gruppi ‘diversi’ e pregiudizialmente non graditi. Un momento di ulteriore degenerazione del sistema di controllo pubblico, che ha come effetto quello di criminalizzare chi ‘criminale’ non è e che è potenzialmente portatore di una cultura ‘diversa’ con la quale comunque dovremo

fare i conti, come dobbiamo farli (e facciamo da secoli!) con culture diverse da quelle maturate nei nostri territori. Qualcuno insiste con la parola ‘censimento’. Non siamo in una provincia ‘romana’, come la Galilea dei tempi della famiglia di Giuseppe. Siamo qui ed ora. Il censimento è permanente. Se non si sanno le cose è perché qualcuno non ha fatto il proprio mestiere. Vogliamo aggiungere alle conoscenze ‘anagrafiche’ di ciascuno le impronte? Bene, se finalmente ci si mette d’accordo sui dati da ‘incrociare’ e su chi ne ha l’accesso per il controllo e condizionamento, sono completamente d’accordo. Cominciare dai gruppi, ritenuti potenzialmente più pericolosi per la sicurezza pubblica? Con quali criteri devono essere identificati e da chi. Perché i bambini? Questo discorso è molto antico e non ha mai secolarmente portato a nessuna soluzione per la convivenza, se non quella di ‘escludere’, di ‘ghettizzare’, di limitare la naturale spinta alla ‘societas’ che ogni gruppo di uomini e donne, vecchi e giovani, sono portati  ad esprimere.

I bambini, di cui si parla, sono addestrati a delinquere? Quali progetti, azioni non repressive e fini a se stesse, quali obiettivi per superare quelle condizioni? Come noi pretendiamo di essere ‘ascoltati’ da loro - consenzienti o meno -, cosa stiamo facendo per ascoltarli ed ‘insieme’ superare le loro condizioni di esclusione di fatto dalla comunità? È una fatica dai risultati incerti - dicono alcuni. Verissimo. Non c’è mai niente di facile quando si affronta il problema della convivenza tra diversi. Non c’è mai niente di scontato quando si è chiamati a collaborare al progetto d’amore che Dio ci ha affidato.

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