
• «RICONOSCERE IL SIMILE NEL DISSIMILE: PRESUPPOSTO DELLA PACE» [Beibei Zhang]
domenica 13 novembre 2011
Livorno, svegliati !

martedì 1 novembre 2011
• Lavoro oggi. E domani?
Il grande accumulo del debito nel paesi occidentali si traduce in un carico sui giovani. Abbiamo consumato di più di quanto era lecito ed abusato nell’uso incontrollato di strumenti come quello finanziario, ponendo in sottordine la centralità della persona e della famiglia, scaricando il peso sulle generazione future.
L’urgenza immediata propone spesso la visione parziale di un fenomeno - sia nel momento del processo che in quello del prodotto. È quello che sempre più spesso accade e le cui conseguenze possono far perdere la necessaria visione d’insieme che permette un vero confronto o - quando necessario - una riprogettazione. Ma processo e prodotto non possono espropriare il ‘primo piano’ al bisogno (o ritenuto tale) al quale si intende far fronte. ‘Primo piano’: espressione che esalta la differenza con la parola ‘centralità’ che può essere attribuita al soggetto da soddisfare oppure allo strumento col quale si intende giungere alla soddisfazione del bisogno. Nel nostro Paese, in particolare, anche per la strutturazione complessiva del sistema ‘impresa’ (funzionale alla dimensione medio-piccola) fino a tempi recenti si è cercato di mantenere centralità all’uomo e comunque al lavoro che ne sosteneva strategie ed obiettivi - anche parziali. Col progressivo ripensamento delle ideologie europee affermatesi negli ultimi due secoli ed i precipitati produttivo/finanziari che via via avevano indotto nelle varie aree del globo si giungeva allo stadio attuale, alla cosiddetta ideologia di mercato ed alla esaltazione del fattore tempo come momento determinante di ogni scelta e del suo sfruttamento.
Occorre armonizzare la capacità imprenditoriale con una solidarietà capace di dare risposte al cambiamento ed alle mutate condizioni organizzative dei ruoli all’interno delle famiglie e delle Comunità di vario livello. Si deve porre attenzione a chi sa usare le risorse; creare impresa e lavoro. Perché "se una scelta apparentemente generosa come quella di distribuire i guadagni tra i lavoratori impedisce la crescita dell'azienda, dell’investimento e dell’occupazione, allora in realtà non è stata una scelta generosa"; non è stata una scelta per diritti, ma la loro negazione.Attuale contingenza: centralità dello strumento finanziario e riduzione dell’uomo ad osservatore subordinato ed occasionale, ridotto a puro strumento funzionale; il lavoro con la ricerca come momenti da rendere sempre più soggetti ai meccanismi di accumulazione di chi controlla i gruppi che determinano scelte e strutturazioni.Il nostro Paese ha risentito più di altri di progressivo arretramento perché più di altri aveva cercato risposte in progress alla centralità dell’uomo, alla solidarietà ed alla uguaglianza, alle dinamiche comunitarie ‘positive’. Oggi si trova di fronte alla urgenza di tamponare la discesa che viene imposta dall’interno (col permanente richiamo ad una economia reale fai da te ed esterna a qualsiasi tipo di strategia) e dall’esterno (tentando di non essere travolta dalle degenerazioni strumentali finanziarie, troppo spesso di sola origine speculativa).Tutto questo ha comportato anche che lo strumento ‘organizzazione del lavoro’ fosse rivisto - il più efficacemente possibile - in funzione dei mutati processi ed obiettivi, anche traguardati al fattore ‘tempo’. L’organizzazione del lavoro e dell’impiego delle professionalità imponeva ed impone una flessibilità ‘ad ogni costo’ che ha provocato, provoca e provocherà alterazioni profonde non solo all’interno delle imprese - piccole e grandi - ma anche nella Comunità a livello di territorio e delle famiglie. Per sostenere questo tipo cambiamento da anni si è favorito l’affermazione di una cultura che destabilizzasse prima di tutto ruoli e legami nelle unità familiari; mantenesse il più possibile il fermo alla mobilità sociale, avviata negli anni ’50; cercasse strutture istituzionali che riducessero la qualità e la quantità della partecipazione alle decisioni comunitarie (in nome della velocizzazione del sistema gestionale); impoverisse sempre di più la reattività etica di singoli e gruppi ed esaltasse - in qualsiasi modo - l’homo homini lupus desacralizzante.Il mondo dei lavoratori e delle lavoratrici ha cercato da sempre di controllare un tal sistema (pur nella consapevolezza che è solo una delle componenti che possono incidere ed affermare strategie). Il sistema contrattuale ha cercato di rimediare alle degenerazioni in atto, pur consapevole dei limiti imposti dalla strutturazione sindacale (che pure ha visto un periodo di ricerca e di formazione qualitativa molto importante col Centro Studi di Fiesole) e di quella istituzionale di partecipazione alla formazione delle decisioni. Ma il sistema contrattuale ha un limite nella possibilità di disporre agilmente del diritto di sciopero e di tale diritto nei fatti è difficile disporre quando si raggiungono tassi di mancanza di lavoro o livelli retributivi a malapena adatti a far fronte alla sopravvivenza personale e, molto meno a quella della famiglia; quando ‘scientificamente’ si procede alla destrutturazione del sistema welfare esistente senza predisporre alternative. Non dimentichiamo mai che flessibilità per non essere equivalente alla precarietà (che è l’atto più distruttivo e suicida di un territorio) deve essere sempre coniugata con un rafforzamento dello welfare.
sabato 8 ottobre 2011
• Previsti gli Stati Generali del Comune di Livorno

venerdì 9 settembre 2011
"Mai dire ormai"

lunedì 4 luglio 2011
• Urgente rifiuto della passività

mercoledì 25 maggio 2011
• Lo dico in ritardo, ma ... sono me

Lo scrivo in ritardo. In tempi nei quali ognuno è bene che si manifesti, di fronte a se stesso ed a chi lo conosce, per quello che è e che ha comunque scelto di essere.
Riflessione del 18 aprile.
"Vuoi impedirmi di agire, sentire e pensare in libertà? Vuoi programmare e progettare la mia partecipazione alla vita della mia famiglia e della Comunità nella quale mi sono liberamente inserito? Vuoi rendermi prono alla ideologia individualista e del consumo? Chiamami come ti pare (nero, rosso, turchino o del colore che preferisci) ti respingo, oggi; come ti ho sempre respinto: ieri e ieri l’altro.
Oggi è il 18 aprile: un anniversario di libertà - per tutti - che ne siamo consapevoli o meno e qualsiasi fosse la sponda sulla quale ci ponemmo: persone di cultura cattolica, socialista, comunista e laica. Silvio e corollari vari (comunque vi chiamate): non vi appartiene! Quello che state facendo in questi giorni al nostro Paese in tutti i settori lo dimostra."
lunedì 25 aprile 2011
• Celebrazione comunitaria delle festività e compatibilità negoziali

In questi giorni il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha rispolverato un ‘antico’ problema delle città ad alto e medio flusso turistico. I lavoratori e le lavoratrici devono consentire totale o parziale flessibilità organizzativa degli orari di lavoro al sistema dei servizi e del turismo, funzionalmente agli afflussi dei visitatori ed ai loro consumi - piccoli e grandi, essenziali e meno essenziali? Renzi si è fatto avanti con qualche provocazione (a mio parere) di troppo nei confronti dei sindacati dei lavoratori e dei loro operatori rappresentativi; provocazione dal sapore di lega troppo bassa per la statura che può assumere come rappresentante istituzionale. Lascio volentieri quella sponda da quattro spiccioli.
Concentro la mia attenzione sul sistema orari coi quali devono fare i conti nell’arco dell’anno non solo i turisti ed i consumatori ma anche gli attori dei servizi ed i loro dipendenti. A me pare che ci sia fin troppa flessibilità e quasi tutta a carico dei prestatori d'opera. Ha ragione chi sostiene la necessità negoziata di adattamento alle condizioni locali per definire nel concreto riposi ordinari e straordinari. In tal modo si può tener conto dei processi di potenziale accumulazione e delle coerenze con tutto ciò che consente di mantenere la centralità della persona che vuol salvaguardare il proprio posto di lavoro e che ha il diritto/dovere di vivere nella famiglia e nella Comunità. La contrattazione territoriale di questo fattore organizzativo non può non definire regole che non tengano conto delle parti più deboli e meno organizzate in modo da non soccombere a convenienze opportunistiche degli uni o degli altri. Non a caso uno dei riferimenti centrali della dottrina sociale della Chiesa (come ben definito in un appunto divulgativo della diocesi di Pistoia) precisa: «Nella produzione dei beni, si deve tenere presente il primato dell'uomo sul lavoro (con tutte le conseguenze che il principio comporta), del lavoro sul capitale (con l'apertura a forme di comproprietà, di co-gestione, di azionariato operaio e simili), dei diritti delle persone rispetto al profitto e al libero mercato. L'economia va coniugata con l'efficienza, ma non a discapito della solidarietà. Per questo i principi ispiratori del neoliberismo sono stati rifiutati. La salvaguardia del creato è un limite invalicabile di ogni attività umana. L'uomo è chiamato da Dio a collaborare al compimento della creazione.»
L’ideologia del mercato e del consumo non può travolgere tutto e tutti; trasformare le persone in una subordinata delle merci e del denaro. Non hanno alcun senso rigidi schematismi né liberalizzazioni ‘selvagge’. Oltretutto il quadro deve essere ancor di più osservato da vicino, quando si constati che la sorveglianza pubblica del rispetto delle regole condivise di convivenza comuniaria (tutela del più debole rispetto al più forte) facciano acqua da tutte le parti.
lunedì 4 aprile 2011
• Una nebbia sta avvolgendo il diritto/dovere di parola dei nostri ragazzi

Un momento essenziale del 'vero' attacco alla SCUOLA (senz'altra aggettivazione) ed al futuro dei nostri ragazzi è questo. Si è aggredito a colpi di machete un sistema (che bene o male si era consolidato) senza porsi seriamente la domanda di 'come proseguire'. Per studiare e formarsi, anche professionalmente, occorrono più soldi (con effetti disastrosi sulla mobilità sociale), famiglie sufficientemente stabili (con presenza significativa di padri e madri), associazionismo giovanile finalizzato di supporto a prezzi bassissimi o quasi nulli, sistema degli orari (territoriale, familiare e personale) con flessibilità controllata, cultura territoriale svincolata da modelli imposti dall'ideologia dei consumi.
Fabio Luppino scrive su l’Unità di ieri, 3 aprile: «Non so come fare. Ho meno ore, non riesco a sentirli più. Ormai per il voto orale devo fare dei compiti scritti. L’anno scorso ne avevo 22, quest’anno 28. L’anno scorso avevo quattro ore di latino, quest’anno tre. Ma sono preoccupato: ogni volta che li chiamo sono sorpresi, non riescono ad esprimersi. È colpa mia? Non lo so, i miei colleghi mi raccontano le stesse cose».
Uno sfogo, uno dei tanti. Della riforma Gelmini nelle superiori si è parlato in teoria. I conti con la realtà si cominciano a fare, ora, nelle scuole: sono devastanti.
La generazione del monosillabo delle parole mozze, delle sigle per darsi affetto, così come si vanno forgiando invasi da facebook, a scuola trasferisce per intero l’incertezza lessicale. E non c’è tempo per rimediare. Il pittoresco Lorenzo creato da Corrado Guzzanti - che non riusciva nemmeno ad arrivarci al monosillabo, ma un rumore contorto usciva dalla sua voce per comunicare- è stato ampiamente superato, anche se la figura resta profetica visto che la parodia vide la luce ben prima dell’esplosione dei social forum. Nei licei la riduzione oraria è solo nelle prime classi. Negli altri istituti superiori è a regime in tutte e cinque le classi.”
sabato 19 marzo 2011
• Nord Africa in ebollizione in cerca di libertà

Un bel baciamano, un inchino, qualche servizio ‘ad personam’ (come si fa tra uomini d’onore!), un po’ d’immagine con una autostrada a riparazione danni bellici di molti anni fa. Due ‘monarchi’ in piazza di Siena a Roma che prendono atto dei guadagni che i loro paesi (Italia e Libia) e ,forse, loro stessi hanno spuntato.È il primo scenario. Passano i giorni.
Ne emerge uno nuovo. Un popolo (quello libico) che non ce la fa proprio più , e, spinto dall’onda di altri popoli viciniori, cerca il proprio riscatto nella libertà civile. Scontro di un Davide male in arnese con un Golia ben organizzato e sostenuto anche da propri mercenari. Sguardo attonito dei protagonisti e di tutti coloro che avevano guardato a propri vantaggi ritenuti ormai impraticabili. Un popolo che mostra di volere una svolta epocale.
Il dramma si esalta e incrudelisce. Caccia aerea degli uni e degli altri in cerca di far prevalere una nuova dimensione di interessi. Una nazione - quella italiana - che stenta a mantenere il proprio ruolo nel catino mediterraneo, ma che sente rarefarsi sempre più l’aria. Nei titoli dei quotidiani si legge, drammaticamente, la parola GUERRA. Le edizioni straordinarie dei telegiornali ribadiscono la parola GUERRA. Tutti cercano di ‘coprire’ l’azione in corso di nobili sentimenti; sia le oligarchie libiche ed i loro sostenitori, sia coloro che si schierano dalla parte di chi non ne fa parte. I fatti che ne seguiranno a bocce ferme lo potranno confermare.
La malattia mortale è giunta nuovamente nel nostro mare. Diverso lo scenario globale di sempre: vecchie e nuove egemonie all’assalto.
Quando si è malati, normalmente, si cerca di capire cosa serve come cura. e quale metodo adottare per applicarla (il più efficace che la nostra intelligenza e conoscenza suggerisce). A volte si guarisce, a volte no. Il punto è non arrendersi mai e non credere che non ci sia più niente da fare ed uccidere il malato o contribuire a farlo morire. Voglia di libertà, forse anche di democrazia rappresentativa come cura generica da finalizzare. Armi e violenza da neutralizzare o da rendere meno dirompenti espressioni della malattia. La malattia: impadronirsi e prevaricare (ieri indipendentemente dal popolo; oggi cercando una giustificazione mediatica di fronte a chi è fuori dal controllo di ogni oligarchia).
Pervade il popolo - ogni popolo - un senso di impotenza. Voglia di nascondere la testa sotto la sabbia. Ma la voglia di cambiare e tornare protagonisti nella giustizia c’è, nella gran parte delle persone di tutte le etnie e lingue. Il primo mattone della nuova possibile costruzione c’è.
martedì 15 marzo 2011
• Nucleare: sì o no?

Quando ci si presentano disastri come quello di questi giorni in Giappone del terremoto e del maremoto, entrambi terrificanti, accompagnati da possibile catastrofe nucleare ognuno cerca di darsene una spiegazione, di rispondere ad una serie di perché che sorgono spontanei. Il più importante: era possibile prevedere? prevenire? evitare? Centinaia o migliaia di morti ed invalidi, nell’immediato e/o nel futuro. Ci sentiamo impotenti e corriamo alla ricerca di un ‘responsabile’ in questo o quel punto del sistema planetario. Ma, piaccia o meno, a diverso grado di responsabilità tutti si è responsabili o corresponsabili. Chi svolge un ruolo nei principali centri di potere, che ha maggiori conoscenze ed è meglio informato (prima, durante e dopo), che è in posto che consente una maggiore partecipazione alla formazione delle decisioni comunitarie lo è in misura assai maggiore a quella degli altri.
Migliaia di morti per l’uso di strumenti come l’automobile, tantissimi quelli per gestioni carenti o malmesse di fabbriche - piccole e grandi - inquinanti al di là dell’ambientalmente tollerabile, altrettanti per gli inquinamenti che ciascuno di noi determina - anche individualmente - nell’ambiente: in terra, in mare, in aria.
Tutti casi che dimostrano che si è in presenza di dinamiche di cui non si sono previsti scenari di controllo "certo". In qualche caso ci abbiamo provato o ci proviamo. In altri, in nome di un utile a breve non ne teniamo alcun conto né assumiamo impegno di controllo effettivo. Spesso questo o quel caso tendiamo a classificarlo come Incidente. Ma cos’è un incidente?
Incidente è ciò che non è prevedibile che possa accadere, non qualcosa che è 'poco probabile' che accada. Alla parola 'poco' si deve attribuire un valore-guida che deve trarre origine da condivise priorità comunitarie. In tutti i casi richiamati il principale è: la salvaguardia della vita - dell'uomo e quella presente nell'ambiente. Come si può mettere in circolo uno strumento prescindendo da un tale scenario?
Quanto accaduto in Giappone o in qualche raffineria tipo Sendai conferma che c’è ancora da fare, e molto.
giovedì 10 marzo 2011
• 'Super-ricchi' e Bene comune.

Il quindicinale Forbes (una rivista statunitense di economia e finanza) sottolinea ed evidenzia in questi giorni che le ricchezze individuali del continente europeo hanno ceduto il passo a quello asiatico. Più super-ricchi «in Cina che in Europa. Per la prima volta in più di un decennio in Asia ci sono più miliardari (332, più dei 248 dell'anno scorso e i 130 del 2009 per un totale di 996 miliardi) che in Europa (solo 300, più dei 248 dell'anno scorso e tuttavia con un patrimonio complessivo di 1.300 miliardi di dollari)». «Cina e Russia ne contano oltre cento. Gli Stati Uniti sono arrivati a 413, dieci in più dell'anno scorso. Nel vecchio continente i nuovi miliardari sono 50.» (Il link originale).
Si misurano le quantità ed i nuovi equililbri; non la qualità di strumenti ed obiettivi (raggiunti o meno) come se il denaro e la sua accumulazione fossero fini, inquadrabili di per sé come bene comune.
Col fenomeno asiatico - ampiamente previsto e prevedibile - dovranno essere fatti i conti. Altrettanto con le priorità finalizzabili al tipo di bene comune al quale si punta.
Se ha da esserci, come da qualche parte sembra emergere, la ridefinizione di 'bene comune' - da perseguire nella e per la Comunità - si devono fare i conti con l’emersione del 'berlusconismo' come momento individuale edonistico fine a sé stesso, che al momento è vincente. Lo indicano i richiami sempre più frequenti ai mutamenti culturali ed organizzativi di derivazione liberale e socialdemocratica. Lo sottolineano gli insegnamenti proposti dalla Dottrina Sociale della Chiesa (che è bene ricordare non è una 'terza via' ma la conferma di una lettura secolare, di una unità di misura, dei fenomeni maturati o maturandi nella Comunità).
domenica 23 gennaio 2011
• A noi ce sarveranno le mignotte

mercoledì 19 gennaio 2011
FIAT. Cambiamento, parti sociali e partiti.

Certezze assolute nessuno può averne. Ma un dato è certo: i pochi che guidano e condizionano il sistema finanziario globale stanno determinando ricadute assai pesanti nei vari comparti produttivi imponendo cambiamenti radicali in tempo reale e con valenze a periodi sempre più brevi. Il fenomeno deve essere governato con attenzione primaria alla sopravvivenza delle persone che stanno - comunque - subendo localmente condizionamenti pesantissimi sulle qualità e quantità delle produzioni nonché sulla organizzazione della Comunità ai vari livelli operativi. Questo comporta che deve esserci rapidità di adattamento ai cambiamenti distributivi (qualsiasi sia la loro natura) ed una organizzazione del lavoro tendenzialmente omogenea per insiemi di unità produttive nei vari territori (Una sorta di sistema a vasi comunicanti che tendono a livellarsi tra loro).
Un processo di tale natura non può essere governato da un singolo territorio o da una singola realtà. I Centri di potere che intervengono sono tra loro omogenei su un solo obiettivo: l’accumulazione massima come ricaduta del rapido spostamento dei capitali (effettivi od anche solo nominali), dotati - al momento - di una forza governata da logiche rigide di homo homini lupus, con attenzione al ‘sottostante’ sistema produttivo molto spesso solo interessato al mordi e fuggi.
Quanto sta accadendo produce effetti anche nel settore auto (e non solo) e nei territori nei quali insiste. Si annotano , a livello globale: innovazione per l’innovazione con recupero di obiettivi - già possibili - ma lasciati di riserva per i momenti di magra, cambiamento fine a se stesso e simili.
A me pare che dobbiamo far fronte ad un cambiamento di questo tipo. Recuperare la guida del cambiamento a livello globale richiede la definizione di nuove strategie finanziarie, economiche e sociali per una ridefinizione dei Centri di potere - che agiscono a livello mondiale in questo momento al di fuori di ogni controllo perché sono troppo deboli e disomogenee la possibilità e capacità di intervento della politica (nelle sue varie espressioni: partiti, associazioni imprenditoriali, associazioni sindacali dei lavoratori, associazioni dei consumatori).
Il caso Fiat è da valutare in questa dimensione. I due referendum, tra l’altro dimostrano che in questo paese le grandi riforme passano attraverso le intese tra le parti sociali. Chi si chiama fuori è costretto a rincorrere. E a rincorrere sono anche i soggetti partito, come dimostra, alla luce dell'esito referendario di Torino, la richiesta a gran voce di una legge sulla rappresentanza.
«Una volta ancora la Cisl chiede alla politica di fare un passo indietro» scrive il quotidiano sindacale. Quello che

non è accaduto nei giorni del referendum di Mirafiori, con il sostegno di un'ampia parte dell'opposizione offerto alla Fiom e l'infelice sortita di Berlusconi a supporto di Marchionne proprio alla vigilia del voto. Una situazione nella quale neppure i media sono stati all'altezza del loro compito, (a partire dalla tv di Stato), facendosi megafono delle fazioni in campo, piuttosto che aiutare l'opinione pubblica a comprendere il contesto internazionale del mercato dell'auto nel quale si muove anche la Fiat.
Tutti i soggetti avevano di fronte un problema: un radicale cambiamento nell’uso di intelligenze e professionalità nell’ambito di convenienze di livello globale che consentissero una potenziale sopravvivenza di quella multinazionale nei vari territori disponibili. Individuati limiti e possibilità, si è parlato di braccia ed intelligenze. La multinazionale dichiarava che ci sarebbe potuto essere l’investimento anche a Mirafiori, come era stato sancito per Pomigliano, a certe condizioni produttive/finanziarie, generali e particolari. Poteva essere garantita l’occupazione di migliaia di braccia in attesa.
A quel punto entravano in gioco metodi e comportamenti. L’organizzazione del lavoro, precedente e quella che si richiedeva per il nuovo, avevano un taglio di non facile digeribilità (specialmente per noi cristiani): possibile indebolimento dei diritti di tutela - rispetto al quadro precedente; proseguimento nell’indebolimento dei ruoli conosciuti nella famiglia - come conseguenza diretta degli orari di turnazione e riposo; possibilità di ‘crescita’ personale e di gruppo; socialità finalizzabili più direttamente alla gestione della polis; diritti di partecipazione da ridefinire, ivi compreso il criterio di rappresentatività come conseguenza della rigida applicazione dello Statuto dei Lavoratori - che emarginava chi non avesse sottoscritto l’accordo raggiunto, nel caso specifico la Fiom-cgil; ecc.).
A quel punto tra i sindacati emergeva una linea: proseguire nella trattativa - pur col forte condizionamento negoziale che avrebbe potuto esercitare la multinazionale - in modo da uscirci in piedi ed a schiena dritta, con la speranza aperta sul futuro. Le associazioni dei lavoratori - accettavano di trattare, fermo restando che l’esito momentaneo sarebbe stato sottoposto a referendum tra i lavoratori e le lavoratrici. La Fiom-cgil non condivideva tale linea e si sfilava. Fiom, Cobas e sistema dei media (fortemente impegnato in un atteggiamento critico al cambiamento) erano di fatto favorevoli allo statu quo ante, davano per scontata la permanenza dell’attività della multinazionale a Mirafiori e volevano mantenere quanto acquisito con i precedenti metodi e comportamenti ante-globalizzazione. Fim-cisl, Fismic, Uilm, Uglm accettavano e concludevano la trattativa sul nuovo - condizionandolo all’esito del referendum. La Cisl chiedeva alle confederazioni il recupero dell’accordo unitario 2008 sulle rappresentanze sindacali.
Troppe sono state le polemiche ed i contrasti nella ultime settimane. Al punto che la Fiom e la Cgil tendono a non riconoscere i risultati dei referendum, sia a Pomigliano (che ha avuto un esito netto e chiaro) che a Mirafiori (con lieve prevalenza della approvazione tra gli operai e forte prevalenza tra i quadri). Non solo ma anche con alcune aree mediatiche che tendono a fare apparire un ‘buon risultato’ (quello da loro conseguito, specie a Mirafiori) come una vittoria degli oppositori all’accordo. Atteggiamento superficiale e che nega ogni validità - di fatto - a qualsiasi consultazione referendaria, ove non ci siano risultati con distacchi clamorosi.
Ora comincia un nuovo percorso per tutti, anche nell’area italiana della multinazionale. Non c’è dubbio che la strada è in forte salita, sia per i lavoratori che per la multinazionale.
Sono consapevole che come cristiani, per riaffermare i valori che ci dovrebbero connotare abbiamo molto da lavorare ed impegnarci nella gestione della polis, sia nei partiti che nei sindacati. Era sostanzialmente poco accettabile il quadro ‘vecchio’, lo è quasi altrettanto quello ’nuovo’. Forse la strada indicata da Zamagni del terzo settore è la più praticabile; ma è tutta da scoprire in una macro impresa.
sabato 8 gennaio 2011
• Governo e Tricolore

Leggo sulle Agenzie che Berlusconi , il presidente del Consiglio (o come qualcuno lo chiama: il premier) s’è ben guardato dal partecipare alla festa del Tricolore a Reggio Emilia, in avvio delle celelbrazioni dei 150 anni dell’Unità del nostro Paese. Il presidente del Consiglio? Nemmeno un messaggio, una lettera, o una delegazione in sua vece. Non solo ma a parte l’onnipresente sottosegretario Gianni Letta (il minimo formale del galateo istituzionale) è come se i ministri si fossero passati la voce: meglio snobbare l’evento. I ministri restano a casa. Alla festa del Tricolore non se ne è vista traccia. Leggo anche che alcuni ministri in privato si giustificano. I 'patriottardi' anche di un recente passato, dove sono finiti? Ma questa cos’è? La classe dirigente di una nazione che si chiama Italia e per costruire la quale in molti ci hanno rimesso la pelle?
Con il governo appeso a tre voti parlamentari e mentre è in pieno svolgimento la caccia ad un’altra diecina, «figurarsi se Berlusconi farà il gesto ardito di contrariare Bossi» e la sua corte leghista, «sgomitando per mostrarsi in prima fila alle celebrazioni dell’Unità d’Italia!» Già la Lega: sempre più padrona del campo, padrona anche delle idee. Sembra proprio riemergere la leggerezza del piano bar, di cui in tanti hanno parlato negli ultimi anni a proposito del barzellettiere. Che puzza! Il tempo passa! Il fetore da piano bar, stagionato, sta ammorbando l'aria del nostro Paese.
Quando ci sono uomini di governo e potere reale - almeno in questo momento - che dichiarano che con la bandiera (Simbolo rappresentativo della nostra Repubblica e del nostro Paese, riferimento per tutti noi che qui risiediamo e viviamo) ci si deve pulire il c... quale altro risultato ci si può aspettare? Napolitano - con altre persone per bene - ce la stanno mettendo tutta per rinfrescare l'aria e spingere verso la normalità. Non possiamo che ringraziarli. Anche noi, però, dobbiamo dar loro una mano: ogni giorno dovunque operiamo ed insistiamo. Ciampi, prima, e Napolitano, dopo, ce le ricordano in ogni momento.
martedì 4 gennaio 2011
• Incertezze da ripartenza o da mancanza di una strategia d’insieme?

In molti sostengono che siamo in una fase di ripartenza verso un sistema istituzionale più organico e meno improvvisato; che recuperi solidarismo e equità cui abbiamo teso per i primi cinquant’anni della Repubblica. In gran parte ne sono convinto anch’io. Ma la complessità del quadro, i suoi particolarismi risorti o nati ex novo e la rivisitazione di valori non sono né di facile lettura né di facile combinazione (quantitativa e qualitativa) tra di loro. Si stenta a definire i contorni dell’insieme.
Provo anch,io - nel mio piccolo - a dare un’occhiata.
In questi anni abbiamo assistito da una parte al tentativo di gestire - credibilmente - l’ex ventre molle del C.A.F. (Craxi, Andreotti, Forlani) da parte di un ‘personaggio’ con capi manipolo di destra e raccogliticci fabbricatori d’immagine conditi da procuratori d'affari di varia caratura. Dall’altra all’ansia di costruire una nuova realtà di centrosinistra assemblando dialetticamente due ‘insiemi’ in cerca di identità: gli uni, cascami degli ex comunisti italiani che a fatica vivevano il crollo politico dell'URSS e lo stato confusionale del laburismo occidentale; gli altri, il recupero e l’affermazione di identità del cattolicesimo sociale soffocato dalle ideologie post belliche. In questo quadro l’unica strategia possibile e praticabile è stata quella della ricerca di stabilità dell’esistente o dell’adattamento, di volta in volta, ai fenomeni verificabili; sia per gli uni che per gli altri.
I gruppi dirigenti dei sindacati dei lavoratori cercavano di mantenere in rotta una barca che rischiava ogni giorno di essere travolta dallo tsunami di un produttivismo sempre più affogato nei vari sistemi finanziari, pur mantenendo dinamiche proprie delle esperienze passate: con la Cgil che risentiva ancora delle proprie ascendenze ideologiche, più o meno pesantemente; con la Cisl che esaltava il proprio pragmatismo nel ruolo ‘negoziale’ del ‘sindacato nuovo’ disegnato fin dal 1950; con Uil e Ugl ondeggianti fra le prime due, oltre che da associazioni autonome funzionali ad esasperazioni di varia provenienza e consistenza.
Il mondo imprenditoriale che operava in due grandi dimensioni. Quella dei grandi aggregati travolti da dinamiche finanziarie - spesso fine a se stesse - che imponevano una generale e decisa inversione di valori alle Comunità (anche di quella italiana), ponendo il profitto al centro delle proprie attenzioni e finalità nonché relegando - in un ruolo decisamente marginale - l’homo faber; con un corteo a supporto formato da analisti politici e finanziari che attraverso i media agivano ed agiscono come ‘formatori’ funzionali alle nuove dinamiche dei sistemi finanziari. Quelle delle piccole e medie imprese che erano sparse, soggette alle duplice pressione dell’attività del giorno per giorno dei lavoratori e dell’uso - più o meno spregiudicato - degli strumenti finanziari.