mercoledì 19 gennaio 2011

FIAT. Cambiamento, parti sociali e partiti.



Certezze assolute nessuno può averne. Ma un dato è certo: i pochi che guidano e condizionano il sistema finanziario globale stanno determinando ricadute assai pesanti nei vari comparti produttivi imponendo cambiamenti radicali in tempo reale e con valenze a periodi sempre più brevi. Il fenomeno deve essere governato con attenzione primaria alla sopravvivenza delle persone che stanno - comunque - subendo localmente condizionamenti pesantissimi sulle qualità e quantità delle produzioni nonché sulla organizzazione della Comunità ai vari livelli operativi. Questo comporta che deve esserci rapidità di adattamento ai cambiamenti distributivi (qualsiasi sia la loro natura) ed una organizzazione del lavoro tendenzialmente omogenea per insiemi di unità produttive nei vari territori (Una sorta di sistema a vasi comunicanti che tendono a livellarsi tra loro).

Un processo di tale natura non può essere governato da un singolo territorio o da una singola realtà. I Centri di potere che intervengono sono tra loro omogenei su un solo obiettivo: l’accumulazione massima come ricaduta del rapido spostamento dei capitali (effettivi od anche solo nominali), dotati - al momento - di una forza governata da logiche rigide di homo homini lupus, con attenzione al ‘sottostante’ sistema produttivo molto spesso solo interessato al mordi e fuggi.

Quanto sta accadendo produce effetti anche nel settore auto (e non solo) e nei territori nei quali insiste. Si annotano , a livello globale: innovazione per l’innovazione con recupero di obiettivi - già possibili - ma lasciati di riserva per i momenti di magra, cambiamento fine a se stesso e simili.

A me pare che dobbiamo far fronte ad un cambiamento di questo tipo. Recuperare la guida del cambiamento a livello globale richiede la definizione di nuove strategie finanziarie, economiche e sociali per una ridefinizione dei Centri di potere - che agiscono a livello mondiale in questo momento al di fuori di ogni controllo perché sono troppo deboli e disomogenee la possibilità e capacità di intervento della politica (nelle sue varie espressioni: partiti, associazioni imprenditoriali, associazioni sindacali dei lavoratori, associazioni dei consumatori).

Il caso Fiat è da valutare in questa dimensione. I due referendum, tra l’altro dimostrano che in questo paese le grandi riforme passano attraverso le intese tra le parti sociali. Chi si chiama fuori è costretto a rincorrere. E a rincorrere sono anche i soggetti partito, come dimostra, alla luce dell'esito referendario di Torino, la richiesta a gran voce di una legge sulla rappresentanza.

«Una volta ancora la Cisl chiede alla politica di fare un passo indietro» scrive il quotidiano sindacale. Quello che

non è accaduto nei giorni del referendum di Mirafiori, con il sostegno di un'ampia parte dell'opposizione offerto alla Fiom e l'infelice sortita di Berlusconi a supporto di Marchionne proprio alla vigilia del voto. Una situazione nella quale neppure i media sono stati all'altezza del loro compito, (a partire dalla tv di Stato), facendosi megafono delle fazioni in campo, piuttosto che aiutare l'opinione pubblica a comprendere il contesto internazionale del mercato dell'auto nel quale si muove anche la Fiat.

Tutti i soggetti avevano di fronte un problema: un radicale cambiamento nell’uso di intelligenze e professionalità nell’ambito di convenienze di livello globale che consentissero una potenziale sopravvivenza di quella multinazionale nei vari territori disponibili. Individuati limiti e possibilità, si è parlato di braccia ed intelligenze. La multinazionale dichiarava che ci sarebbe potuto essere l’investimento anche a Mirafiori, come era stato sancito per Pomigliano, a certe condizioni produttive/finanziarie, generali e particolari. Poteva essere garantita l’occupazione di migliaia di braccia in attesa.

A quel punto entravano in gioco metodi e comportamenti. L’organizzazione del lavoro, precedente e quella che si richiedeva per il nuovo, avevano un taglio di non facile digeribilità (specialmente per noi cristiani): possibile indebolimento dei diritti di tutela - rispetto al quadro precedente; proseguimento nell’indebolimento dei ruoli conosciuti nella famiglia - come conseguenza diretta degli orari di turnazione e riposo; possibilità di ‘crescita’ personale e di gruppo; socialità finalizzabili più direttamente alla gestione della polis; diritti di partecipazione da ridefinire, ivi compreso il criterio di rappresentatività come conseguenza della rigida applicazione dello Statuto dei Lavoratori - che emarginava chi non avesse sottoscritto l’accordo raggiunto, nel caso specifico la Fiom-cgil; ecc.).

A quel punto tra i sindacati emergeva una linea: proseguire nella trattativa - pur col forte condizionamento negoziale che avrebbe potuto esercitare la multinazionale - in modo da uscirci in piedi ed a schiena dritta, con la speranza aperta sul futuro. Le associazioni dei lavoratori - accettavano di trattare, fermo restando che l’esito momentaneo sarebbe stato sottoposto a referendum tra i lavoratori e le lavoratrici. La Fiom-cgil non condivideva tale linea e si sfilava. Fiom, Cobas e sistema dei media (fortemente impegnato in un atteggiamento critico al cambiamento) erano di fatto favorevoli allo statu quo ante, davano per scontata la permanenza dell’attività della multinazionale a Mirafiori e volevano mantenere quanto acquisito con i precedenti metodi e comportamenti ante-globalizzazione. Fim-cisl, Fismic, Uilm, Uglm accettavano e concludevano la trattativa sul nuovo - condizionandolo all’esito del referendum. La Cisl chiedeva alle confederazioni il recupero dell’accordo unitario 2008 sulle rappresentanze sindacali.

Troppe sono state le polemiche ed i contrasti nella ultime settimane. Al punto che la Fiom e la Cgil tendono a non riconoscere i risultati dei referendum, sia a Pomigliano (che ha avuto un esito netto e chiaro) che a Mirafiori (con lieve prevalenza della approvazione tra gli operai e forte prevalenza tra i quadri). Non solo ma anche con alcune aree mediatiche che tendono a fare apparire un ‘buon risultato’ (quello da loro conseguito, specie a Mirafiori) come una vittoria degli oppositori all’accordo. Atteggiamento superficiale e che nega ogni validità - di fatto - a qualsiasi consultazione referendaria, ove non ci siano risultati con distacchi clamorosi.

Ora comincia un nuovo percorso per tutti, anche nell’area italiana della multinazionale. Non c’è dubbio che la strada è in forte salita, sia per i lavoratori che per la multinazionale.

Sono consapevole che come cristiani, per riaffermare i valori che ci dovrebbero connotare abbiamo molto da lavorare ed impegnarci nella gestione della polis, sia nei partiti che nei sindacati. Era sostanzialmente poco accettabile il quadro ‘vecchio’, lo è quasi altrettanto quello ’nuovo’. Forse la strada indicata da Zamagni del terzo settore è la più praticabile; ma è tutta da scoprire in una macro impresa.


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