lunedì 4 gennaio 2010

• Per un progetto condiviso a dimensione comunitaria


Un vecchio amico (che normalmente evita di spargere giudizi, elogi o condanne con superficialità salottiera) a commento dell'attuale quadro politico-istituzionale mi diceva: "il modello berlusconiano è figlio di una cultura individualista filtrata dall'interno della 'sovrastruttura' utilizzata dalla leadership craxiana per la conquista e la gestione del potere e cerca propri spazi per accreditare la propria immagine o il proprio ruolo di breve periodo." Ed aggiungeva: "in gran parte si tratta di cascame di omelie mal digerite ed ascoltate distrattamente, fatte da persone che non riuscivano a vedere l'insieme della Comunità se non attraverso il filtro di ideologie e pregiudizi."
Altrove si legge che il berlusconismo «non può essere ammesso ed emendato senza sbriciolare per sempre quella macchina titanica di autoesaltazione costruita per trasmettere un modello ben preciso di moderna leadership populista agli italiani»
Ho molte riserve su queste valutazioni, se non altro per la loro parzialità. Dopo ben quindici anni di gestione del potere da parte del berlusconismo, dalle analisi (di questo tipo o più approfondite e meno viscerali), dobbiamo passare ad un progetto condiviso a dimensione comunitaria senza il quale l'involuzione politica e democratica del nostro Paese diviene irreversibile. La legge elettorale regionale toscana (prima e seconda versione) e quella nazionale ne sono un chiaro segnale. Ma ce ne sono altri altrettanto significativi - e certamente preoccupanti e 'grevi di conseguenze negative'.
Un amico mi ha segnalata (ancora una volta lo ringrazio) l'intervista sugli "economisti di ventura" rilasciata dal prof. Marcello De Cecco nei giorni scorsi. A mio parere fa parte di questo quadro. Risottolinea che economia, capitalismo et similia sono strumenti e come tali soggetti alla volontà degli uomini per come espressa dalla Comunità. Non obiettivi gestibili da e con espressioni matematiche assolute. Mi ritrovo in quasi tutte le considerazioni del prof. De Cecco. Penso, infatti, che se non abbandoniamo o non procediamo rapidamente al controllo del particolarismo (berlusconiano o meno) e non recuperiamo la nostra capacità e possibilità di ricerca riponendo la 'persona' come riferimento stabile di ogni tipo di progettazione di medio termine (anche socio-economica) il processo involutivo della democrazia italiana non può che continuare imperterrito. Da ciò consegue che l'Europa deve divenire la vera dimensione che può aiutare i suoi territori a distinguersi nel recupero dei fallimenti (più o meno accentuati nei vari spezzoni nazionali) che hanno contribuito alla gravità dell'attuale crisi e non un insieme di cani vocianti in caccia di un osso che non si sa dove sia nascosto. Lo stesso sindacato - elemento chiave del quadro istituzionale designato nella Costituzione - non può essere semplice osservatore di quanto gli accade intorno. Deve cambiare rapidamente registro e irrobustire la sua azione autonoma ma non rimanere indifferente ai mutamenti delle regole che fanno di una accozzaglia di individui una Comunità; riassumere decisamente l'incisività formativa del proprio quadro dirigente ed un collegamento con la qualità universitaria; rileggere i suoi strumenti di intervento per dare certezze e sicurezze a chi rappresenta o dovrebbe rappresentare perché anch'esse sono una parte non marginale del problema.

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