martedì 12 gennaio 2010

• Famiglia, effetti della crisi socio-economica e azione politica


Il tessuto della famiglia è sottoposto sempre di più a spinte e controspinte che stressano ogni momento ed ogni componente di essa, sia sul piano della sopravvivenza (il vistoso calo del potere d’acquisto non è una ‘barzelletta’ pubblicizzata dall’Istat ), sia su quello del riequilibrio dei ruoli interni e di quelli imposti dalla precarietà di chi ha trovato un lavoro o dalla progressiva mancanza di speranza di chi il lavoro lo ha perduto e non è in grado di prevedere se o quando potrà averlo.
L’attenzione a questo momento non è una ‘fissazione’ dei cattolici (che troppo spesso ne fanno un gavitello ideologico anziché una espressione della ‘civiltà dell’amore’ di cui dovrebbero essere attivi tutori), ma una esigenza che investe tutti: un dovere. Se salta (come in parte sta accadendo con una accelerazione sempre maggiore) la convivenza in un gruppo o in un territorio gli equilibri di convivenza e solidarietà propri della società disegnata dai nostri padri costituenti, si disgrega e si liquefa. Il fenomeno delle convivenze sostitutive della forma normativa ‘famiglia’, ne sono un chiarissimo segnale. Denuncia e consapevolezza antiche.
È l’effetto col quale misurarsi urgentemente, che richiede una preliminare puntuale attenzione ed il rifiuto di ogni approssimazione o proposta di immagine-schermo. Ciascuno di noi fa i conti ogni giorno con le ricadute familiari e sociali della crisi finanziaria e produttiva, promossa da chi è stato posto in condizioni di esercitare un potere, di fatto, senza controllo. Osserva con sempre maggiore preoccupazione il riemergente razzismo, a partire dal Nord per approdare al Sud; il camuffamento dietro la parola 'libertà' per auspicare la 'licenza' di fare quello che ci pare (che porta allo scontro permanente fra diversi oppure all'accentuarsi della emarginazione dei più deboli); lo scaricare le proprie debolezze, le proprie incapacità a comprendere o ad esercitare il proprio ruolo (nascondendosi dietro le 'tolleranze zero') l'avversario del momento.
È urgente reagire democraticamente nei confronti di chi continua a considerarci dei 'coglioni' (così fu definita ogni persona dissenziente dalla leadership del momento), capaci di ingoiare qualsiasi cosa gli si proponesse definendola 'nuova' o 'moderna' o figlia della esperienza 'in campo', dell'homo homini lupus, invocanti scivolate autoritarie e personalizzazioni del potere (più o meno populistiche).
I ‘politologi’ ed i ‘politici’ continuano a proporsi nel migliore dei casi come ricercatori ed analisti permanenti di soluzioni e formule ‘fondanti’ di un nuovo sistema di cui non si hanno chiari i connotati - né formali né sostanziali. Assumono spesso come unità di misura sé stessi o il clan di cui si sentono parte. Per un verso non riescono ad abbandonare o modificare cascami di precedenti tendenze ed elaborazioni. Per l’altro procedono con tempi propositivi rallentati rispetto alla accelerazione che i fatti impongono.
Intanto, come scrive Massimo Franco il 12 gennaio su
LA STAMPA, si sviluppa « il duello in latino fra il Pd che denuncia le “leggi ad personam” e Berlusconi che le definisce “ad libertatem”», dando l’impressione nettissima di voler nascondere dietro la parola nobile 'libertas' l'aspirazione che i ‘coglioni’ non si rendano conto che sono considerati come semplici osservatori da dilettare col populismo vulgato dai mass media; e che rimangano scientemente nell'ombra i valori antitetici alla forma ed alla sostanza democratica, che ci siamo dati nel 1948, in modo da intervenirci col bisturi.

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