sabato 25 aprile 2009

• Il dialogo in Comunità nelle quali coesistono culture diverse

Nella nostra comunità sono presenti culture diverse. I loro portatori - singoli o comunque associati - non hanno altra scelta che quella di convivere e condividere problemi, certezze e incertezze. Sono necessariamente disponibili ad un patto di convivenza che può essere solo pacifico, sostenuto da dialogo e confronto permanenti. Dialogo e confronto hanno sostanza quando non coinvolgono soltanto i gruppi dirigenti dell’uno o dell’altro gruppo, ma l’insieme delle persone. Una cosa ovvia, ma non scontata. Dialogo e confronto possono essere promossi dai gruppi dirigenti. Essere gestiti se i gruppi dirigenti sono riconosciuti come tali dalla realtà comunitaria nella quale operano. I processi di reciproca integrazione hanno successo se coinvolgono un insieme e non solo dei singoli, per quanto autorevoli. Come tutto ciò debba essere organizzato, con quali attori e strumenti è una conseguenza, non un atto pregiudiziale. Chi conosce Livorno sa in questa realtà comunitaria è maturata negli ultimi secoli una cultura che ne fa soggetti attivi. Una cultura che non ha visto “ghetti” né di conseguenza i suoi isolamenti e le sue immagini emarginanti; che non riconosce nel diverso un nemico ma solo una persona che vuole giungere agli stessi traguardi di convivenza (o a quasi tutti) secondo progetti, obiettivi o tempi diversi solo in partenza. In questi giorni a livello cittadino si è posto il problema della disponibilità di una moschea per i praticanti la confessione musulmana (non ho ben capito se a tendenza scita, sunnita o altro). Essere consapevoli che una moschea non è solo un luogo di preghiera e di pratica confessionale ma anche di ‘polis’ comunitaria comporta che la ricerca del dialogo e del confronto non è solo opportuna, ma necessaria - per meglio conoscerci e meglio comprendere come possiamo vivere insieme. Ma per dialogare occorrono due disponibilità all'ascolto. Non solo, ma occorre anche che chi si muove per primo si renda conto che il dialogo non avviene tra persone che vivono all’interno di una stessa area culturale o confessionale, definita e stabile, impermeabile ad altre conoscenze: quella nella quale si hanno certezze ed autogratificazione, si annotano assenza di conflitto. Persone che liberamente si aggregano tra loro di volta in volta sulla base di scelte, convinzioni e necessità fisiche che le caratterizzano. Persone che reciprocamente tendono a contaminarsi ed a rifiutare imposizioni e schematismi anche quando si proponessero come positivi. Perché tutto questo accada occorre che ciascuno e ciascun gruppo sia educato al dialogo. Sia posto in grado di sostenerlo per evitare che si traduca in un chiacchierare da barrino, come può accadere quando si va per approssimazioni e conoscenze superficiali, gli uni degli altri.

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