mercoledì 27 agosto 2008

• Da cristiani in politica. Fare del nostro meglio per SERVIRE.

L'impegno alla coerenza per ogni atto che compiamo, la capacità e la possibilità di trarre conseguenze e progetti dai valori che comunque ci avvolgono sono un problema di sempre. Ciascuno di noi, piccolo tra piccoli, è chiamato a 'coltivare' e 'custodire' attivamente il Creato, di cui è parte, insieme ai compagni di viaggio. Lo sforzo, talvolta, è titanico, ma ce la deve mettere tutta. Deve fare del suo meglio per servire, per riprendere le parole di BP. Si è cioè consapevoli delle nostre fragilità, ma abbiamo l'impegno a farvi fronte ed a non farci travolgere - personalmente e comunitariamente.
Su FAMIGLIA CRISTIANA ONLINE n. 35, nella rubrica COLLOQUI COL PADRE di D.A. ha ricordato ancora una volta il nostro ruolo di uomini e donne che da cristiani vogliono operare nella e per la Comunità: far politica. È stata offerta la riflessione sotto trascritta - e da me condivisa - al messaggio di un lettore che richiamava fenomeni, distonie e urgenza di coerenze nei comportamenti e nei progetti proclamati e/o attuati . Si intitola: LA CHIESA NON È "CAPPELLANA".
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«I cattolici, impegnati in politica, si trovano ormai in quasi tutti i partiti. Anche se divisi e sparpagliati, non possono non trovarsi uniti nella condivisione e promozione dei valori morali e sociali che hanno, nella persona, nella sua dignità e nei suoi diritti, il punto di partenza e di arrivo: così, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani; la giustizia e l’amore che sono alla base di ogni convivenza civile, dalla più piccola (famiglia) alla più grande (nazione, Europa, mondo); la libertà come esercizio di responsabilità; l’autorità come servizio al bene comune, e non a interessi di parte; la solidarietà (anche economica), con la giusta ed equa distribuzione dei beni.
Sui valori non si dà pluralismo, indifferenza o disimpegno. La diversità riguarda, invece, i mezzi (in questo caso, i partiti e gli schieramenti), che sono più o meno affidabili nel perseguire, al meglio, tali valori. La valutazione può essere diversa, a patto che si sappia metterla in discussione, e non darla per giusta una volta per tutte. Inoltre, far parte di uno schieramento politico, piuttosto che d’un altro, non porta ad approvare tutte le scelte solo per "disciplina di partito".
Altro discorso, invece, è il ruolo del magistero della Chiesa in campo sociale. La funzione del Papa e dei vescovi non può essere altra che quella del Vangelo (e dei valori che ne derivano), cioè una funzione profetica. E, quindi, necessariamente critica, nel senso di discernimento, educazione del giudizio, orientamento dell’azione. La Chiesa non è "cappellana" di nessun partito o schieramento. È nel suo diritto e nel suo mandato contrastare la realtà sociale, ogni volta che si lede la dignità dell’essere umano. Di ogni essere umano. In questa prospettiva, la sua posizione sugli immigrati non è ingerenza nella politica del Governo, qualunque esso sia. Non si possono leggere i suoi interventi, chiari e autorevoli, come un andare a favore o contro chi governa. Se ne sminuisce la funzione. Ma i cattolici conoscono la dottrina sociale della Chiesa? Ne fanno oggetto di riflessione e di guida per l’azione politica?
Il vero problema è la formazione a una autentica coscienza sociale. La Chiesa non dà indicazioni di voto, ma richiama i valori sui quali i cattolici non possono non trovarsi uniti, anche contro il programma del proprio schieramento.
Né si possono selezionare ad arte gli interventi del Papa o dei vescovi: essere d’accordo quando parlano di pace («sempre possibile, e della guerra sempre da evitare»), e poi, indifferenti, quando parlano del rispetto che si deve alla vita umana, dal principio al termine naturale.
Vale anche l’inverso: farsi paladini, quando Papa e vescovi parlano di famiglia e vita, e poi non seguirli, quando parlano di giustizia sociale, ecologia, diritti dei migranti, rispetto dei rom...
Ci vuole coerenza. Che non sempre hanno i cristiani impegnati in politica (vale per ogni schieramento). Ci si chiede: come possono essere difensori credibili della famiglia, se sono divorziati o pluri-risposati? Al riguardo, faccio mie le parole del cardinale Scola contro la doppia morale: «In questo campo il nemico numero uno si chiama moralismo, cioè la pretesa di giudicare la verità d’una proposta a partire dalla debolezza e dalla fragilità di chi la formula, ergendosi a giudici. Ma avere misericordia verso la fragilità, non significa creare una separazione radicale tra "vizi privati" e "pubbliche virtù"». O anche la felice espressione del cardinale Tettamanzi: «È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo».

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