venerdì 5 settembre 2008

• " ... e gli ultimi muoiono."

Leggo in una corrispondenza dalla Mostra di Venezia su LA STAMPA del 5/9 una intervista ad un regista per un film su una fabbrica-emblema: la Tyssen Krupp. «La fabbrica dei tedeschi», dedicato alle vittime dell'incendio avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2008. Ha introdotto nel suo film riflessioni e sensazioni, colte ambientalmente, assai forti. «Gli operai non si sentono protetti né dai sindacati che ormai pensano solo al Pil, né dalla politica.» «Quei sette morti ci hanno svegliato dal sogno e ci hanno portati davanti alla realtà: un incubo fatto di pericoli, fuoco, fiamme e lavoratori, operai che ancora oggi mettono a repentaglio la propria vita sul luogo di lavoro. Gli invisibili dell'azienda modello diventano, in una sola notte, tragicamente visibili, non solo mostrandosi come vittime, ma facendo riapparire, in modo concreto e determinato, la "popolazione" della fabbrica».



Molti anni fa (ahimè!) ho cominciato ad inserirmi nel sindacato - era il 1958!. Il settore di cui mi occupavo insieme ad altri (lavoravo in una cementeria) fu quello del settore della edilizia ed affini: la FILCA-cisl.

La precarietà era già allora un modo per poter lavorare in un settore nel quale servivano molte braccia e nel quale morti e feriti erano anche allora all'ordine del giorno. Già allora la battaglia era contro le morti e gli infortuni sul lavoro.

Il sindacato eravamo noi che lavoravamo, fissi o precari. Anche oggi il sindacato - piaccia o non piaccia ai cascami di arcaismi ideologici - sono quelli che lavorano, anche se gli spazi di intervento e d’incidenza sono estremamente ridotti dalle nuove regole imposte nelle organizzazione del lavoro, non solo per la globalizzazione dei mercati ma soprattutto per il prevalere degli individualismi di una incontrollata centralità del fattore finanziario.

Il sindacato non è un ente astratto, un ufficio in cui qualcuno si degna di interessarsi di noi: siamo noi, giovani e vecchi. Se non svolge bene il suo ruolo, guardiamoci allo specchio. Altro che 'grillismo' da quattro spiccioli, più o meno imbellettato!

Contrattualmente negli anni ne abbiamo tentate molte di strade contro il precariato ed il 'ricatto' del licenziamento, la mancanza di tutele 'effettive', la mancanza di sicurezze di vita e familiari, il naturale deficit di professionalità per la occasionalità degli impieghi, di irresponsabilità di titolari d'impresa o di dirigenti aziendali troppo spesso improvvisati.

Tutti fattori con un loro ruolo da causa prima in ogni tragedia. Forse a qualcuno non è del tutto chiaro: stavamo trattando della nostra vita e di quella dei nostri compagni, dei nostri amici di ogni giorno! Scioperi: tanti. Stato: interventi di sistema deboli e, spesso, male organizzati. Datori di lavoro: salvo alcune lodevoli eccezioni - più attenti alla velocità delle esecuzioni più che alla qualità ed alle tutele.

ERAVAMO - SIAMO - ATTORI DEL SINDACATO DEGLI ULTIMI. Come non comprendere, perciò, lo stato d'animo di chi occasionalmente (come un normale regista o giornalista) si trova di fronte a questa strage, a questo stillicidio di innocenti? Stati d'animo che possono far fare riflessioni ed assumere atteggiamenti alla 'va tutto male, madama la marchesa!'? Anche!

Forse il vero primo passo per iniziare a limitare queste tragedie sarà fatto quando nel TG della sera o di mezzogiorno, su locandine e prime pagine accanto alle notizie di nera - di cui sappiamo tutto, anche in dettagli macabri - sarà messo quanto accade ogni giorno nella giusta evidenza, sottolineandolo. La Tyssen è stato un caso grave, gravissimo, ma purtroppo una goccia d'acqua nel mare. Il ruolo di registi, giornalisti e affabulatori TV è quello di fare avanzare la presa di coscienza di questa strage. Troppo spesso il costo umano e sociale è considerato - da molti - un 'di più' rispetto al costo ‘vivo’ o al costo d'impresa.

Fa impressione veder considerare il momento lavoro come un fatto incidentale della nostra vita, come se non fosse centrale sempre. Per me cristiano praticante quando uscì l'enciclica LABOREM EXERCENS fu una boccata d'ossigeno, riscoprire la sorgente già rimessa in primo piano con la RERUM NOVARUM. In troppi - anche nelle parrocchie - mi avevano fatto considerare come accessorio il lavoro: il figlio formale del "sudore" biblico. Quando si parla di centralità dell'Uomo, di diritto/dovere alla vita ed al lavoro, di carità si parla di facce della stessa medaglia.

Ben vengano i film di denuncia ed accertamento della realtà, ma non facciamone occasione per improponibili recuperi ideologici (non importa se di destra o di sinistra) o di populismi all'italiana. Il diritto/dovere alla vita è cosa ben più complessa ed impegnativa di una denuncia.

* Il disegno di apertura di questo 'pezzo' è di Carlo Soricelli metalmeccanico in pensione, maestro d'arte naive di pittura e scultura.

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