sabato 3 gennaio 2009

• Per un capitalismo giusto.


Sul TIRRENO di questa mattina è stata pubblicata una riflessione del prof. Massimo Paoli sulla ideologia liberista e delle consequenziali ha avuto di mercato e  consumo. 
La crisi finanziaria globale sta determinando pesanti ricadute sulla economia reale. Già si stanno manifestando anche nella nostra realtà territoriale sovrapponendosi a quelle derivanti dalla crisi locale, che da tempo ci assilla. 
Quella di Paoli è una riflessione in aperto contrasto - almeno a me così pare - con rigurgiti individualisti progressivamente negatori di ogni spirito comunitario e solidaristico, che vogliono accentuare le attuali servitù di sistema e fanno chiedere da certe aree ‘fondamentaliste’ l’abolizione della domenica, il mantenimento strutturale dell’attuale marginalizzazione della famiglia e l’allungamento dei tempi-lavoro a basso costo per il consumatore, offrendo elemosina e non solidarietà.
Il Tirreno - sabato 3 gennaio 2009
Le regole del mercato
Per un capitalismo giusto
di Massimo Paoli
Negli ultimi trent’anni la presa di possesso delle menti da parte dell'ideologia liberista in campo economico è stata tale da sembrare opera di un genio malefico.- poche ma pesantissime parole d’ordine, una potenza di fuoco mediatica impressionante, una ricerca spasmodica di convergenze d'interesse nell'inganno collettivo che ha coinvolto banche, agenzie di rating (stupefacente la 'Tripla A" assegnata a Lehman Brothers fino a pochi giorni* prima della deflagrazione), guru delle università (Alesina, Giavazzi & Co) e importanti opinion maker, e la robotizzazione dell'opinione pubblica è stata se non un “gioco da ragazzi” di certo rapida e completa.
D'altra parte, gli assunti del neo-liberismo sono tra i più fantasiosi e suadenti.
1) Il mercato è infallibile. Produrre denaro a mezzo di denaro come processo centrale del neo culto liberista ha il suo Olimpo nel mercato. E. si sa, dove operano gli dei non vi può essere fallibilità. Meno regole dunque, ma soprattutto meno controlli gli si applicano e meglio funzionerà (“meno Stato più mercato”). D'altronde se è infallibile, che sostituisca subito quel rottame chiamato presenza pubblica che lo rallenta e lo allontana dall'efficienza massima-ottima (qualunque cosa questo voglia dire).
2) L’unico Stato possibile, in questo quadro, è uno Stato minimo. Se è minimo lo Stato, possono essere minime anche le imposte, tanto i servizi pubblici rimangono tali a se sono offerti da privati (basterà pagarli, naturalmente).
3) Le imposte divengono così un male assoluto che permette allo Stato di controllare i cittadini, sottrargli e sperperarne i soldi consentendo alle classi politiche, sostanzialmente corrotte, di arricchirsi alle loro spalle. Finalmente non solo possono essere ridotte all'osso le tasse, ma salta anche la necessità di mantenere il presupposto progressivo dello imposte personali. È la fine della politica di redistribuzione dei redditi. L’idea inculcata è molto semplice: non ce n'è più bisogno.
4) Lo Stato minimo non fornisce che servizi pubblici essenziali, allora occorre privatizzare tutti gli altri. La convinzione che si prova a far passare ~ che un ambiente competitivo avrebbe assicurato ai servizi pubblici offerti dai privati un’efficacia superiore, e in ogni caso a costi inferiori a quelli offerti dallo Stato (e così anche questa idea deformata di sussidiarietà è entrata a far parte delI'anticristianissima iper-privatizzazione dei sistemi).
Per stare in piedi questo castello doveva far sì che il reddito disponibile pro capite e soprattutto pro famiglia aumentasse in linea con l’esponenziale crescita delle responsabilità e dei ruoli individuali e familiari, nonché con il costo dei servizi pubblici (che restano pubblici anche se erogati da privati). Scuola, università, sanità, pensioni, sicurezza e ammortizzatori sociali e così via, tutto nell'estremismo liberista avrebbe dovuto, e dovrebbe, essere pagato privatamente.
I ceti medi non ce l'hanno fatta e soprattutto non ce la faranno da qui in avanti. Occorre restituirgli reddito. Bisogna tornare ai modelli di capitalismo avanzato che abbiamo lasciato per inseguire la trogloditica follia liberista. Dobbiamo riprendere la traiettoria democratico-liberale per la quale giustizia sociale e libertà di mercato sono integrate nello stesso disegno. In un equilibrio organico che dia nuova centralità alla progressività dell'imposizione fiscale, al recupero dell'evasione, e alla redistribuzione dei redditi non come semplice po-litica economica, ma come essenza di un capitalismo ”giusto" possibile. Insomma, un mix del meglio delle esperienze americane (dal New deal ai Kennedy a Obama) e delle migliori esperienze europee (socialdemocratiche e non).
La visione democratica e liberale (non c'è giustizia senza libertà e non c'è libertà senza giustizia) non è stata battuta se non dalla stupidità. Penso che sarebbe bello tornare a quella visione, riscoprirla, rilanciarla ma con lo spirito evocato da un celebre aforisma di Friederich Nietzsche- «Per questo [nuovo] mondo volete un nome? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte?..»
Questo mondo è la volontà di potenza e nient'altro! E anche voi siete questa volontà di potenza e nient'altro!".

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