lunedì 12 gennaio 2009

• Musulmani in Italia. Manifestazioni e nuove moschee

In questi giorni, più ancora che in precedenza (ed i casi non mancano, anche nel nostro Paese), il problema delle diversità di culture e tradizioni doveva esplodere. È accaduto per Milano, con l’ipotesi di disponibilità di luoghi dignitosi (moschee) per riunirsi e pregare da parte dei fedeli musulmani ed in occasione dell’occupazione di piazza Duomo per una manifestazione politico-religiosa di preghiera pubblica. È accaduto per Firenze con la richiesta di costruzione di una moschea per raccogliere in preghiera i numerosi fedeli di religione musulmana. L’uno strilla contro - comunque!. L’altro cerca di capire e rendersi finalmente conto che stiamo diventando un paese multiculturale con pluralità religiosa. L’uno cerca di arroccarsi a difesa del non voler prendere atto del cambiamento globale in atto (che investe ogni aspetto delle nostre vite). L’altro - non comprendendo - affronta ideologicamente il problema e considera con apparente indifferenza quanto gli accade intorno ogni giorno. L’uno classifica spregiativamente come cattocomunista (termine abusato ed obsoleto, e tra l’altro del tutto inappropriato) il cardinale di Milano. L’altro che invoca il dialogo senz’altro contenuto se non quello di essere reciprocamente indifferenti (prima ancora che tolleranti) in caccia di affermazione di un laicismo antistorico che punta alla conservazione di privilegi ed individualismi.

Per sant’Ambrogio il cardinal Tettamanzi ha scritto: “«L’UOMO SAPIENTE E GIUSTO E’ L’UOMO DEL DIALOGO. Il dialogo non è uno tra i tanti atteggiamenti che l’uomo può assumere, ma è un tratto fondamentale, costitutivo, della sua umanità. Deve diventare un atteggiamento stabile, una virtù che l’uomo sapiente sa ricercare e coltivare, anche a prezzo di fatica. Così sant’Ambrogio scrive, commentando il versetto biblico “Lo stolto cambia come la luna”:«Il sapiente non è abbattuto dal timore, non è mutato dal potere, non è esaltato dalla prosperità, non è sommerso dalla sventura. Dove c’è la sapienza, c’è la virtù dell’animo, ci sono la costanza e la fermezza. Il sapiente, dunque, (…) rimane perfetto in Cristo, “fondato nella carità”, “radicato” nella fede…». Così, anche quest’anno, ci lasciamo guidare nelle nostre riflessioni dal paradigma ambrosiano dell’uomo sapiente, un uomo che in momenti a volte oscuri e critici resta immutabile nell’animo, non viene sballottato da ogni mutevole opinione, ma sa coltivare ideali forti, rimanendo radicato nella sua fede, nella sua carità e quindi nella sua apertura agli altri. Egli sa “distinguere”, capire il tempo, discernere ciò che è bene da ciò che è male, dare il vero peso alle realtà della vita, confrontarsi con gli altri. Intimamente collegata alla sapienza è la giustizia. “

Ne sono convinto, anche se per diversi aspetti io mi sento in evidente ritardo di impegno. Infatti la spinta a comprendere e ad essere coerente richiede che devo essere consapevole di approfondire e rinvigorire la mia fede e la mia formazione; in modo da far fronte a quegli atti di giustizia che la mia natura ‘sociale’ impone e porre in condizione di evitare umiliazioni ed ingiustizie a me stesso, a chi è come me ed a chi è diverso da me. Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere e non sentire; non possiamo essere persone che pretendono di impedire il cambiamento che coinvolge le persone in ogni punto del pianeta. Come non possiamo consentire a nessuno (interno od esterno al nostro sistema) di perseguire obiettivi eversivi o ademocratici, piccoli o grandi che siano.

Agli amici più giovani, che si volevano avvicinare all’impegno socio-politico ricordavamo spesso che la strada da percorrere è in salita e scivolosa; se ci fossimo fermati bloccati dalla paura del diverso, dall’incertezza o dal dubbio potevamo solo rotolare giù, regredire, dimenticare la nostra scelta di seguire Cristo. È il problema con cui siamo sempre stati costretti a fare i conti, specialmente in Italia. Ne abbiamo evidenti tracce anche nella realtà quotidiana, indipendentemente dai processi migratori di questi giorni tormentati. Livorno ne è una evidente vetrina. Molti degli usi e costumi mediterranei sono presenti o sono stati semplicemente rinfrescati di recente. Abbiamo notizia di una piccola moschea che nei secoli passati era il punto d’incontro dei ‘mori’. Chiese cristiane cattoliche e non cattoliche, ortodosse ed altre confessioni. Addirittura alcuni vocaboli del nostro ‘gergo’ derivano da lingue non latine, anche arabe.

In questi giorni, grandi discussioni sulle manifestazioni pubbliche. Ma ciò che ha generato maggiori reazioni emotive nelle manifestazioni dei fedeli musulmani a Milano è l’uscita allo scoperto. Tutti sapevano che in Italia le comunità di religione islamica sono numerose, ma non si aspettavano una così straordinaria occupazione dello spazio pubblico. Il termine «invasione» utilizzato da qualche fondamentalista di casa nostra per definire il caso Milano o gli ostacoli frapposti alla costruzione di moschee nel territorio nazionale segnala una percezione di provvisorietà nella presenza di chi è diverso e la volontà di non integrarlo nelle nostre realtà, nonostante che della sua presenza non si possa che prendere atto. «Sono troppi! Ci mancherebbe altro che li aiutassimo a rimanere.» Che altro significato ha la contestuale richiesta di pagamento di una tassa di soggiorno da parte degli immigrati; fortunatamente bloccata con un atto di rinsavimento (non dei promotori, ma dei loro alleati)?

Ha scritto qualcuno: «La reazione alle piazze colme di oranti è amplificata dal fatto che gli «invasori» non solo sono stranieri, ma appartengono a una religione decisamente minoritaria nella tradizione nazionale, e però assai robusta a livello internazionale. La scossa emotiva è acuita dal fatto che si tratta di una religione che, al di là dei suoi contenuti spirituali, si sta prestando a veicolare movimenti politici non democratici. È comprensibile quindi che anche in Italia si tema che la massa dei suoi credenti possa offrire l’acqua in cui pesci sovversivi possano nuotare.»[Giovanna Zincone , La Stampa 12/1/09] Concordo. Ma il tema vero col quale ci si sta confrontando è la relazione che può, o deve, intercorrere tra due ruoli (entrambi essenziali nella società) quello di chi gestisce o aspira a gestire il potere (istituzionale, in particolare) e quello religioso. Il mondo europeo ha spesso nuove sollecitazioni a rifiutare la reciproca autonomia di essi. Quello extra europeo non si è confrontato, se non marginalmente, con entrambi considerandoli un tutto unico, considerandoli tra loro avvolti come forma e sostanza.

È urgente che ci rimbocchiamo le maniche per far fronte intelligente al nuovo quadro relazionale col quale dobbiamo comunque misurarci, rifiutando superficiali manicheismi. Ci costerà fatica come ci è costata nei secoli passati. Ma non tutte le strade sono correttamente asfaltate.

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