lunedì 12 aprile 2010

• Hanno perso tutti, ma ha vinto Berlusconi.


Se si guarda ai numeri delle Regionali e si pone attenzione sia ai voti espressi (pur nella diversificazione dei vari territori) sia astenuti, bianchi o nulli, l’impressione che si ricava è che i partiti maggiori (PD da una parte, PDL dall’altra) l’uno ha confermato le dimensioni dei voti ricevuti rilevate alle politiche, l’altro ne ha persi non pochi a favore di propri compagni di viaggio e in una certa misura, in assoluto. I gruppi di Centro hanno battuto un colpo. Le espressioni più radicaleggianti e quelle che hanno meglio curato - per modi e comportamenti - i rapporti col territorio ne hanno guadagnato o non ne hanno persi. Tuttavia la “solitaria” scesa in campo alla quale è stato costretto Berlusconi è riuscita a ridurre in termini gestibili la quota degli astenuti che riguardavano il Pdl e, per quanto lo riguarda, ha personalmente vinto lui.

Da questo voto, comunque, ho tratto alcune conseguenze. In primo luogo si è dimostrata ancora una volta tutta la pericolosità dell’accentramento di poteri senza controllo in una unica persona. Il presidenzialismo senza controllo del Parlamento praticato di fatto da tempo, rende ‘conquistabile’ il potere istituzionale a chi ha più denaro e strumenti di controllo; onesto e leale o meno che sia. Il rapporto capillare e stabile tra chi gestisce il potere (in tutto o in parte, come la Lega) è avvertito come degno della massima attenzione. Un piccolo partito (perché tale è ed è rimasta la Lega) controlla in maniera cogente e determinante il partito di governo. Le espressioni più radicali aumentano consenso operando in un terreno privo di proposte conosciute e valutabili. [Il PDL ha parlato molto di obiettivi generali da perseguire sulla base di dichiarazioni generiche e che manifestano contraddizioni non marginali tra i propri uomini/guida. Ma non ha presentato da tempo alcuna proposta al proprio elettorato. Il PD ha avanzato ‘timidamente’ - troppo - alcuni primi approcci di proposta a fronte di obiettivi dichiarati ed ha mostrato grosse lacune organizzative e di comunicazione.] Il Centro in salsa UDC ha giocato piuttosto ambiguamente, mentre l’API - al primo confronto elettorale - si è proposta solo in qua e là. Il quadro è assai fluido, anche se sottoposto ai colpi di coda di chi teme contraccolpi sulla propria posizione per le ‘marronate’ (personali e politiche) proprie o dei propri accoliti nonché al tentativo del PD di porre la sordina ai propri errori gravi nel Lazio, in Piemonte o in Calabria. Non valuto né cito l’intervento preelettorale dei rappresentanti della CEI perché - come è sempre accaduto da dopo il 1948 - la sua incidenza sulle espressioni di voto non è determinante, almeno a mio parere; anche se il mondo che conta del centrodestra ha cercato di tirarlo strumentalmente per la giacca.

Cosa fare? Intanto prendere atto di tutto questo e trarne conseguenze progettuali e di obiettivi finalmente a base solida con cui poterci - tutti - confrontare. In secondo luogo affrontare la priorità delle priorità: il lavoro e la sopravvivenza (possibilmente esaltando il principio della solidarietà). A ruota, con analoga urgenza avviare a definizione il percorso per la revisione dei poteri e dei controlli costituzionalmente previsti. In dialogo fra maggioranze parlamentari (quelle popolari mi sembrano ampiamente saltate con le astensioni) e minoranze? Certamente, sperando che contrapposizioni interne alla maggioranza non immobilizzino di fatto tutto, come accaduto in questi ultimi quindici anni.

Ne abbiamo già una dimostrazione in questi giorni. Scrive EUROPA DEL 10 aprile: « La verità è che anche una materia così delicata come quella della modifica della seconda parte della Costituzione sul punto nientemeno della forma di governo, è diventata l’ennesima partitella di ping pong fra i capi della destra, segnatamente fra un Fini puntigliosissimo nell’ammonire che con questa roba non si scherza e un Berlusconi che sembra divertirsi. Con il rischio che la Lega resti presa in mezzo a far da spettatrice all’ennesima puntata di un duello che sta stancando tutti. Aveva ragione Sartori a mettere in guardia dal rischio di una soluzione «ripastrocchiata all’italiana»: ma qui sta andando peggio delle più nere previsioni. Si è partiti così male che la tentazione è quella di chiuderla qui, essendo la prospettiva di tre anni così assolutamente deprimente. Ancora una volta è Berlusconi a buttare le carte per aria, un giochino che gli era riuscito con la Bicamerale dopo mesi e mesi di lavoro, questa volta non ha resistito nemmeno una settimana. L’impressione è che, come altre volte è capitato su questa materia, il presidente del consiglio dica le cose tanto per dire. Per vedere l’effetto che fa. O per puro spirito di contraddizione verso Fini, che conoscendo i suoi polli, aveva fiutato puzza di bruciato»


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