
Un documento antimafia della Conferenza episcopale italiana non è una novità. Ricordate il ‘grido’ di Papa Wojtyla a Palermo? « Convertitevi e credete al Vangelo»! È dal 1989 che la denuncia del degrado imposto dalla criminalità organizzata nei territori che tiene sotto controllo e da varie sacche di uso distorto dello strumento ‘potere’ ha cessato di essere patrimonio solo di parroci e vescovi coraggiosi (alcuni dei quali ci hanno rimesso la vita), per trovare posto nei documenti dell’episcopato.
I vescovi italiani, ancora una volta, fanno appello perché l’insieme ecclesiale aiuti a crescere persone con capacità dirigente, in possesso di valori cristiani e capacità e voglia di operare in una realtà quotidiana nella quale convivono uomini e donne portatrici di culture diverse, spesso fra loro confliggenti. In questi giorni è rinnovato l’appello perché l’indicazione di Giovanni Paolo II contro la delinquenza organizzata e l’uso degradato dello strumento ‘potere’, anche a fini personali e di gruppo, non continui a tenere il nostro mezzogiorno ai margini e nel sottosviluppo.
I vescovi, cogliendo anche l’occasione delle prossime elezioni regionali e locali, premono sui partiti, tutti i partiti per convincerli a dare una prova effettiva di rinnovamento. Un richiamo a partiti, corpi intermedi (come le associazioni sindacali, sociali ed economiche) e loro soci, elettori e sostenitori: perché procedano ad una effettiva oculata e produttiva selezione rinnovando anche gli strumenti di partecipazione e formazione delle decisioni, anche locali, conquistando ogni giorno la loro estraneità al sistema politico-mafioso; troppo spesso questo appare come una sola cosa, e sembra condividere gli stessi obiettivi, contrari agli interessi della comunità.
Molti opinionisti, dato il momento, tirano per la giacca questa posizione: c’è chi ritiene che si tratti di una ferma presa di distanza dai politici di centro sinistra che hanno governato in questi ultimi anni i poteri regionali o da quelli che nel centro destra hanno mostrato contiguità col sistema criminale; altri un avvertimento a non lasciare soli i prossimi eletti così da divenire facile preda della criminalità organizzata; altri ancora per condizionare la formazione delle liste degli eleggibili.
Ma a mio parere i vescovi hanno voluto ribadire di non voler offrire coperture a chi si autopromuove ‘cattolico’. Pur tra incertezze e ‘stop and go’, cercano di rinfrescare il loro ruolo di primi 'custodi' e 'coltivatori'.
Molte le sfumature riscontrabili; un po’ dappertutto. Vogliono tener conto delle diverse radicalizzazioni indotte dalle culture presenti nei territori o in associazioni e movimenti di vario genere. Non dimenticando che ogni radicalizzazione comporta modi di agire ed essere isolati, non aperti - di fatto - al confronto e, quindi, incapaci di alimentare l’humus sul quale far crescere la capacità di essere ‘lievito’ e correggere le maggiori degenerazioni.
A questo proposito come non condividere il commento che mons. Diego Coletti ha rilasciato ad AZETA/febbraio 2010, pubblicazione della Cisl di Como? Tutta l’enciclica 'Caritas in veritate' «non solo offre spunti, ma è già un documento chiaro e preciso per orientare non soltanto l’agire economico, ma l’intera nostra vita. Basterebbe

fermarsi all'incipit: la carità nella verità - e con carità si intende caritas, ovvero amore - è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. L’amore è una forza straordinaria che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. Sono le prime sei righe dell’enciclica e già ci dicono tutto. O ancora, al numero 36: l’attività economica mente. L’enciclica, in estrema sintesi, ci pone un enorme spunto di riflessione che, a cascata, orienta tutto il resto: quale idea abbiamo di uomo? E prima ancora: quale posto abbiamo riservato a Dio nella nostra vita? Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia… lo sviluppo non potrà che essere integrale, perché orientato alla persona. Sempre nelle pagine finali, il pontefice lo dice chiaramente: il maggiore ostacolo allo sviluppo è attualmente rappresentato dal venir meno dei valori umani, a sua volta ispirato dalla chiusura ideologica a Dio e dall’ateismo dell’indifferenza . Non pensiamo soltanto alla povertà scandalosa dei Paesi sottosviluppati. Guardiamo in casa nostra. Guardiamo cosa è accaduto con la crisi della finanza: quando gli investimenti assicuravano percentuali altissime di guadagno, qualcuno si è mai domandato a scapito di chi era possibile realizzare così tanto in così poco tempo? Non lasciamo “morire il prossimo”: tra i valori da recuperare mettiamo al primo posto la fraternità».